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NAZARENO TADDEI, UN GESUITA AVANTI - 11° internet


di ANDREA FAGIOLI

 

INTERNET

   Prima rammentava via Aurelia a Roma, dove ha avuto sede il suo Centro dopo il trasferimento da Milano. Poi, se non sbaglio, si è trasferito in via Siria, sempre a Roma, e successivamente a Frascati. Infine, dopo aver tenuto aperta per un certo periodo una sede operativa anche a Firenze, ha scelto La Spezia. Perché?

   Non ho scelto La Spezia: ho accettato La Spezia. A Frascati avevo avuto lo sfratto dalla Villa Campitelli, dove avevo trovato una buona residenza in affitto, pagata in modo anche abbastanza salato. Chiesi ai miei superiori se mi davano una sede. Mi risposero che non ce l’avevano. Allora, il mio Centro comprò un piccolo appartamento a Roma nel quale però non ci stavo con la biblioteca e l’emeroteca. A quel punto i superiori mi dissero che «a La Spezia c’è il padre Cavassa, che ha fondato una casa, ma adesso è novantenne, non è piú in grado di mandarla avanti, se vuole lei può andare a La Spezia». Cosí ho accettato La Spezia, ma la sede centrale è rimasta a Roma. A La Spezia c’è la sede operativa. Avevo accettato anche per aiutare il confratello anziano (26 anni piú di me), che però è stato per me una iniezione di giovinezza. Abbiamo vissuto insieme sette anni e lui ad oltre novant’anni si è reso conto che il lavoro che io facevo era importante per l’apostolato odierno. E collaborò molto bene anche alla mia rivista, che pure è specializzata nell’argomento. Quando sono arrivato a La Spezia, nel maggio 1986, credevo già di essere vecchio. Mi sono trovato con questo padre ben piú vecchio di me ed ho ripreso energie.

   Con il suo Ordine che rapporti ha avuto?

   La Compagnia di Gesú è «ma mère (mia madre)», come canta l’inno dei gesuiti francesi. Ho sempre avuto il massimo appoggio dai miei padri Generali, partendo dal padre Janssens per la faccenda della «Dolce vita», cui seguirono il padre Arrupe e l’attuale padre Kolvenbach.

   Con i confratelli, però, non sempre è andata come con il padre Cavassa?

   Cosa vuol dire? A parte che, per me, è il padre Generale che «ultimatim (alla fin fine)» rappresenta la volontà di Dio, all’interno dell’Ordine ci sono quelli che mi vogliono bene e anche un po’ mi apprezzano (per esempio, il padre Lorenzo Giordano, che è stato il mio Superiore alla Spezia). Poi ci sono quelli che non mi conoscono; qualcuno non sa nemmeno che esisto; ben pochi conoscono la mia vera attività; qualcuno mi conosce forse per sentito dire, non proprio informato, e come volete che mi apprezzi, se pur ci fosse qualcosa da apprezzare? Ma nei nostri incontri, generalmente, trovo sempre molta cordialità. Certo c’è stato qualcuno dei miei confratelli che (sono convinto, in buona fede) mi ha fatto brutti scherzi, dei quali non intendo parlare. C’è però qualcuno che li conosce.

   Dicono di lei, e in parte lo ha ammesso, che non ha un carattere tanto facile. È vero?

   Probabilmente è cosí. Ma l’ultimo a conoscersi è proprio l’individuo. Di avere il carattere difficile me ne sono accorto da 70 anni in poi.

   Da questa intervista, nonostante tutto, ho tratto l’impressione che lei non parla molto volentieri di sé?

   Può darsi. Non so. So soltanto una cosa: la gente vuol parlare, non ascoltare; la tua vita non interessa a nessuno Però è anche vero che la formazione avuta come gesuita è molto seria, in particolare quella ricevuta nel mese di Esercizi Spirituali che si fanno due volte nella vita: durante il noviziato e nel terzo anno di probazione. Sono Esercizi che ti scarnificano dentro e ti fanno capire come tu sia niente di fronte a Dio. Quindi questo parlare di sé è una cosa che mi è venuta in uggia, anche se non è un atto di virtú o di umiltà: è proprio un’abitudine. Mi ricordo a questo proposito un altro episodio significativo accaduto ai tempi del seminario. Stavamo preparando un’azione teatrale, un oratorio musicale. Monsignor Scalvini, un nostro superiore, ci spinse un po’ alla volta a chiedere agli insegnanti di poter saltare alcune ore di lezione per preparare la rappresentazione. Quando stavamo per ottenere l’esonero, monsignor Scalvini ci disse: «Vi rendete conto come siete sciocchi? Vi rendete conto che non avete ancora imparato a capire la differenza d’importanza tra i vari piani di realtà?». Ci aveva fatto capire che la riuscita in teatro era in fondo un po’ d’ambizione, mentre il perdere anche un briciolo di scuola era perdere un valore oggettivo. Questo fatto mi impressionò fortemente e mi spinse ancora di piú in questo atteggiamento ritroso. Ho capito che nella vita occorre misurare tutto non su di sé, ma su un valore oggettivo.

   E la soggettività?

   La soggettività è fondamentale nella vita umana, ma il soggettivismo è un grosso accidente. Questa riflessione mi è servita anche nella «lettura strutturale dei film» e nella «lettura» delle cose. Mi è servita a non guardare la realtà soggettiva, che cerca di misurare tutto sul nostro gusto. È la rovina dell’umanità: se io non ascolto l’altro, non posso pretendere che l’altro ascolti me e quindi l’egoismo, il soggettivismo esasperato è una delle grosse caratteristiche negative della mentalità massmediale ed è quello appunto che impedisce all’uomo di essere aperto alla verità, alla giustizia, alla carità e anche alla vera libertà. Uno crede di essere libero perché fa quello che vuole. Non è vero: è uno schiavo di se stesso, se fa quello che vuole. Sei libero quando fai quello che devi, non che vuoi fare. Sono tutti elementi di un modo di vedere il mondo. Pur cercando di capire le esigenze di tutti, ci si accorge che chi si allontana da un criterio di oggettività, di fatto diventa meschino. Mi pare che questa riflessione sia una conseguenza della formazione che ho avuto, sia quella istintiva iniziale, sia quella che poi ho avuto in seminario e nella Compagnia di Gesú e che si è avvalorata durante tutta la mia esperienza: l’esperienza tragica della guerra, l’esperienza drammatica di molti momenti della mia vita, ma anche esperienza gioiosa, serena. Certo, nella mia vita, c’è stato un complesso di situazioni che mi hanno timbrato il carattere. Ad esempio io ero un tipo molto esuberante, molto allegro. Poi mi sono capitate delle tegole in testa e non sempre giustamente. Forse anche il fatto che quando credo di fare un complimento, anziché far piacere offendo (forse per il modo) e quando sorrido sembra che ironizzi. Queste cose mi hanno turbato, ho perso il gusto dell’ilarità, però sono contento quando vedo delle persone che ridono e sono allegre.

   Accetto la «lezione», mi scuso, ma insisto con alcune domande personali che forse riterrà insignificanti. Lei è un appassionato di grappa. Si può dire un intenditore. Da cosa deriva questo suo interesse e soprattutto l’apprezzamento?

   Macché intenditore! Il fatto è che fin da bambino, in casa senza riscaldamento se non la stufa della cucina non sempre accesa e con fuori anche 12 gradi sottozero, mi si dava un goccio di grappa nel latte per scaldarmi. Poi, dopo i pasti, mi è diventato quasi necessario per digerire. Ma fuori dai pasti non la bevo mai. C’è poi un’altra faccenduola: annusando una grappa e poi inghiottendola in un certo modo, riesco a sentire (ma non me lo so spiegare) come, dove e da chi è stata fatta. E’ una cosa strana, circa cui ho avuto esperienze molto interessanti, alle quali anche chi non mi credeva e pensava che prendessi in giro, s’è dovuto ricredere.

   Che significa avere 80 anni?

   Oh! Per me, niente. Forse è triste vedere che nessuno approfitta della tua esperienza, che bene o male c’è e potrebbe essere utile, e ciascuno vuole fare tutto da capo, perdendo tempo e spazio. Il Signore mi ha aiutato. Ho avuto alcuni incidenti di salute in questi anni. Il Signore mi ha rimesso. Qualche volta ci sono voluti dei mesi, qualche altra un po’ meno. Lavoro giorno e notte….

   Com’è la sua giornata?

   Incominciamo da quando mi alzo o da quando vado a letto? Perché la mia giornata incomincia quando vado a letto che magari sono le 6 o le 7 di mattina. Poi mi alzo a seconda dei giorni. Faccio le mie cose spirituali e mi metto al lavoro, rispondo a quelli che mi cercano. Verso mezzogiorno dico la Messa, vado a pranzo, mi faccio il «pisoletto» e mi rimetto al lavoro, salvo l’intervallo di cena, fino a notte fonda. Quando vado a letto di buon’ora sono le una e mezzo o le due e spengo la luce non prima delle tre.

   Perché preferisce lavorare di notte?

   Intanto perché sono dello zodiaco dei Gemelli e si dice che lavorano meglio di notte e credo sia vero. Ma soprattutto di notte si è tranquilli. Ma non mi pare che questa questione abbia molta importanza. Del resto, sin da studente andavo a letto all’ora degli altri, ma poi non riuscivo a dormire e quindi mi esaurivo. Insomma, è temperamento, ma anche comodità di lavoro.

   Cosa sogna per il suo Centro e per la sua metodologia? Spera di essere ricordato per i suoi studi?

   Non lo so, non mi preoccupo. Siccome vedo l’utilità di questa metodologia, perché ne ho prove quasi quotidiane, mi auguro che continui e che ci siano delle persone che la portino avanti.

   C’è un erede o un gruppo di eredi di padre Taddei?

   Spero di sí. Ci sono alcuni che mi hanno seguito e mi continuano a seguire, che sono bravissimi nella mia metodologia, anzi: direi che sono avanti e l’hanno applicata anche ad altri aspetti e non solo al cinema e alla televisione.

   Ha dei rimpianti?

   Di non aver tenuto un diario, come dicevo all’inizio. Di essere stato semplice come una colomba anziché astuto come un serpente. Ma tutto è provvidenziale.

   Già, ho sentito dire che lei pronuncia spesso questa frase. Come mai?

   Qualche anno fa, una mattina scoprii che, spaccando una finestra, mi avevano rubato i dollari che mi avevano portato per comprare il biglietto aereo per la Corea. Mi venne spontanea quella frase, che poi mi è diventata spontaneamente abituale. E il bello è che non ho ancora capito perché quel furto mi sia stato provvidenziale (se non fosse perché mi ha fatto capire che, appunto, tutto è provvidenziale e sarebbe già giustificato). Infatti, da allora mi sono accorto che, se ti capita qualcosa di male, o è per salvarti da un male peggiore che ti capiterebbe o perché il Signore vuole metterti alla prova prima di concederti qualche beneficio.

   Come vanno le prediche in Internet, a cui abbiamo fatto cenno? Anche in questo è stato un precursore. La sua rubrica «Dio dopo Internet» è partita nel 1995 quando a «navigare» erano davvero in pochi.

   Mi pare che vadano bene. Tutti i giorni vedo che c’è qualcuno che le legge. Non si tratta ovviamente di grosse cifre. Quando lavoravo in televisione, e si era agli inizi, io arrivavo anche a 800 mila spettatori. Con Internet, in 5 anni, sono arrivato a 19 mila contatti. Qualche volta le mie prediche sono lette anche da 60 o 70 persone al giorno. Ma c'è una bella differenza! Eppure, ne vedo un'utilità, forse piú grande che piccola.

   L’idea com’è nata?

   Le prediche in Internet mi furono chieste da un provider di La Spezia. Io accettai perché mi sembrava opportuno che anche la Chiesa potesse servirsi di questo mezzo. La predicazione è un’opera di comunicazione. Internet è un mezzo di comunicazione perciò anche attraverso Internet si deve predicare. L’ordine di Cristo è: «Predicate a tutte le genti». Il che significa che Gesú Cristo prevedeva benissimo le differenze di lingua e quelle dei diversi media. Predicare via Internet, dunque, è rispettare l’ordine di Cristo applicandolo alle nuove tecnologie di comunicazione.

   Oltre le prediche, ha un dialogo con i frequentatori del suo sito?

   Diciamo che la mia presenza nella rete è una specie di forma moderna di direzione spirituale. Fin dall’inizio mi sono proposto di dialogare con le persone. Già dalla prima predica cominciarono a farmi domande su determinati argomenti e io cominciai a rispondere. Ma si è instaurata una specie di relazione personale, che mi obbliga a rispondere privatamente. Alcune persone, infatti, mi chiedono pareri su problemi personali. È un impegno anche duro, non potendomi dedicare solo a questo. Ma a proposito di attività pastorale, non mi sembra proprio inutile.

   Qual è l’identikit del suo «popolo di navigatori»?

   Chi si rivolge a me, ho l’impressione che non si rivolgerebbe mai al proprio parroco o ad altri sacerdoti conosciuti, forse per una specie di pudore. Penso che i miei interlocutori telematici sentano il bisogno di un contatto con la trascendenza, ma questa trascendenza la vanno a cercare al di là della fisicità del sacerdote.

   Quali sono gli argomenti che tratta piú di frequente nelle sue prediche?

   Senza dubbio gli argomenti piú gettonati riguardano il diavolo, il satanismo, la New age e l'attualità. Proprio il demonio è stato al centro della mia prima predica. Spesso mi chiedono anche di parlare di sesso, del Giubileo, del Papa…. La predica che ha avuto piú successo, in termini di contatti, è stata comunque quella in cui ho affrontato il problema dei preti e delle suore in tv.

   Sulla copertina del suo libro campeggia un computer, con dentro un occhio e sopra un triangolo. Che significato hanno?

   La copertina, realizzata dal vignettista Ro Mercenaro, può avere vari significati. Il triangolo si riferisce alla Trinità e l’occhio può essere interpretato in modi diversi: è l’occhio di Dio che si è spostato dal cielo al computer, oppure è l’occhio dell’uomo che cerca Dio attraverso il computer. Anche il titolo del libro può sottolineare vari concetti: Dio dopo Internet esisterà ancora, oppure Dio potrà essere cercato attraverso Internet?

   Internet, è piú utile o piú pericoloso?

   Andare per la strada è piú utile o piú pericoloso? Dipende. Internet ha dei pericoli, ma anche delle grosse utilità. Pensiamo anche solo alle mie povere prediche. Quelle persone che mi scrivono e con le quali spesso instauro un contatto personale stanno a significare che nonostante i tanti preti che magari avevano sotto mano, si sono sentite di aprirsi con questo sacerdote sconosciuto che fa queste prediche. Internet è pericoloso? Certo che è pericoloso. Ma è come andare per strada: bisogna stare attenti alle macchine.

   I pericoli quali sono?

   Il pericolo è che puoi incontrare delle persone che ti danno delle idee sbagliate e non te ne accorgi, oppure che perdi tempo in sciocchezze.

   Ma c’è un pericolo piú generale? Ad esempio, quando si parla di televisione si parla di massificazione. Internet, può portare a qualcosa del genere, magari attraverso un processo di pigrizia mentale per cui si cerca tutto lí senza nemmeno preoccuparsi dell’attendibilità?

   Il problema è analogo, ma non uguale a quello della televisione. La massificazione ci può essere, per esempio se uno va a cercare certi siti o pornografici o di ideologie secolaristiche. Ma uno che voglia cercare qualcosa di utile, trova delle informazioni che non trova dappertutto. In questo senso è un alimento culturale enorme. Ad esempio, se uno cerca attraverso un motore la parola educazione, saltano fuori migliaia di siti. Già da questa indicazione ci si accorge che di educazione ne sappiamo ben poco. La massificazione ci può essere nel diventare Internet-dipen­denti, cioè aver bisogno di stare lí delle ore a cercare niente.

   Il Taddei dopo Internet in che cosa si avventurerà?

   Non lo so. Cerco di fare quello che devo fare. Capisco che bisogna trovare un modo nuovo o almeno far capire che si deve trovare un modo nuovo anche di fare pastorale. Io a 80 anni capisco che devo ricominciare da capo, senza rinunciare alle basi. Il problema sono le metodiche, non le metodologie e nemmeno propriamente le strutture.

   A ottant’anni si possono fare progetti?

   Credo di sí, perché io li sto facendo. Sto infatti elaborando un piano di rinnovamento di un’attività che, pur nuova, è già invecchiata. Sono convinto che finché servi, il Padreterno ti lascia in vita. Quel giorno che non servi piú, ti chiama. Prima di addormentarmi dico sempre: «Signore, nelle tue mani raccomando il mio spirito». È un’invocazione, una richiesta di perdono, una predisposizione, perché potrebbe succedere la notte stessa. Ma io non mi preoccupo, cerco di fare quello che devo fare, giorno per giorno. Bisogna vivere di fede, soprattutto un sacerdote deve vivere di fede. A chi qualche volta mi ha detto: «Ma la fede è un dono e se io questo dono non ce l’ho, come posso fare?». Io ho sempre risposto: «Lo devi chiedere, ma è anche vero che Dio è sempre lí con il dono, sempre pronto, sei tu che lo devi prendere».

 

(…)
 
 


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