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ANIME NERE



Regia: Francesco Munzi
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Titolo del film: ANIME NERE
Titolo originale: ANIME NERE
Cast: regia, scenegg.: Francesco Munzi – sogg.: Francesco Munzi, Fabrizio Ruggirello – dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco – scenegg.: Francesco Munzi, Fabrizio Ruggirello, Maurizio Braucci – mus.: Giuliano Taviani – mont.: Cristiano Travaglioli – fotogr.: Vladan Radovic – scenogr.: Luca Servino – cost.: Marina Roberti – suono: Stefano Campus – interpr. princ.: Marco Leonardi (Luigi), Peppino Mazzotta (Rocco), Fabrizio Ferracane (Luciano), Barbora Bobulova (Valeria), Anna Ferruzzo (Antonia), Giuseppe Fumo (Leo), Pasquale Romeo (Ercole), Stefano Priolo (Nicola), Vito Facciolla (Pasquale), Cosimo Spagnolo (Cosimo), Aurora Quattrocchi (Rosa), Manuela Ventura (Giorgia), Domenico Centamore (Rosario), Sebastiano Filocamo (Antonio Tallura) – colore – durata: 103’ – produz.: Cinemaundici e Babe Films con Rai Cinema – origine: ITALIA, FRANCIA, 2014 – distrib.: Good Films (18 settembre 2014)
Sceneggiatura: Francesco Munzi
Nazione: ITALIA / FRANCIA
Anno: 2014
Presentato: 71. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2014) CONCORSO

Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, il film è diretto da Francesco Munzi che già nel 2004 fu premiato a Venezia con il suo primo ed apprezzato lungometraggio Saimir.

 

Il film racconta la storia di una famiglia calabrese ai giorni nostri. I tre personaggi principali sono tre fratelli, Luigi, Rocco e Luciano. Luigi è il più giovane e fa il trafficante internazionale di droga; Rocco vive a Milano, fa l'imprenditore e ricicla i soldi sporchi del fratello pagando in nero i suoi dipendenti; Luciano, il più vecchio, è rimasto nella sua terra, legato alle tradizioni contadine e alla cultura religiosa del suo paese e della sua famiglia. C'è poi Leo, il figlio di Luciano, che non si rassegna a seguire le orme del padre e vuole “fare carriera” come gli zii. Testa calda, Leo, per dare una lezione a chi aveva parlato male della famiglia, riaccende una faida, che sembrava sepolta, e la guerra tra i clan della 'ndrangheta. Luigi, ritornato in Calabria per smistare un carico di droga favorendo un clan a scapito di un altro, viene assassinato. Anche Rocco ritorna in Calabria per i funerali del fratello e si scontra con Luciano che non condivide il suo desiderio di vendetta. Leo si mette contro il padre e decide di agire personalmente per vendicare lo zio; ma viene tradito da un suo amico e viene ucciso. Alla fine Luciano, disperato, brucia tutto ciò che ricordava il passato e uccide il fratello, reo di avergli rovinato il figlio.

Il racconto inizia ad Amsterdam, dove Luigi stringe “una nuova amicizia” con un gruppo di malviventi, spacciatori all'ingrosso di droga. Passa poi a Milano, dove Rocco, dalle apparenze borghesi, paga in nero i suoi operai. Poi l'azione si trasferisce in Calabria dove rimane per quasi tutto il film. È chiaro pertanto che l'autore vuole parlare di questa terra, dei suoi abitanti, della sua cultura e di quelle “anime nere” che l'hanno trasformata in una terra di malavita e d'illegalità. C'è un'immagine che nel film acquista un particolare peso strutturale: è quella del mare in riva al quale c'è un gregge di capre condotte da un pastore, con l'accompagnamento di una musica tradizionale. Questa immagine fa da introduzione a questo ambiente ed è quella che conclude il film (dopo che si è conclusa la vicenda), ad indicare che, nonostante tutto, le cose restano immutate e sembrano immutabili.

L'autore poi mette in risalto la differenza che esiste tra i tre fratelli e tra Luciano e il figlio Leo. Inoltre sottolinea quel sistema di potere mafioso legato ai clan che tentano di prevalere l'uno sull'altro. Si viene a sapere che il padre dei tre fratelli era stato ucciso parecchio tempo prima e che il delitto era rimasto impunito. Si può osservare che il personaggio che acquista maggiore peso è quello di Luciano («È la figura in cui mi identifico, per il sentimento struggente che coltiva verso la propria terra violata dal male, il marcio portato dai boss», ha dichiarato Munzi). Ed è anche l'unico ad avere un'evoluzione nel film. Mentre gli altri due fratelli sono quello che hanno deciso di essere, cioè due criminali senza scrupoli, Luciano viene presentato come un uomo mite, legato alla campagna e agli animali (si veda l'episodio in cui si prende cura della capra, mentre in precedenza i suoi fratelli ne avevano rubato e ucciso due per una lauta cena). È un uomo religioso e devoto (di una religiosità popolare che utilizza “la polvere dei santi” per favorire la guarigione) e soffre nel vedere il figlio che, anziché seguire il suo esempio, si lascia sedurre dal comportamento degli zii e vuole prima andare a Milano e poi, verso la fine, farsi vendetta con le proprie mani. Non è avido e assetato di potere, tant'è vero che quando Luigi gli propone di acquistare dei terreni per avere il possesso di mezza montagna, ribatte: «E cosa me ne faccio di mezza montagna?». E quando viene a sapere che Leo è stato ammazzato, tradito da quell'amico che avrebbe dovuto aiutarlo ad uccidere il boss Nino Barreca, ritenuto responsabile dell'assassinio di Luigi, reagisce inaspettatamente con la forza della disperazione. Straziato dal dolore, dà fuoco a quell'articolo di giornale che riportava della morte del padre e a quel quadro in cui erano racchiuse le foto di famiglia e un'immagine sacra. Poi spara a bruciapelo al fratello Rocco e ad altri due suoi compari. Inutilmente la moglie lo invita a deporre la pistola. Luciano sembra non volersi fermare nella sua opera di distruzione di quel mondo corrotto e malvagio che gli ha “rubato” il figlio.

Anche se quell'immagine finale, di cui s'è detto, lascia intendere che le cose non possono cambiare con un gesto individuale da parte di un padre disperato. A questo proposito non può non venire in mente quel volto addolorato e rassegnato della madre dei tre fratelli cui vengono sottratte le persone più care da un destino a cui nessuno riesce a sfuggire. Confermando le parole del prete che, durante il funerale di Luigi aveva detto: «Questa non è vita. È un vivere da morti». (Olinto Brugnoli)  

 


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