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LA SINDONE E I MASS MEDIA - UNA SFIDA PASTORALE


di NAZARENO TADDEI SJ

Due sono gli aspetti per i quali la Sindone è in rapporto con i mass media, la nuova epoca dell'immagine: il primo è quello dell'origine fisica e tecnica che sta alla loro base; il secondo è quello del loro irrompere nella vita di oggi come fonte di informazione, di formazione e di evasione.

 

La sfida pastorale dei nostri tempi è certamente legata al fenomeno dei mass media per la sopravvivenza della civiltà che al cristianesimo ha attinto la sua linfa vitale. In questo senso, anche la Sindone ne è interessata; ma per la Sindone più che di «sfida», vorrei parlare di mistero.

Come immagine, infatti, la Sindone è mistero; precisando però che lo è per quanto riguarda la sua origine tecnico-scientifica, non per quello che essa racconta e significa.

Ed è proprio in questo suo essere mistero come origine tecnico-scientifica che la Sindone ha un importante rapporto con l'origine fisico-scientifica dei mass media.

Toccherò quindi i due aspetti.
 
Il primo aspetto: l'origine tecnologica dei mass media.

All'origine dei mass media, c'è l'invenzione tecnologica della fotografia, alla quale s'è aggiunta più recentemente quella dell'informatica. Due tecnologie assolutamente sconosciute prima della fine del secolo scorso, quando invece la Sindone era conosciuta da secoli.

Eppure, sono state proprio la fotografia e l'informatica a dare un rilievo di nuovo genere a quel lino; rilievo proprio di natura scientifica oltre che storica, anche se c'è la tendenza a riconoscere per scientifico soprattutto quello che è basato sui numeri.

Anche qui ci sono numeri, ma al di sotto del livello che qui vorrei considerare.

Tutti sono rimasti sorpresi e affascinati di fronte al volte che - assolutamente inatteso - è apparso sulla lastra negativa del fotografo dilettante, avv. Pia, quella sera del 1898. Così pure nessuno ha potuto rimanere indifferente davanti all'immagine tridimensionale che i tecnici della Nato John Jackson e collega Eric Jumper, fino al prof. Tamburelli con diverse tecniche nel 1978, hanno ricavato al computer, da una microfotografia della Sindone.

Queste due scoperte tecnologiche, di per sé banali eppur magnifiche, quanto mai profane e aliene da convincimenti o intendimenti religiosi, sono entrate con prepotenza nella storia della Sindone. Infatti sono penetrate proprio in quel piccolissimo 5% di possibilità d'errore ammesso dagli scienziti dei tre centri del radiocarbonio e si sono ingigantite, già ante litteram, fino a gettare il dubbio su tutto quel pur prestigioso e impressionante 95% di certezza portato da quegli scienziati; pur prescindendo da tutto quello che è stato detto e si può dire a proposito di quella concreta indagine.

Parlo della sola immagine e non delle tracce di sangue, che pur esse hanno tutto il loro peso di macigno pro e contro varie ipotesi, perché è all'immagine che sono interessate e, direi, legate le due citate tecnologie.

E precisamente: per quanto riguarda la fotografia («scrivere con la luce») rilevo due fatti: il primo - enorme - il concetto di negativo, il fenomeno che nella Sindone ci ha permesso appunto di vedere concretamente le fattezze del corpo in essa impresso e che nessuno aveva mai sospettato, come dimostra la storia dell'iconografia ispirata alla Sindone; il secondo fatto, la produzione dell'immagine per proiezione e non per contatto.

Ma una fotografia normale registra solo le variazioni della luce e non dà informazioni circa la distanza tra la macchina da presa e il soggetto; la «fotografia» sindonica, invece, contiene nei suoi chiaroscuri gli elementi che, invisibili a occhio nudo, permettono all'analizzatore di rilevare la distanza dei piani di profondità del corpo dal telo e quindi l'impronta tridimensionale del corpo che ha prodotto quell'immagine.

Ecco allora che l'immagine sindonica non può essere strettamente fotografica, cioè scritta con la luce; eppure lo è in forza dell'applicazione del concetto di negativo e della produzione per proiezione.

Quest'immagine negativa, poi, (la Sindone appunto) non si è formata dove ha incontrato dei grumi di sangue o, quanto meno, la macchia di sangue ha coperto l'immagine.

C'è poi un altro elemento, già rilevato ieri dal dr. Petrosillo e che qui si congiunge, quello della cosidetta «pulizia fotografica», cioè l'assenza completa di sbavature nella riproduzione sul lino ovvero l'assenza di effetti di fotografia mossa, i quali ci sarebbero stati se, p.e., il lenzuolo si fosse in qualche modo adagiato o sollevato sul corpo o se il corpo fosse stato rimosso o fosse rimasto oltre le 36 ore rilevate dalla scienza.

Tutto questo è dato di fatto e non dato ipotetico o teorico interpretativo. È fenomeno misurabile e quindi scientifico, dove anche i dati storici possono diventare scientifici.

Vuol dire che in quel lino - come già è stato detto e ripetuto in questi decenni - certamente è mistero il come si possa essere formata quell'immagine fotografica che non è fotografica; ma insieme è certezza che in esso c'è stato il cadavere di una persona con un casco di spine, che ha avuto 700 ferite e 120 colpi di flagrum romano, un costato trafitto da una lancia romana, polsi e piedi trafitti da chiodi romani, che prima d'essere crocefisso ha portato sulle spalle alla maniera romana il patibulum e nel cammino è cascato per terra; ma è anche certezza che quel corpo dopo 36 ore è misteriosamente scomparso da quel lenzuolo senza che nessuno l'abbia toccato.

Non c'è scritto che quel cadavere è stato quello di Cristo; ma è ben più probabile - anche la scienza ammette probabilità - esso corrisponda in tutto alla persona di cui dice il Vangelo, piuttosto che sia esistito un altro caso equiparabile, soprattutto per l'accennata «pulizia fotografica» di quel lino.

A questo dettato della fotografia e dell'informatica, soccorrono, ovviamente e preziosissimamente, tutti gli altri fondamentali reperti di scienza multidisciplinare che sono stati offerti prima e dopo la fotografia, prima e dopo il C14, prima e dopo le analisi polimeriche ed eventualmente racemiche; ma i dati tecnologici che ho riferito contribuiscono in maniera essenziale a sconfiggere ogni dubbio ulteriore.

Possiamo quindi essere ben grati alle nuove tecnologie della comunicazione, che in altro settore hanno dato origine ai mass media.

 
Il secondo aspetto: l'irrompere dei mass media.

È il fenomeno che, iniziato appunto con l'invenzione della fotografia, è diventato irruente e socialmente dirompente, con i mezzi di comunicazione di massa, dalla stampa al cinema alla tv e derivati.

Questi mass media hanno parlato e parlano, e come, della Sindone?

Anche qui vorrei distinguere tra i media che, grazie alle nuove tecnologie, diventano preziosi mezzi di conoscenza e d'informazione e i media in quanto sfruttano queste stesse tecnologie per le comunicazioni di massa.

In parole povere, vorrei distinguere tra i grandi mezzi di diffusione di massa (oggi, soprattutto, la tv e la grande stampa) e i mezzi privati, com'è stata la stessa fotografia dell'avv. Pia o la microfotografia degli informatici citati - e ne ho già rilevato l'enorme importanza - e come sono le varie pubblicazioni, ma soprattutto i vari filmati o documentari sulla Sindone, che sono stati realizzati qua e là con maggiore o minore successo e professionalità, i quali pure hanno la loro notevolissima parte di contributo e di importanza.

Dal materiale che mi è stato messo a disposizione, quasi esclusivamente italiano, mi pare di poter dire che, nei grandi mezzi d'informazione, anche per la Sindone s'è verificato quello che si verifica generalmente: un cane che morde un uomo non fa notizia; fa notizia invece un uomo che morde un cane.

Anche la Sindone generalmente ha fatto e fa parlare di sé quando c'è qualcosa che possa servire a qualcuno cui interessa il consenso popolare e se ne parla in maniera da accontentare la curiosità della gente comune. Ne abbiamo due esempi abbastanza vistosi nella tv italiana.

Il primo è quello del povero Enzo Tortora, che nella sua trasmissione Giallo, dopo essere uscito dall'incredibile vicenda giudiziaria, ma ormai purtroppo ammalato gravemente, ne ha parlato due volte di seguito il 30 ottobre e il 6 novembre 1987.

Tortora ha condotto con grande signorilità le due trasmissioni e le ha impostate da par suo, chiamando due sostenitori a favore e due sostenitori contro l'autenticità.

L'impressione, dunque, non oso dire l'intento, era quella di una grande obiettività; purtroppo, però, di fatto - e mi dispiace molto il rilevarlo, proprio in quato decennio dalla morte di una persona che ha tanto sofferto per l'ingiustizia degli uomini, - pare si sia lasciato prendere la mano dalle tesi contro, dando p.e. maggiore spazio al professor Delfino Pesce di Bari il quale, ignorando tutte le prove sindoniche che la scienza aveva proposto fino ad allora, ha esemplificato al teleschermo la sua ipotesi d'un volto in bassorilievo di bronzo riscaldato a 230 gradi, che lascia un'impronta di bruciatura sul telo che gli si prema contro. Non avendo lasciato tempo al prof. Baima di rispondere a quest'ipotesi più soggestiva che convincente - comunque abbastanza facilmente rifiutabile, non fosse altro che per la dimensione del bassorilievo riscaldabile e per la pressione sul telo, oltre che per la bruciatura - nella settimana successiva ha invitato ancora i due personaggi. Ma ha lasciato che l'emotività prendesse il sopravvento sulle ragioni obiettive, tant'è vero che quando il Baima osservò che il Pesce non aveva mai visto la Sindone e che quindi non ne avrebbe potuto parlare con troppa sicumera, e questi rispose che il problema era di metodologia, suscitando l'applauso del pubblico presente, egli chiuse il discorso, senza permettere ancora una volta al Baima di controbattere.

Dopo queste trasmissioni di Tortora, ci sono state qualche po’ di presa di posizione chiarificatrice su «Il Tempo» di Roma, sui cattolici «Avvenire» e «Il nostro tempo» di Torino e un botta e risposta sulla «Stampa». Ma soprattutto ci sono stati due interventi fortemente critici e puntualizzanti della prof.ssa Marinelli e del dr. Petrosillo su due pubblicazioni specializzate.

Meno di un anno dopo, il 12 settembre '88, lo Speciale TG1 metteva in onda un servizio molto buono di Giancarlo Giojelli da Torino. Tra l'altro, si proiettava una buona parte del filmato sul prelievo per l'esame al carbonio 14, si presentavano con obiettività alcuni risultati di scienza come quello dei pollini, si confutavano alcune tesi opposte all'autenticità - tra l'altro quella già sopra citata del bronzo riscaldato del prof. Pesce - e si ponevano con chiarezza i problemi sostanziali di fondo, facendo intervenire vari personaggi autorevoli.

Voglio ricordare in particolare l'affermazione di uno di questi personaggi: la Sindone presenta tali caratteristiche paradossali, che se si mettono insieme tutti i dati che essa presenta sotto il profilo scientifico, bisognerebbe concludere che la Sindone non esiste.

Qualche settimana dopo, anche Telemontecarlo (6.10.88) metteva in onda una trasmissione, «Il mistero della Sindone», guidata da una presentatrice con eleganza e con molta buona volontà, comunque pur sempre apprezzabile.

Quindi anche la TV ha fatto qualche buon servizio.

Ma l'altro caso che vorrei citare quale esempio di Tv che si presenta come informazione obiettiva, mentre preferisce condurre un po’ le cose come vuole, è la duplice trasmissione di Minoli, Mixer, del 25 marzo e dell'8 aprile '91, dopo l'annuncio del card. Ballestrero circa i risultati del C14.

A parte che Minoli s'è vantato di trasmettere in prima assoluta le immagini del filmato, che invece avevamo già visto in Speciale TG1, anche qui, in apparenza, grande ricerca dell'obiettiva verità. Due trasmissioni vivaci, interessanti e anche documentate, ma impostate sul - diciamo - dubbio sistematico: i commenti di Minoli a ogni pié sospinto, anche alle argomentazioni scientificamente più valide, annotava: «sono solo ipotesi», «pare sia così e invece no»; e, per chiudere la prima trasmissione: «misteri che forse non saranno mai svelati». Ha poi iniziato la seconda puntata dicendo: «dubbi sempre più fitti»; concludendola dicendo: «ancora dunque esami, dubbi, interrogativi»; ma ha anche approfittato spesso di quello che gli intervistati osservavano circa punti ancora oscuri, per affermare e quasi esasperare la situazione di dubbio e di incertezza sul valore di quei documenti e di quelle prove.

Non vorrei dire che in tal modo di fare ci fosse l'esplicita volontà di distruggere la convinzione dell'autenticità della Sindone; forse è stata solo abilità di un conduttore di gioco televisivo. Certo è però che con questo modo di fare, di fatto e concretamente, si collabora a distruggere il senso delle cose e quindi la verità.

Prego infatti di osservare: nessuna autorità ecclesiastica ha mai collegato l'autenticità della Sindone con la fede in Cristo; quindi anche se la Sindone si dovesse rilevare un falso, la fede non ne subirebbe alcun nocumento, se non forse di carattere emotivo in qualcuno più patito che fedele. Ma nel modo di condurre quelle trasmissioni, da una parte si evidenzia il rispetto per un eventuale documento così importante, dando così l'impressione che ci sia un collegamento almeno sotterraneo tra fede e veridicità sindonica; e, dall'altra, si evidenzia il dubbio che esiste su singoli aspetti come se si trattasse di dubbio doveroso per tutto il problema. Di qui, l'idea che la sconfitta dell'autenticità della Sindone sarebbe una sconfitta della fede, quindi qualcosa che aiuta a riproporre qualcosa come il vecchio… «la Chiesa oppio dei popoli». Quando poi si è citato p.e. il card. Saldarini il quale sosteneva che non c'è collegamento necessario tra Sindone e fede, lo si è fatto mettendo le sue parole in un contesto che pareva che anch'egli parlasse contro l'autenticità. Quindi si rafforza l'idea di Sindome come qualcosa di non vero.

Orbene, questi due esempi massmediali appartengono al genere «informazione-spettacolo», dove l'intento dell'audience e quindi dello spettacolo prevale su quello dell'informazione, spesso proprio a scapito dell'informazione stessa. Non solo, ma talvolta ci si serve proprio di questo grimaldello per diffondere comunicazioni inavvertite che vanno poi a formare mentalità, cioè l'origine di convinzioni profonde anche se prive di basi razionali, se non il fatto del possederle come proprie.

Quindi, se qualcuno vedesse in questo modo di trattare la Sindone una certa punta antireligiosa più che anticlericale, non troverei molto da obiettare.

Ma la tv, oltre che informazione e formazione (o de/formazione), è anche evasione, quindi puro spettacolo; e oggi sta invalendo la moda di fare spettacolo con casi di vita reale.

È il caso p.e. della trasmissione Fatti vostri, diretta da Frizzi: il 12 marzo scorso, una certa regista televisiva (Maria Consolata Corti) vi è apparsa a dichiarare tutta pimpante che la Sindone è un falso, perché opera di Leonardo, perché in giro ce ne sono una quarantina e, addirittura, guarda caso!, dati sindonici e date di nascita sembrano misteriosamente collegati tra loro, come in un gioco parapsicologico o magico. Posizione assurda oltre che risibile, per chi sappia almeno qualcosina sulla realtà della Sindone; ma lì essa non ha avuto la minima discussione, anzi frizzi l'ha chiamata interessante.

Dai molteplici applausi poi che l'hanno accompagnata, si direbbe che la gente presente in sala non s'era certo preoccupata di mettere in discussione le sciocchezze che le i propinavano. Eppure qualche settimanale - come «Oggi», «Gioia» e qualche altro - le ha dato un certo peso.

Ancora: in occasione del simposio internazionale tenutosi dieci giorni fa alla Domus Mariae, alcune agenzie di stampa ne hanno dato preventiva notizia e parecchi quotidiani l'hanno riferita. Ma si è dato peso praticamente alla dichiarazione del russo prof. Kouznetsov, premio Lenin, - l'ex Unione Sovietica che viene in soccorso della Chiesa cattolica - e alle preoccupazioni della Siliato per il degrado fisico dell'immagine. Il tutto, ovviamente, con toni diversi a seconda dello… stile dei giornali.

Una parola su gli applausi… Li avevamo notati con Enzo Tortora e li abbiamo notati nell'intervento di Fatti Vostri, insulso e offensivo della dignità di chi l'ha portato a quel modo sul teleschermo.

È vero che il pubblico ammesso in sala durante le trasmissioni praticamente non può che applaudire quando gli dicono di applaudire: sono i forzati dell'applauso e non si preoccupano certo di sapere se ciò che applaudono meriti; non solo, ma non sospettano nemmeno di civiltà e anche di morale. Essi tuttavia vengono a costituire parte di quelle comunicazioni inavvertite cui più sopra ha accennato.

Ma questo è problema che, pur esulando ormai dalla Sindone, investe un fenomeno socialmente molto preoccupante perché degradante; ed è qui che bisognerebbe parlare di sfida pastorale. In questo fenomeno, anche la Sindone è stata coinvolta; e non certo per colpa della Sindone stessa o di chi vorrebbe che nei media se ne parlasse di più.

Non vuol dire comunque che ci si debba scoraggiare.

Così, ritorno a quello che ho detto all'inizio: i media come tecnologia di conoscenza.

Accanto agli ottimi filmati, pochi per la verità, ma certamente illuminati dell'uno o dell'altro aspetto sindonico, ricordo come utili, p.e., un recente servizio di Telepace e un «Prossimo tuo» di Rai2; ma non posso omettere nemmeno gli annunci che p.e. proprio di questa iniziativa del Caravita hanno parlato alcune tv private come Persona Tv.

Non è tutto, ma non è poco.

La presenza di persone e fatti religiosi sugli schermi televisivi e sui media in generale è oggi cosa indispensabile; è quindi importante anche per la conoscenza di questo 5° vangelo. Ma devo concludere osservando che è molto pericoloso affidarsi ai grandi media per propagandare il messaggio cristiano e quindi anche la Sindone. Infatti non è il «cosa» che fa vera comunicazione, bensì il «come». Importa che se ne parli; ma ciò che costruisce o distrugge è il come se ne parla, soprattutto a livello di comunicazioni inavvertite, proprio per la tipica natura dei mezzi di comunicazione di massa.

L'attuale Pontefice nell'enciclica Redemptoris Missio ha scritto: «non basta usare questi mezzi per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa "nuova cultura" creata dalla comunicazione moderna». Sono parole gravi e gravide, perché questa è la vera sfida pastorale dei nostri tempi. (giugno 1993)

 


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