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IL DIARIO DI ANNA FRANK



Regia: George Stevens
Lettura del film di: RAF
Titolo del film: IL DIARIO DI ANNA FRANK
Titolo originale: THE DIARY OF ANNE FRANK
Cast: REG. George Stevens - REG. DEGLI ESTERNI AD AMSTERDAM George Stevens jr. - AIUTO REG. David Hall - SOGG. dal diario di Anna Frank - SCENEGG. Frances Goodrich, Albert Hackett - FOTOGR. (b. e n., Cinemascope) William C. Mellor - FOTOGR. DE¬GLI ESTERNI AD AMSTERDAM Jack Cardiff - SCENOGR. Lyle R. Wheeler, George W. Davis - COST. Mary Wills - Mus. Alfred Newman - MONT. David Bretherton, Robert Swink, William Mace - EFFETTI SPECIALI FOTOGR. L. B. Abbott A. S. C. - TRUCCO Ben Nye - SUONO W. D. Flick, Harry M. Léonard - INTERFR. Millie Perkins (Anna Frank), Joseph Schildkraut (Otto Frank), Shelly Winters (signora Van Daan), Richard Beymer (Peter Van Daan), Gusti Huber (signora Frank), Lou Jacobi (signor Van Daan), Diane Baker (Margot Frank), Douglas Spencer (Kraler), Dody Heath (Miep), Ed Wynn (signor Dussel), - PROD. George Stevens per la 20th Century Fox - ORIG. Stati Uniti, 1959 - DISTR. 20th Century Fox - m. 4200 circa - 136'.
Sceneggiatura: Frances Goodrich, Albert Hackett
Nazione: USA
Anno: 1959
Presentato: XII Festival di Cannes (1959), al I Festival di Mosca (1959), fuori concorso, e nella Sezione Informativa della XX Mostra di Venezia (1959).
Premi: Premio « Globi d'oro » 1959 (dell'Associazione della Stampa Estera di Hollywood). 3 OSCAR 1959 per: miglior attrice non protagonista (Shelley Winters), fotografia e scenografia (entrambi nella categoria b/n). PREMIO PULITZER 1956 AL SOGGETTO. - DAVID DI DONATELLO 1960 TARGA D'ORO.

da Schedario Cinematografico, RAF, 1963, alla voce

È LA STORIA DI Anna Frank, una ragazza ebrea la quale — a causa della persecuzione an­tisemitica nazista — per oltre due anni rimane nascosta — con i genitori, la sorella e quattro correligionari — in una soffitta ad Amsterdam, sofferente per le privazioni della reclusione e per il costante terrore di tradire l'esistenza del nascondiglio, sensibile partecipe delle piccole gioie e dei contrasti dell'occasionale comunità, protagonista di un precoce delicato amore; finché, scoperto il rifugio, viene arrestata assieme ai compagni di sventura.

GIUDIZIO UFFICIALE CATTOLICO (C.C.C.): «I fatti descritti, riguardino la guerra, le per­secuzioni, la vittoria, la libertà, o si riferiscano alla vita nella soffitta, sono visti sempre attra­verso l'acuta, fresca sensibilità di una bambina. Il risultato è positivo: questa giovane creatura ci insegna infatti che la paura, la fame, lo stesso presentimento della morte non possono far dimenticare ai prigionieri che oltre le sbarre esistono il sole e la libertà, e che malgrado il male che gli uomini compiono, c'è nel loro animo un'innata bontà che consente di non dispe­rare della sorte del mondo. L'argomento trattato e le situazioni descritte rendono il film adat­to a un pubblico di adulti. »

GIUDIZI DELLA CRITICA: ASPETTO CINEMATOGRAFICO E ARTISTICO« (...) Mirabile tecnico, stilista impeccabile, Stevens ha costruito un film senza difetti che vibra in sordina, che è tenero, e che nello stesso tempo, quasi sussurrandone le ragioni umane e civili, è un'opera rigorosa di denunzia. (...) » (Pietro Bianchi in « // Giorno », 16-9-59).

« (...) Stevens non solo ha saputo superare la matrice teatrale che gli ha suggerito le sue sequenze, ma ancora, con l'obiettivo ha saputo avere continue bra­vure. La tessitura visiva è costante, scorci e campi continuamente si alternano e si variano, e ciò senza il minimo virtuosismo apparente. (...) » (Mario Gru­mo in « La Stampa », 16-10-59).

« (...) Il suo {di Stevens'] è un discorso cinemato­grafico tutto centrato sulla protagonista e sul dia­logo che costei apre con il mondo che la circonda. I personaggi pesano per quel tanto che gravitano nell'ambito di lei, i fatti sono annotati come la fan­ciulla li vide e li giudicò (...). Ne scaturisce così l'ori­ginale taglio psicologico del film, che agli episodi narrati conferisce una penetrante luce d'umanità in virtù di questo sguardo di adolescente inquieta e dolce, che scruta il mondo e, riflessa nel mondo, sco­pre se stessa. (...) Cornice essenziale della storia, anzi fattore ingranato intimamente nel tessuto psicolo­gico del film appare l'ambiente della soffitta: utilizzato con preziosa maestria dalla macchina da presa, esso costruisce il clima dell'opera (...). (Re­nato Buzzonetti in « Rivista del Cinematografo », 1959, 11-12, pp. 369-370).

« (...) Il film ha, si, uno stile severo, concentrato, una recitazione ottimamente concertata, il rispetto più assoluto dell'unità di luogo (la soffitta) contrap­puntato solo da alcuni esterni (...). Tuttavia l'ope­ra di Stevens presenta, a mio giudizio, una menda molto grave: non riesce a comunicare il senso di chiuso, di soffocamento, di prigione che dà il vivere due anni in soffitta, senza muoversi né fia­tare per otto ore al giorno. La fotografia di William Mellor è senz'altro fuori tono: brillante dove do­veva essere opaca, luminosa dove doveva essere chiaroscurale. (...) In secondo luogo, Stevens rimane in questo film molto hollywoodiano, cedendo in più punti, ad esempio, al gusto della "suspense" o dandoci un'Anna Frank sempre a puntino, pettinata, truccata, troppo piccola diva. Milly Perkins (...) presenta una gamma di espressioni limitata, la sua interpretazione resta in superficie. (...) » (Ernesto G. Laura in « Bianco e Nero », 1959, 6, pp. 3940).

 

« (...) Nonostante la cura amorosa, la sapienza del mestiere e il profondo impegno morale, il film non riesce, da una parte, a restituirci in termini dram­matici la personalità di Anna Frank e, dall'altra, non si sottrae a una sorta di nobilissimo tedio perché non ha saputo dare una dimensione temporale in termini drammatici all'agonia dei due interminabili anni (...). » (M. M[orandini] in «La Notte », 16-9-59).

 « (...) Nel film (...) prendono (...) rilievo i "tipi", le macchiette (...): l'azione si spezzetta in tante sce­nette a carattere bozzettistico, ora tragiche ora umoristiche, ma sempre tenute sullo stesso piano. (...) Forse rendendosi conto di questo scadimento il regista Stevens tenta di ristabilire l'equilibrio eccedendo in tutte le scene più mediocremente spet­tacolari (...). Naturalmente dal punto di vista del mestiere il film è perfetto; ma, qui sta il punto, lo è troppo. (...) » (F. V[alobra] in « Cinema Nuovo », 1959, 141, p. 452).

« (...) Il più grande torto di Stevens fu di non risalire all'origine, di partire dalla commedia (...). Donde dei personaggi tagliati con l'accetta, buoni o meno buoni (...). Nulla nel diario originale legit­timava queste semplificazioni grossolane. (...) » (L. M[arcolles] in « Cahiers du Cinema », 1959, 101, p. 60).

 

« (...) La partitura musicale di Alfred Newman era interessante per una curiosa ragione. Non c'era nes­suna dissonanza, né cacofonia e Newman s'era ba­sato unicamente su "dolci arpeggi" per commuo­vere i cuori. (...) » (Helen Weldon Kuhn in « Films in Review », [New York], 1959, voi. X, april, 4, pp. 232-234).

GIUDIZI DELLA CRITICA: ASPETTO CONTENUTISTICO E TEMATICO

 « (...) Il film fa ogni onesto sforzo per porre in bella e forte luce i motivi ideali del "Diario": il padre e la sorella di Anna sono esemplari (ma nel "Diario" la sorella è ancora più esemplare). Esem­plare e commovente poi in Anna il sentimento poe­tico della natura, del cielo, del vento, delle nu­vole, del sole, insomma di tutto quel po' di natura che essa poteva vedere dal suo abbaino: un senti­mento che si va schiudendo a un autentico senso religioso delle cose e della storia. È in ciò che soprattutto respira e si espande il suo spirito. (...) » (Guido Sommavilla in « Letture », 1960, 1, p. 58).

« (...) La personalità di Anna Frank quale balzava dalle pagine del libro, nel film è deformata sino a mutarsi, nelle ultime sequenze, in una raffigu­razione di giovinetta ansiosa di libertà e d'amore: un arbitrio che si deve respingere perché risolve troppo banalmente una situazione satura di ango­scia e tesa verso le soluzioni più drammatiche. (...) » (S. C. in «Il Popolo», 17-9-59).

« (...) Proprio i frammenti da cui risulta la sua [di Anna\ ribellione alla condanna sono i più si­gnificanti: per esempio, il precoce risveglio all'amo­re, nella visita che fa (...) all'abbaino dove l'attende Peter (...). In quell'episodio il pensiero della sven­tura è cancellato; c'è, soltanto, una ragazzina che incontra la primavera, e il rombo dei cannoni è troppo lontano perché lo avverta. Di aver anco­rato tanta sostanza commossa ai toni dimessi della verità, evitando il furore della requisitoria, e dì aver dato senso e vibrazione anche alle meschinità delle privazioni (il pezzo di pane conteso, lo spazio disputato) va dato merito a Stevens (...). » (Lan[o-cita] in « Corriere della Sera », 16-9-59).

« (...) Per George Stevens la storia di Anna Frank non è solo una condanna, ma una rivelazione del lato più gentile dello spirito umano.. Se il suo film a volte si libra pericolosamente sull'orlo del senti­mentalismo è perché egli sospetta che molti non vogliano sia loro ricordato l'aspetto più spaven­toso della storia di Anna. (...) » (Albert Johnson in « Film Quarterly », [University of California], 1959, voi. XII, summer, 4, p. 42).

 

GIUDIZI DELLA CRITICA:   ASPETTO MORALE

 

« (...) In Anna la religiosità non è ritualismo este­riore, ma bontà e generosità, nella cui potenza diffusiva ardentemente crede, sicché l'amore per Peter diviene la punta estrema di questo atteg­giamento e per l'uomo amato desidera solo la sua gioia, la sua pace, la sua fede. I colloqui con il ragazzo, cosi esemplari per la loro delicatezza e serietà, sono ovunque animati da questo sotter­raneo senso di offerta, che vuole rendere partecipe l'essere amato dei motivi essenziali della propria vita. Anche se Anna ignora i grandi temi tradizio­nali della vita cristiana, la sua è indubbiamente un'apertura apostolica nel senso più bello del ter­mine. (...) Otto Frank appare davvero, secondo una delle più fervide intuizioni del film, come un erede delle grandi tradizioni di Israele. È l'uomo di Dio che crede nella potenza della preghiera, che nell'ora del terrore affida le sue figlie a Dio, che si abbandona alla volontà del Signore con consa­pevole umiltà, che si sente partecipe del destino di tutto un popolo, che accetta la morte come una promessa di vita. Sono pagine di sublime vigore spirituale, rese suggestive dall'autenticità dell'espe­rienza narrata e dalla tersa commozione del rac­conto cinematografico. Ed allora il discorso del film si allarga, si fa universale (...). » (Renato Buz­zonetti in « Rivista del Cinematografo », 1959, 11-12, p. 370).

NOTE

      Il film si ispira alle vicende di Anna Frank (la ragazza ebrea vissuta per due anni nascosta ad Amsterdam e morta in campo di concentra­mento, a Bergen Belsen, nel marzo 1945), narrate nel diario noto in tutto il mondo.

      Frances Goodrich e Albert Hackett avevano tratto dal diario il dramma The Diary of Anne Frank, replicato negli Stati Uniti per oltre due anni (con Joseph Schildkraut e Gusti Hubert nei ruoli sostenuti nel film e con Susan Strasberg in quello di Anna Frank). In Italia lo stesso dram­ma è stato portato sulle scene con grande suc­cesso dalla Compagnia « dei Giovani » (De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli-Albani), con la regia di Giorgio De Lullo e con Anna Maria Guarnieri nella parte di   Anna   Frank.

      Millie Perkins, nata a Passaic (New Jersey, U.S.A.) il 12-5-1939, faceva la modella ed era ap­parsa solo in shorts pubblicitari della televisione quando   fu   scelta   fra   oltre   10.000   concorrenti   a interpretare Anna Frank. In seguito ha parteci­pato a WILD IN THE COUNTRY (Paese selvaggio, 1961) di Ph. Dunne e, come protagonista, a DUL­CINEA (Dulcinea, incantesimo d'amore, 1962) di V. Escriva.

     Il film è stato presentato al XII Festival di Cannes (1959), al I Festival di Mosca (1959), fuori concorso, e nella Sezione Informativa della XX Mostra di Venezia (1959).

     Premio « Globi d'oro » 1959 (dell'Associazione della Stampa Estera di Hollywood).

     Uscito in Italia nel settembre 1959; incasso in 15 città per complessivi 245 giorni: L. 70.422.000; indice di frequenza: 146 (dati aggiornati al 31-8-60; da « Cìnemundus »).

 

     Particolarmente adatto per cicli sul valore mo­rale della persona, sui problemi umani derivanti dalla guerra, sul cinema che si basa sui valori della dignità umana, sul problema razziale.

 


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