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JIAOYOU



Regia: Tsai Ming-liang
Lettura del film di: Andrea Fagioli
Titolo del film: STRAY DOGS
Titolo originale: JIAOYOU
Cast: regia: Tsai Ming-liang – scenegg.: Tsai Ming-liang, Song Peng-fei, Tung Cheng-yu – fotogr.: Liao Pen-yung – mont.: Lei Chen-ching – scenogr.: Liu Cheng-feng – cost.: Wang Chia-hui – suono: Tu Duu-chih – interpr. princ.: Lee Kang-sheng, Lu Yi-ching, Lee Yi-cheng, Lee Yi-chieh, Chen Shiang-chyi – durata: 138’ – colore – produz.: Homegreen Films, Jba Production – origine: TAIPEI CINESE / FRANCIA, 2013 – distrib. intern.: Udi
Sceneggiatura: Tsai Ming-liang, Song Peng-fei, Tung Cheng-yu
Nazione: TAIPEI CINESE / FRANCIA
Anno: 2013
Presentato: 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2013 – CONCORSO

Hsiao-Kang, un uomo sulla quarantina, vive con i suoi due figli (un maschio preadolescente e una femmina più piccola) in un palazzo abbandonato in un quartiere povero di Taipei. Si guadagna da vivere (ma sarebbe meglio dire sopravvivere) reggendo cartelloni pubblicitari ad un trafficato incrocio stradale, mentre i figli riescono a mangiare grazie agli assaggi e ai campioni gratuiti delle promozioni di un supermercato dove incontrano anche una dipendente, Xiao Lu, che si prenderà cura di loro e del padre.

 

Caratteristica del film sono le lunghissime inquadrature fisse, ovvero senza movimenti esterni (di macchina) e pochissimi movimenti interni (degli attori). Inquadrature nel senso tecnico del termine, ovvero da quando la macchina da presa inizia a riprendere a quando stacca, quindi in tempo reale, tanto da determinare un ritmo cinematografico particolarmente lento. Di fatto non esiste un montaggio nel senso che si intende abitualmente. La storia è narrata attraverso queste inquadrature, come fossero singoli quadri, senza la necessità che vi sia un nesso logico o un collegamento diretto tra un'inquadratura e l'altra, un "quadro" e il successivo.

La stessa vicenda si comprende via via che scorrono le inquadrature pur lasciando qualche dubbio ad esempio sulle figure femminili o sul valore simbolico di alcune azioni. La donna dell'inquadratura iniziale, che si pettina seduta accanto ai due bambini che dormono, potrebbe essere la madre vera che poi, per un motivo di cui non si dice e nessun elemento ce lo spiega, se ne va. Quello che è certo e che nel resto della storia compare una famiglia monoparentale senza una madre. Una famiglia che vaga ai margini della moderna Taipei, dai boschi e dai fiumi della periferia alle strade bagnate di pioggia della città. Di giorno, come detto, il padre racimola una misera paga come uomo-sandwich (reggicartello umano) per appartamenti di lusso, mentre i due bambini si arrangiano al supermercato. Ogni sera, però, i tre si ritrovano, si lavano in un bagno pubblico e dormono insieme al lume delle candele in un edificio abbandonato. È di fatto una vita randagia (sia pure con un minimo di dignità: lavarsi i denti, mettersi il pigiama...), una vita randagia come quella dei cani che vivono nello stesso palazzo abbandonato e ai quali di notte Xiao Lu porta gli scarti del supermercato. Sarà proprio in una di queste circostanze che la donna scoprirà nel palazzo un grande "affresco" con l'immagine di un paesaggio naturale, con tanto di montagne e fiume, che in qualche modo si contrappone alla citta` diventata discarica per cani randagi e ingolfata da un traffico tipicamente occidentale.

Quel dipinto sarà anche l'immagine finale del film, o meglio l'oggetto dell'ultima lunga inquadratura che segue ad una molto più, di una dozzina di minuti, in cui si vede Xiao Lu immobile che guarda verso l'esterno del quadro e per un paio di volte piange. Alle spalla della donna c'è Hsiao-Kang che ogni tanto beve del liquore da una bottiglietta e che alla fine si avvicina e abbraccia Xiao Lu (forse a simboleggiare il compimento della progressiva identificazione di Xiao Lu con la moglie). A quel punto inizia l'ultima inquadratura: la donna esce di scena, rimane per un bel po' solo l'uomo che guarda il dipinto ed essendo inquadrato di spalle consente finalmente anche allo spettatore di vedere ciò che guardavano i due. Infine, anche Hsiao-Kang esce a sua volta di scena lasciando lo spettatore da solo a fissare il dipinto. Il film si chiude dunque con un dipinto su un muro che è stato guardato a lungo dai personaggi mentre il pubblico ha guardato loro, fino a che non rimane che l'oggetto dello sguardo. Lunghe inquadrature fisse, rese possibili da una fotografia accurata e particolare e dalla capacità degli attori di essere immobili ed espressivi allo stesso tempo. Si potrebbe parlare, in questo caso, di reale forza espressiva dell'inquadratura, che sembra esplorare l'immobilismo umano nella metropoli moderna con il fiume e le montagne che restano lontano, quasi un miraggio, simbolo di radici ormai perse al ricordo delle quali non si può che piangere.

Nel film ci sono molti altri elementi simbolici che non è facile cogliere. Basti pensare ad esempio al canto di Hsiao-Kang quando è costretto a reggere il suo cartello pubblicitario sotto una tempesta di pioggia e vento. A spiegarlo è stato lo stesso regista Ming-liang Tsai, che ha raccontato di aver visto alcuni anni fa un uomo per le strade di Taipei che reggeva un cartellone pubblicitario di un tour operator: "Rimasi sbalordito da quella visione e mentre lo osservavo a un semaforo iniziai a pormi delle domande. Quanto tempo rimarra` li` in piedi? Quanto guadagnerà? Dove va se ha bisogno della toilette? Corre da parenti e amici? Si vergogna se li incontra? A che cosa pensa? È come un palo del telefono o un muro o un albero. Nessuno lo nota e a lui non interessa. Di li` a poco quel tipo di attività si è sviluppata enormemente e gli uomini-sandwich sono spuntati ovunque per pubblicizzare le proprieta` immobiliari. Un numero crescente di persone aveva perso il lavoro e iniziato questa nuova professione per le agenzie immobiliari. Era come se il loro tempo fosse diventato senza valore. Agli uomini-sandwich è concessa una pausa di dieci minuti ogni cinquanta, durante la quale possono bere e andare in bagno. Lavorano otto ore al giorno reggendo un cartellone pubblicitario e durante il turno di lavoro non è concesso loro di fare altro. Ne ho visti alcuni borbottare tra sé e sé, ma non sono mai riuscito a capire cosa dicessero. Per questo, nel mio film, ho voluto che Hsiao-Kang cantasse "Man Jiang Hong" (letteralmente, "un fiume pieno di rosso"), un poema patriottico scritto da Yue Fei, famoso generale della Dinastia Song che difese il paese contro l'invasione della tribù Jin. Il componimento esprime la profonda lealtà di Yue Fei nei confronti del suo paese e la sua frustrazione per l'impossibilità di portare a termine la sua missione. A Taiwan, chiunque abbia più di 40 anni conosce questa poesia". E in effetti, conoscendola si capisce ancora meglio come l'invasore attuale, per il regista, non sia più la tribù Jin, bensì il rapido sviluppo d'ispirazione occidentale delle citta` asiatiche che porta a sentirsi in uno stato di costante ansia e incertezza, di viaggio alla deriva, privi di fondamenta e di storia. È come vivere all'interno di un immenso cantiere edile, con edifici, strade e metropolitane costantemente ristrutturati o demoliti e ricostruiti. E più c'è sviluppo, più aumenta il numero delle cose di cui disfarsi.

Anche a proposito del dipinto, il regista ha riferito che nel corso dei sopralluoghi per le location scoprì con grande sorpresa un grande affresco di paesaggio su un muro di uno di quegli edifici: "Era un'immagine molto mossa. Forse quel dipinto era l'espressione facciale di questa città solitaria. O forse era uno specchio che rifletteva al tempo stesso l'illusorietà e la realtà della condizione umana nel mondo. Non avevo idea di chi fosse l'artista, ma sapevo di doverlo filmare. Chiesi alla troupe di proteggerlo, ma non avevano modo di garantire la protezione che chiedevo poiché chiunque poteva entrare liberamente in quell'edificio abbandonato. Dunque potei solo pregare che si preservasse.

Solo durante la post-produzione ho scoperto che l'artista si chiamava Kao Jun Honn e negli ultimi anni aveva iniziato a dipingere in numerosi edifici abbandonati. Curiosamente, mi disse che non aveva alcuna intenzione di esporre i suoi dipinti. Desiderava solo che la gente li scoprisse per caso, esattamente come io mi ero imbattuto nel suo affresco.

Ancor più interessante è il fatto che questo particolare dipinto si basava su una vecchia fotografia scattata nel 1871 da un inglese di nome John Thomson. Mostrava il paesaggio originario delle regioni meridionali di Taiwan oltre un secolo fa. Nella fotografia originale, c'erano due bambini nativi taiwanesi nell'angolo sinistro, ma nel suo dipinto Kao aveva deciso di eliminarli. Per coincidenza, anche nel mio film ci sono due bambini che vagano attorno all'edificio abbandonato". Di fronte a quel dipinto, che di fatto è un carboncino che ritrae un paesaggio familiare a Taiwan, "è come stare davanti a uno specchio e guardare la sponda più lontana allo specchio. È al tempo stesso reale e surreale, a portata di mano e remoto all'orizzonte. Se uno ha un mondo ideale nel cuore, una perfetta sponda lontana, un luogo nel profondo dell'anima, non è forse proprio lì? Ho girato due scene davanti a questo murale, entrambe più lunghe di tutte le altre scene. Quante riflessioni sulla vita possono essere suscitate in noi da un muro cosi` o da uno specchio?". (Andrea Fagioli)

 


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