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L'IMPERO DEI SENSI (Corrida d'amore)



Regia: Nagisa Ôshima
Lettura del film di: Nazareno Taddei sj
Edav N: 1979 - 69
Titolo del film: L'IMPERO DEI SENSI
Titolo originale: AI NO KORIDA
Cast: regia, sogg., scenegg.: Nagisa Ôshima - fotogr.: Hideo Ito - mont.: Keiichi Uraoka, Patrick Sauvion - mus.: Minoru Miki (II) canti tradizionali giapponesi - scenogr.: Shigemasa Toda - cost.: Masahiro Katò, Shigemasa Toda - effetti: Isao Nishimura, Terumi Hosoishi - interpr. princ.: Tatsuya Fuji (Kichizo Ishida), Eiko Matsuda (Abe Sada), Aoi Nakajima (Toku), Yasuko Matsui (padrone della locanda), Meika Seri (Matsuko, cameriera Yoshidaya), Kanae Kobayashi (Kikuryù, vecchia geisha), Taiji Tonoyama (vecchio mendicante), Kyôji Kokonoe (Ômiya, l'insegnante), Naomi Shiraishi (Geisha Yaeji) – durata: 120' – VM18 – colore - produz.: Anatole Dauman per Argos Films (Paris), Oshima Productions, Shibata Organisation Inc. (Tokyo) - origine: GIAPPONE/FRANCIA, 1976 - distrib.: Medusa, 1978 -
Sceneggiatura: Nagisa Ôshima
Nazione: GIAPPONE FRANCIA
Anno: 1976

Giunto solo quest'anno da Cannes 1976, questo film del regista giapponese impegnato in film «forti» di carattere sessuale, corre sul filo del rasoio tra il pornografico e il culturale, tentando l'interpretazione emblematica d'un caso piuttosto sconvolgente (avvenuto nel Giappone del 1936), che tanto il titolo originale quanto quello adottato a Cannes (e tradotto quasi identico da noi) riescono abbastanza bene a evidenziare, al di là dello sconcerto scandalizzato di una parte di spettatori e dell'entusiasmo esagerato d'un'altra parte di essi.

 

La vicenda. Nella casa di Kichi-san entra la giovane e bella Abé Sada, la quale sta cercando di rifarsi una vita dopo l'esperienza di prostituta. Quella che il medico di costei aveva definito «ipersensitività» e non malattia (il continuo bisogno di rapporto sessuale) la fa cedere quasi subito agli inviti decisi di Kichi-san, un giovane e voglioso marito che la moglie ancor piacente vuole chiuso in casa, sebbene non contraria a lasciarlo visitare da geishe.

Dopo un primo rapporto, i due si trovano fusi nella repicroca attrattiva sensuale. In una casa di geishe, essi celebrano una sorta di matrimonio, che dà l'avvio a quel cammino che porterà alla morte di lui e alla pazzia di lei.

Sada, che mai sopporta la presenza d'una moglie, si fa promettere ch'egli non farà più all'amore con essa; e, un po’ alla volta, esige che egli non si muova dalla loro alcova, quando - per procurare il denaro onde vivere - lei si reca a passare la notte presso un vecchio preside, suo amante. Kichi-san si lascia sempre più irretire e dichiara di voler fare tutto e solo quello che vuole lei.

La loro vita è ormai una ininterrotta tensione sessuale, tra lo scandalo delle stesse tenutarie e inservienti delle case d'appuntamento e quello delle geishe, le quali ormai rifiutano i loro inviti, ritenendoli dei viziosi.

Alla scoperta di piaceri sempre più intensi e raffinati, arrivano a scoprire l'intensificazione data dallo strangolamento. Dopo un esperimento esasperante di tal genere, Kichi-san è prostrato e vuol dormire. Dice a Sada che, se mentre lui dorme ella volesse ripetere l'esperimento, vada fino in fondo, poiché «è tanto bello mentre si fa, ma dopo si sta tanto male». E Sada, senza rapporto sessuale, lo strangola. Poi lo castra e per quattro giorni vagabonderà disperata per Tokio con quei trofei in mano.

Pur con la convinzione che la storia del cinema non avrebbe perso molto perdendo quest'opera, il film giustifica una qualche attenzione, non fosse altro per il notevole successo di critica e di pubblico ottenuto; successo che non si può scrivere solo al fatto dell'ardire pornografico (nonostante i 23 metri di taglio imposti dalla censura italiana), come prova lo scarso successo di altri film di questo genere.

Il racconto tende a evidenziare due aspetti:

a) l'amore impostato solo sui sensi è possessivo e geloso, sostanzialmente egoistico da parte della donna (è tale tanto quello della moglie quanto quello di Sada) ed è irretimento succube da parte dell'uomo;

b) la progressiva ossessionante ricerca di sempre maggiore appagamento, che viene imposta da un simile tipo di amore, non può che sfociare nell'autodistruzione di sé e dell'oggetto.

È una interpretazione piuttosto nuova di quel mito «amore-morte» che ha riempito le letterature di tutti i tempi. Qui non è la gelosia che fa soffrire e dà la morte; bensì è il dominio, il possesso, attivo nella donna e passivo nell'uomo, quasi per un misterioso chiasma dal destino (secondo natura, l'uomo è possessivo e la donna recettiva). Per il regista Oshima, infatti, la moglie ammette le geishe e, in qualche modo, perfino Sada, purché Kichi-san sia suo (le scene del taglio dei capelli, del bagno); Sada addirittura lo sospinge a possedere altre donne (la ragazza per strada, l'inserviente, la vecchia geisha che ne morirà, col sogghigno dei due), ma nel preciso contesto ch'è lei a determinare l'azione.

E, in proposito, va notata la distinzione che Oshima accentua, sebbene sullo sfondo, tra un rapporto sessuale d'ordine pressoché intellettivo e quello d'ordine esclusivamente fallico (le geishe e le stesse tenutarie dichiarono «viziosi» i due e soprattutto Sada per il fatto di mirare solo a «quello», sentono la puzza della loro stanza e non vogliono rapporti con loro).

Entrano in questa cornice le due scene dell'orgia della - diciamo - prima notte matrimoniale , in cui le stesse geishe partecipano s'abbandonano, ma su cui viene a dominare la danza del vecchio vstito di nero, quasi pipistrello, perché lì si celebra un sesso non di possesso; e la scena della strada in cui Kichi-san, che va dal parrucchiere nell'attesa del ritorno di Sada, incontra la colonna dei soldati, emblema di dominio, salutati dalla folla.

Ricordo altri due momenti dei film che possono essere significativi tematicamente.

Il primo: Sada, quando vede Kichi-san curato (taglio dei capelli) dalla moglie, lo immagina nelle sue braccia ed è tentata di colpire sanguinosamente la donna: la gelosia come possesso implica la minorazione fisica, se non la soppressione, dell'avversario.

Il secondo: Sada, dopo che ha strangolato Kichi-san, si vede su un ring-palcoscenico, al centro d'un enorme stadio vuoto, nuda tra le pieghe d'un magnifico paludamento bianco orlato di rosso, con l'uomo e il bambino (forse quello nudo d'una scena precedente, probabilmente mutilata dalla censura) che le corrono attorno fino a quando, improvvisamente, resta sola e si erge: il possesso ti mette si su un piedistallo, ma ti lascia solo e tu ti illudi ancora di dominare: subito dopo infatti Sada mutilerà orribilmente il cadavere e, mentre la voce fuori campo avverte dei suoi quattro giorni errabondi, la si vedrà sdraiata accanto al corpo sanguinolento, inutilmente magnifica nel vestito di prima.

Un altro dettaglio è tematicamente importante: mentre Sada strangola Kichi-san per ucciderlo (quindi per riprovare il supremo piacere) è accanto a lui e non sopra di lui, come lo era nell'esperimento, a indicare una sorta di sublimazione (negativa) del piacere del possesso; negativa, perché porta alla distribuzione dell'oggetto posseduto a quel modo e del possesso stesso (i vacui trofei nella pazzia).

Vanno notati ancora la meraviglia dei colori e dei vestiti, in una progressione di vivacità a mano a mano che ci si accosta alla fine, e l'arida musica (arida, forse, solo per noi occidentali; comunque, tenuta quasi a monosillabi melodici e armonici) che accompagna, in tutto il film, solo i momenti più significativamente tematici.

Per quanto, quindi, il film si ispiri a uno squallido fatto di cronaca, il lussurreggiare dell'impostazione cinematografica lascia almeno intravvedere un intervento tematico.

L'idea centrale che vi si scorge potrebbe esprimersi così: «l'amore relegato nei sensi (si noti, non esattamente: il sesso) comporta uno sconvolgimento il cui destino è l'autodistruzione»: è l'uomo che chiede alla donna di ucciderlo (quindi praticamente si autodistrugge), dopo aver accettato di esserle succube per farla felice (quindi non è solo sesso); è la donna che col possesso esasperato e… sublimato (v. sopra) di fatto se ne priva per sempre (e quindi si autodistrugge).

Per la valutazione tematica, dirò solo che le immagini scabrose talmente crude e continuate, non solo da rendere difficile il coglierne il senso tematico, bensì anche da costituire coltre così spessa che tale senso tematico lo lascia solo intravvedere anche a chi sa non fermarsi all'informazione materiale delle immagini.

Sotto il profilo cinematografico, oltre a una recitazione che vorrei dire stupenda, si sente una mano di regista veramente vigorosa. E non è a dire ch'era facile, data la materia; basta pensare, per convincersene, a tanti film nostrani e non nostrani che trattano la stessa materia lubrica e restano solo ubriachi. È vero, però, che anche qui qualche dettaglio di eccessiva crudezza e il granguignolesco finale non solo sono lontani dalla sublimazione artistica, ma non sono nemmeno stilisticamente congrui al resto del film.

Moralmente, il film è inaccettabile per un'impostazione del racconto che - oltre alle eccessive crudezze sovraccennate - concentra troppo l'attenzione sul materiale fisico dell'argomento trattato, senza permetterne la visione in una dimensione più confacente agli intenti tematici. Tanto da far sospettare che gli scopi commerciali abbiano predominato nella scrittura dell'opera. Si aggiunga la negatività data dalla suggestione della sequenza dell'esperimento iugulatorio.

Resta l'interesse e anche la positività morale del tema, considerato più in se stesso, che nella concreta realtà del film.

 


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