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K-11



Regia: Jules Stewart
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: K-11
Titolo originale: K-11
Nazione: USA
Anno: 2012
Presentato: 30 TORINO FILM FESTIVAL 2012 - Rapporto confidenziale

La polizia newyorkese raccoglie dalla strada un drogato, Max, e lo presume responsabile d’una omicidio appena avvenuto. Trasportato in carcere, viene scaricato come un sacco d’immondizia nel reparto F-11 destinato a soggetti come lui. La prima persona che lo avvicina è un (una?) giovane collega di cella, che gli si esibisce come “Batterflay, la farfalla che tutti consola!” Ripete ogni tanto un ritornello misterioso: “Le persone cattive aspettano cose brutte!” Scaraventato poi nel lurido stanzone dormitorio comune, (nel quale sono ammucchiati in promisquità drogati violenti e gay vigilati da custodi e guardie carceraria della medesima risma), si trova tra colleghi dei quali non condivide giochi e scherzi offensivi della dignità umana. Si distinguono tra gli altri tre personaggi: la provocante sedicente “Regina: qui dentro comando io!”, alla quale si sottomettono forzatamente gli altri condannati suoi colleghi; un enorme negro disposto a tutto e un ufficiale della guardia interna, una specie di Hitler (vedi la divisa, il ciuffo e i baffetti!) addetto alla speciale vigilanza sulla disciplina dei detenuti. Quest’ultimo è specializzato nella seduzione di uomini e donne e nel consumo e spaccio di quantità enormi di droga. Il protagonista, che in realtà è innocente del delitto a lui attribuito, vede tutto, ascolta tutti, tutti giudica e organizza il piano per uscire da quella bolgia infernale, carcere degli orrori. Ciò che maggiormente lo colpisce è l’assoluta mancanza di rispetto per le persone. Il suo piano comincia con la vendetta verso il Golia negro che s’è approfittato dell’innocente “farfalla”. Egli la convince a sgozzare il bruto con le forbicette del barbiere e nessuno dubiterà di lei. La scena delle arterie giugulari che zampillano è spaventosa. “Le persone cattive aspettano cose brutte!” Ora tocca al perfido Hitler e qui fa entrare in campo la “Regina” con la promessa d’una grossa mazzetta di dollari che verserà sul suo conto dopo il divorzio concesso alla moglie che già se la fa con un altro. La spinge a provocare l’ingenuo furbastro simulando poi d’essere stata violentata rimanendo vittima di stupro. Il piano riesce e lo stupratore viene scaricato tra gli altri rifiuti umani. Vittoria! Max esce di prigione riconosciuto estraneo all’omicidio per il quale era finito là dentro. La “Regina” incassa i trentamila dollari promessi per la sua impresa e bacia con trasporto e convinzione il conto di banca: “Grazie, Max, ti amo!”

 

Il film è diretto e fotografato con grande impegno, anche se lo spettatore resta con l’impressione d’aver visitato una bolgia dantesca. ‘Difetto’ principale è l’eccesso di violenza concentrata in un carcere che, per tale motivo, appare incredibile perché ‘esagerata’ nel rimanere segreta alle competenti autorità e impunemente esercitata.

 


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