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I. D.



Regia: Kamal K. M.
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: I. D.
Titolo originale: I. D.
Cast: regia, scenegg.: K.M. Kamal – scenogr.: Sunil Babu – fotogr.: Madhu Neelakandan – mont.: B. Ajith Kumar Ajithkumar – mus.: Sunilkumar Pk John P. Varkey – interpr. princ.: Murari Kumar (imbianchino), Geetanjali Thapa (Charu) – durata: 90' – colore – produz.: B. Ajithkumar, Sunil Babu, Kamal K.M., Alan Mcalex, Madhu Neelakandan, Resul Pookutty, Ajay Rai, Rajeev Ravi, Tushar Radhakisan Tupe per Collective Phase One – origine: INDIA, 2012 – distrib.:
Sceneggiatura: Kamal K. M.
Nazione: INDIA
Anno: 2012
Presentato: 30 TORINO FILM FESTIVAL 2012 - Torino 30
Premi: PREMIO ACHILLE VALDATA Premio Cipputi

In una città della profonda India un imbianchino viene incaricato dal suo capo di recarsi a lavorare (in nero!) in una casa signorile. L’arresto cardiaco mentre dipinge a calce un muro provoca sconcerto. La giovane padrona di casa si prende cura di lui con grande impegno e disturbo personale. Il caso si complica quando viene ricoverato all’ospedale, dove poco dopo muore. Nessuno si presenta per le formalità di legge, nessuno lo riconosce, non ha documenti, non se ne conosce neppure il nome. Il responsabile degli operai non collabora perché non gli conviene. La giovane ne fissa la fisionomia con il telefonino e mostra la fotografia a tutti quelli che incontra: nessuno l’ha mai visto. Ella vuole arrivare a conoscerne l’identità a qualunque prezzo, anche se non interessa ad alcuno, e non ottiene nessun risultato. La vediamo girare da una borgata all’altra della metropoli avvalendosi dei suggerimenti di persone sincere che, pur ignorando le circostanze del defunto, condividono la sua umana solidarietà. Ci sono anche gli imbroglioni che si prendono gioco di lei che cerca un morto tra milioni di vivi. Lo spettacolo del formicaio umano indiano impressiona lo spettatore che non conosce l’India e forse per tale motivo dubita che il regista esageri nella rappresentazione di quelle “folle” oceaniche d’ogni età e condizione che soffocano gli individui. Il film diventa un impressionante documentario d’un mondo fuori del mondo. A lato di enormi alveari umani s’addossano l’una all’altra le baracche dei miserabili che le abitano e vivono di chissà quali espedienti nella sporcizia e nell’incredibile mancanza d’ogni decente confort. Quando alla fine, esaurita l’inutile ricerca di notizie, la giovane chiede desolata ad un vecchio canuto del luogo: “E adesso cosa faccio?”, si sente rispondere: -Continui a cercarlo!- Quasi a commento del consiglio il regista inquadra un’affollatissima arteria cittadina, dove ogni tanto qualche volto sibillino fissa lo sguardo in macchina. Lo spettatore si sente ‘provocato’:-E tu cosa pensi di quella realtà?- Il frastuono assordante di quell’umanità vociante che ingombra il passaggio delle strade è lo sfondo sonoro che supplisce la colonna sonora. Eppure, imperterrita e decisa a continuare nel suo umanitario intento, la protagonista non si era arresa alla sconfitta neppure dopo che un ragazzino le aveva rubato il telefonino, unico documento a testimonianza dell’imbianchino anonimo del quale si stava interessando con ammirabile costanza.

 

Il film è un’accorata protesta contro l’inumana condizione illegale di coloro che sfruttano il bisogno altrui costringendo i miserabili a lavorare pericolosamente in nero per sopravvivere.  

 


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