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OUTRAGE BEYOND



Regia: Takeshi Kitano
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Titolo del film: OUTRAGE BEYOND
Titolo originale: OUTRAGE BEYOND
Cast: regia e scenegg.: Takeshi Kitano – mont.: Takeshi Kitano e Yoshinori Ota – fotogr.: Katsumi Yanagijima – scenogr.: Norihito Isoda – cost.: Kazuko Kurosawa – mus.: Keiiki Suzuki – interpr. princ.: Takeshi Kitano, Ryo Case (Ishihara), Tomokazu Miura (Kato), Toshiyuki Nishida (Nishino), Fumiyo Kohinata (Detective Kataoka), Beat Takeshi (Otomo) – durata: 112’ – colore – produz.: Office Kitano inc., Kazumi Kawashiro – origine: GIAPPONE, 2012 – distrib. intern.: Celluloid Dream
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Nazione: GIAPPONE
Anno: 2012
Presentato: 69 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2012 – CONCORSO VE69

VICENDA. Il vecchio Otomo, ex boss della Yakuza (la criminalità organizzata giapponese), ormai caduto in disgrazia, creduto morto ma detenuto in un carcere di sicurezza, viene rilasciato grazie all’intervento dell’ambiguo e ambizioso detective Kataoka, il quale cerca di sfruttare l’ex criminale per avanzare di carriera, usandolo come pedina per fomentare i conflitti tra i vari rivali clan della malavita locale (specialmente i “Sanno” e gli “Hanabishi”) e metterli gli uni contro gli altri per potersene più facilmente sbarazzare.

Uscito dal carcere, Otomo, che non vorrebbe più avere a che fare con la malavita, viene quindi a trovarsi al centro di un “gioco” di potere che parrebbe essere più grande di lui. L’ex gangster, trova però un amico e protettore in Kimura, ex capoclan rivale che (per ragioni che allo spettatore non è dato sapere) sembra essere legato a Otomo da un debito d’onore che lo obbliga a proteggere l’ex nemico. Kimura è a sua volta al centro della lotta fra i clan cercando di conservare il difficile equilibrio che caratterizza le faide. È però lo stesso Kimura che propone a Otomo di allearsi con lui nel tentativo di spodestare il clan dei Sanno (responsabili tra le altre cose di avere distrutto la “famiglia” – intesa in senso malavitoso – di Otomo).

Dopo i primi tentennamenti, Otomo accetta l’offerta, dando vita, insieme con il suo alleato, a una sanguinosa serie di azioni che hanno lo scopo di minare dall’interno il fragile equilibrio malavitoso, scatenando una guerra intestina che ha tragiche e impreviste conseguenze (lo stesso Kimura muore, ucciso per mano di sicari mandati da un clan rivale), mentre Kataoka,  finisce ucciso proprio per mano dello stesso Otomo.

RACCONTO. Il film si apre con una scena che si prospetta, al tempo stesso, simbolica e gravida di promesse (narrative) tutte d’altronde mantenute: alcuni sommozzatori della polizia ripescano dal fondo di un molo una macchina, dentro la quale viene rinvenuto il cadavere eccellente di un ministro (e di una escort) fatto fuori per volere dei clan malavitosi. La sequenza ( accompagnata dalla voce fuori campo di Kataoka che illustra al collega poliziotto le vittime dell’omicidio) anticipa, come ci si potrebbe attendere, il dipanarsi di avvenimenti sanguinosi che di lì a poco diverranno il tema trainante del film e ha anche analogie simboliche con l’avventura del protagonista Otomo, anch’egli “ripescato” nel giro della malavita per fare da pedina sacrificabile nel gioco dei “pesci grossi” che si danno battaglia a colpi di tranelli e tradimenti.

Da notare che Otomo, uomo che ha pagato il suo debito con la giustizia, non vorrebbe più avere niente a che fare con il giro della malavita (“sono troppo vecchio per questa merda” dice infatti espressamente al suo alleato Kimura quando questi gli propone di farsi tramite di vendetta), pur avendo le sue ragioni di vendetta (I Sanno hanno distrutto il suo clan, facendolo arrestare) ma viene ripescato a forza e re-immesso nel giro dalla prepotenza dei macchinatori, in primo luogo l’ambiguo detective Kataoka, personaggio del tutto negativo (come del resto la maggior parte dei personaggi ritratti dal film), che briga per usare l’esperto Otomo per i suoi fini. Questi, antieroe più che vero eroe della storia, finisce però gradualmente per diventare da pedina a fulcro della storia, vero e proprio “outsider” che riesce, a dispetto (o forse proprio in virtù) della sua estraneità al gioco degli equilibri di politica interna dei malavitosi, a farsi strada, compiendo la sua (per certi aspetti non voluta) vendetta. Tutti i personaggi del film ruotano del resto attorno a contorti concetti di onore e fedeltà, che finiscono per essere dei disvalori più che valori, mentre la violenza genera altra violenza e il tanto millantato “rispetto” (così tante volte espresso a parole dai personaggi) si rivela una vuota facciata a giustificazione degli innumerevoli tradimenti e inganni. Si discosta da questa serie di personaggi negativi il solo poliziotto, collega di Kataoka, che mostrato sin dalle prime battute reticente al subdolo gioco degli inganni e intenzionato a svolgere solo il suo ruolo di tutore dell’ordine, abbandona alla sua misera sorte lo stesso Kataoka, che finisce per rimanere ucciso proprio per mano di Otomo, pedina da lui utilizzata. Kataoka finisce dunque vittima degli ingranaggi del gioco che lui stesso ha messo in moto (è proprio lui che arma la mano di Otomo, suo carnefice, consegnandogli la sua pistola per uccidere i membri del clan rivale). Proprio con l’uccisione di Kataoka il film si conclude all’improvviso, in un modo che parrebbe troppo brusco, ma che si configura del resto come l’unico finale possibile.

Film essenzialmente di vicenda, senza una vera tematica di fondo, a parte una superficiale riflessione su come la violenza e gli inganni finiscano col ritorcersi su chi ne fa uso. Kitano si serve di una struttura narrativa convenzionale per raccontare (bene) una favoletta moraleggiante che non presenta grossi meriti se non quelli meramente artistici dati da un’abile ed esperta direzione degli attori e da un’accurata e attenta messa in scena. Prediligendo campi medi e primi piani, il regista nipponico si muove all’interno delle” stanze del potere” malavitoso, ritraendo da vicino reazioni e comportamenti dei criminali, senza però azzardare troppi giudizi sulla validità del loro agire.

Ben diretto e recitato ottimamente, il film non ha però altri vistosi meriti, presentandosi come un semplice film di “genere” (quello dei gangster, prediletto dal regista giapponese) che potrebbe forse riscuotere un discreto successo al botteghino, ma che appare abbastanza inadeguato per una Mostra di arte cinematografica.

 


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