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LA SPOSA PROMESSA



Regia: Rama Burshtein
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Titolo del film: LEMALE ET HA'CHALAL (FILL THE VOID)
Titolo originale: LEMALE ET HA'CHALAL
Cast: regia, scenegg.: Rama Burshtein – fotogr.: Asaf Sudry – mus.: Yitzhak Azulay – cost.: Designer Chani Gurewitz Gaffer Michael Berdougo – interpr. princ.: Hadas Yaron (Shira), Yiftach Klein (Yochay), Irit Sheleg (Rivka), Chaim Sharir (Aharon, Razia Israely (Aunt Hanna), Hila Feldman (Frieda), Renana Raz (Esther), Yael Tal (Shifi), Michael David Weigl (Shtreicher), Ido Samuel (Yossi), Neta Moran (Bilha), Melech Thal (Rabbi) – durata: 90' – colore – produz.: Assaf Amir, Cinematographer Asaf Sudry Editor Sharon Elovic – orig.: Israele, 2012 – distrib.: Lucky Red (15/11/2012)
Sceneggiatura: Rama Burshtein
Nazione: ISRAELE
Anno: 2012
Presentato: 69 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2012 – CONCORSO VE69
Premi: 1. COPPA VOLPI miglior interpretazione femminile a Hadas Yaron - 2. Premio Signis Menzione Speciale

La regista Rama Burshtein è nata a New York nel 1967 e si è laureata alla Sam Spiegel Film and Television School di Gerusalemme. Appartiene ad una comunità ultra-ortodossa chassidica per la quale ha scritto, diretto e prodotto diversi film, alcuni dei quali solo per le donne. Questo film è il suo primo lungometraggio.

La vicenda è ambientata a Tel Aviv all'interno di una comunità ultra-ortodossa. Shira è la figlia più giovane di una famiglia chassidica e aspetta con grande gioia di poter incontrare il suo promesso sposo, un giovane promettente che lei sente già di amare. Sua sorella maggiore, Esther è sposata con Yochay, un ebreo devoto e scrupoloso come tutti i membri della comunità, e sta per dare alla luce un bambino. Ma proprio durante la festa di Purim (che corrisponde più o meno al nostro carnevale), Esther muore nel partorire. Il dramma coinvolge tutta la famiglia e porta a rimandare le nozze di Shira. Com'è consuetudine in quella comunità, il marito, rimasto vedovo, deve risposarsi per dare un'educazione al bambino e per mettere al mondo altri figli. Tutta la comunità si fa carico del problema e viene ventilata la possibilità che Yochay sposi una donna rimasta vedova da sei mesi e madre di due bambini. Ma la donna abita in Belgio e ciò comporterebbe il trasferimento di Yochay e del bambino in quel Paese. La madre di Shira è disperata, perché non vuole perdere l'unico nipote che ha, e architetta un piano: se Yochay sposasse Shira, tutto si risolverebbe. Inizialmente Shira non ne vuole sapere, ma quando viene a conoscenza che il suo promesso sposo ha cambiato idea, accetta. Ma restano i dubbi e le perplessità, che renderanno la vita di Shira più problematica. Dopo vari ripensamenti e tentennamenti, e dopo aver consultato (com'è di prammatica) il rabbino, Shira si decide e sposa il cognato.

 Il racconto inizia con un'introduzione: Shira e la madre sono in un supermercato per incontrare il ragazzo promesso sposo. Shira è presa da un fanciullesco entusiasmo e non sta nella pelle al pensiero di sposarsi. Inizia poi la prima parte del film che racconta del dramma di Esther, dello sconvolgimento della famiglia, della circoncisione del piccolo e del rinvio del matrimonio di Shira. Nella seconda parte viene sottolineato il piano della madre di Shira che comporta tensioni, incertezze e insicurezze fino all'accettazione del matrimonio da parte della ragazza. La conclusione è costituita dalla celebrazione del matrimonio e dall'ultima immagine che fa vedere i due coniugi in camera da letto: il volto di Shira esprime perplessità e forse un po' di paura.

La significazione nasce certamente dall'evoluzione di Shira che, dopo un iniziale rifiuto, arriva, seppur con qualche titubanza, ad accettare il matrimonio. Particolarmente significativa è la sequenza di fronte al rabbino che domanda se alla base del progetto ci sia un vero sentimento. Shira risponde inequivocabilmente: non è più un problema di sentimenti, ma di dovere; lei è convinta di avere un compito da svolgere ed esprime il desiderio di accontentare tutti. Il matrimonio di Shira non è pertanto un matrimonio d'amore, ma risponde ad un senso del dovere. Se si mette a confronto l'introduzione con l'immagine finale non si può non notare la felicità iniziale della ragazza e la sua perplessità nel finale. Certo la scelta è stata sua e non si può parlare di costrizione, ma certamente quell'ambiente familiare e religioso che la circonda l'ha senza dubbio influenzata. Ed ecco allora il peso strutturale che possiede la descrizione di quell'ambiente. La regista, che ne fa parte, non lo descrive con astio o acrimonia, ma con indulgenza. Tuttavia viene caratterizzato come un ambiente in cui le regole, soprattutto per quanto riguarda la famiglia, non tengono conto del cambiamento dei tempi. Un mondo ancora maschilista (le donne non partecipano alla festa di fidanzamento e stanno separate dagli uomini, anche se hanno senza dubbio un peso nella famiglia come educatrici), in cui il rabbino viene continuamente consultato e possiede un'autorità che è vincolante; ecc.

In questo ambiente, sembra dire la regista senza rancore, a volte prevalgono le ragioni di ciò che è considerato un dovere su quelle che sono legate al sentimento e alla felicità personale.

 


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