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IL FONDAMENTALISTA RILUTTANTE



Regia: Mira Nair
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: THE RELUCTANT FUNDAMENTALIST
Titolo originale: THE RELUCTANT FUNDAMENTALIST
Cast: regia: Mira Nair – sogg.: Mohsin Hamid (dal suo romanzo omonimo) & Ami Boghani – scenegg.: William Wheeler – mont.: Shimit Amin – fotogr.: Declan Quinn – scenogr.: Michael Carlin – cost.: Arjun Bhasin – mus.: Michael Andrews – interpr. princ.: Riz Ahmed (Changez), Kate Hudson (Erica), Liev Schreiber (Boby Lincoln), Kiefer Sutherland (Jim Cross), Om Puri (Abu), Shabana Azmi (Ammi), Martin Donovan (Ludlow Cooper), Meesha Shafi (Bina), Haluk Bilginer (Nazmi Kemal), Nelsan Ellis (Wainwright) – durata: 128’ – colore – produz.: Mirabai Films e Cine Mosaici – origine: INDIA / PAKISTAN / USA, 2012 – distrib. intern.: K5 International
Sceneggiatura: William Wheeler
Nazione: INDIA / PAKISTAN / USA, 2012
Anno: 2012
Presentato: 69 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2012 – FUORI CONCORSO FILM D'APERTURA

È la storia di Changez Khan, un giovane pachistano che dalla natia Lahore parte per New York dove – dopo la brillante laurea a Princeton – è assunto in un prestigioso istituto di analisi finanziarie il cui compito principale è quello di valutare le aziende e di ricercare il modo di guadagnare sempre più soldi; quasi sempre tagliando il personale.

Il film inizia da quando Changez è rientrato a Lahore e rilascia una intervista ad un giornalista americano, Lincoln, nella quale racconta praticamente tutta la sua vita, dalla partenza dal Pakistan per l’avventura americana, fino ai primi successi nell’azienda finanziaria ed alla promozione quasi immediata ad un grado superiore, fino ad arrivare all’amore con Erica, la nipote del proprietario della società.

Il tutto quindi è intervallato tra l’intervista, il passato americano ed il futuro che si prospetta al giovane rientrato in Pakistan; la parte americana è fitta di successi e di cose belle che accadono a Changez, l’ultima, il grande amore con Erica, il tutto capitato al giovane per le sue specifiche qualità, dato che nessuno regala niente in una società competitiva come quella americana; nel suo nuovo ruolo accompagna il Direttore a Manila per la valutazione di una azienda produttrice di automobili per conto dei giapponesi ed è proprio in quel Paese che riceve – e “vive”, in qualche modo – la notizia dell’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York; da quel momento le cose cominciano a cambiare.

Già all’aeroporto i controlli sono diventati stringenti; Changez – dato che è in possesso di un passaporto straniero e per di più pachistano – viene perquisito a lungo e subisce addirittura la “perquisizione anale” oltre ad un interrogatorio “cattivo” fatto da un poliziotto burbero e arcigno; anche la vita in città assume aspetti diversi, dato che le persone che appaiono come provenienti da zone “arabe”, vengono guardate in cagnesco e, addirittura, sottoposte ad insulti gratuiti ed a foratura delle gomme dell’automobile.

Anche il rapporto con Erica si sta deteriorando – per colpa di Changez che avverte il peso della sua “diversità” – e la goccia che farà traboccare il vaso è quella che si compie in Turchia, dove il giovane viene mandato in missione insieme ad Direttore, per “esaminare” la situazione di una Casa Editrice acquisita da una multinazionale che non vede nessun utile dall’impresa; i dati sono scoraggianti e determinano la chiusura dell’editore con il quale Changez aveva instaurato un particolare rapporto anche perché l’azienda aveva pubblicato un libretto di poesie del padre del giovane.

La scelta di Changez è ovvia: abbandona l’America (ed Erica) e rientra in famiglia, a Lahore, dove viene assunto all’Università per alcune lezioni sui rapporti tra oriente e occidente: la situazione è fortemente agitata, un professore è stato rapito, gli studenti sono in agitazione e si scagliano contro la Polizia che appare come la “padrona” del Paese.

Ed è da questo punto che torniamo all’“inizio del film”, con l’intervista che Changez concede a Lincoln ed il racconto di quello che è stato in America; mano a mano che il dialogo tra i due va avanti, si scopre che Lincoln, oltre che essere giornalista, è soprattutto una spia della CIA, mentre Changez è diventato il capo di una frangia fondamentalisti; Lincoln non è interessato alla vita del giovane ma a scoprire dove si trova il professore rapito e quindi da quel momento in poi i rapporti tra i due cambiano aspetto e si procede per slogan e per reciproche accuse.

Quando le Forze di Polizia decidono di fare irruzione nella sede dei fondamentalisti, Changez è ancora alle prese con Lincoln, il quale, nel cadere – inavvertitamente – spara un colpo di pistola che uccide Sameer, l’amico fraterno di Chavez; tenere buoni gli studenti è impossibile e così si arriva agli spari ed alla violenza.

Nelle sue lezioni il giovane aveva racconta agli studenti di aver vissuto “il sogno americano” e adesso di voler vivere “il sogno pachistano”, quest’ultimo però fatto da maggiore umanità e, soprattutto, di rispetto reciproco.

Ovviamente la fine non ci dice come sarà – e se ci sarà – questo “sogno pachistano”, ma auspica comunque un bando delle violenze, con l’assoluta certezza di entrambe le fazioni che attraverso l’uso della forza non si risolve niente ed anzi, si acuiscono i problemi.

Possiamo quindi affermare che il film è sostanzialmente “pacifista”, nel senso che auspica un Mondo fatto di chiacchiere e di discussioni, anche accese, ma senza che durante queste si faccia mai uso delle armi; c’è però da aggiungere che anche il giovane Changez, al suo rientro in Pakistan, è estremamente provato dal razzismo americano e dal suo sostanziale “fondamentalismo”, situazione che scaturisce, naturalmente, dalla paura che loro hanno degli attentati e delle bombe che – nella cruda realtà – cadono sulle loro teste.

Direi quindi che l’opera della Neir è fondamentalmente “pessimista” per il futuro del Mondo, proprio perché nella struttura del film mostra l’impossibilità “attuale” di far convivere questi due mondi, queste due culture che – reciprocamente – da un lato si ammirano e dall’altra si odiano. Il tutto, poi, ha come unica soluzione prospettata, l’uso della violenza, dalla quale nasce soltanto altra violenza.

Poi, per non chiudere la strada ad ogni aspetto potenzialmente positivo, l’autrice – a parole – porta avanti alcune considerazione decisamente positive e sottoscrivibili (integrazione tra le diverse culture, rispetto per le diversità e amore per il prossimo), ma che nella realtà filmica non sono suffragate dalle immagini e sembrano quindi una sorta di “salvagente” che la regista indiana si mette a tracolla per attraversare questo barbaro Mondo.

Un’ultima considerazione: l’opera ha una sua oggettiva complessità strutturale, dato che Changez, nell’arco della diecina di anni che viene seguito, è sempre lo stesso, fisicamente, e quindi potrebbe mettere in imbarazzo uno spettatore non attento; se questo non avviene è merito della regista che organizza la struttura in modo tale che si possa comprendere alla prima occhiata il periodo cui si sta riferendo; e questo, se permettete, è un bel merito per colei che ha realizzato il film. (Franco Sestini)

 


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