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SHIRIN



Regia: Abbas Kiarostami
Lettura del film di: Eugenio Bicocchi
Titolo del film: SHIRIN
Titolo originale: SHIRIN
Cast: regia: Abbas Kiarostami - scenegg.: Mohammad Rahmanian - fotogr.: Gelareh Kiazand - mont.: Abbas Kiarostami, Arash Sadeghi I.n. - mus.: Morteza Hananeh, Hossein Dehlavi - suono: M. Reza Delpak - interpr.princ.: Rana Azadivar, Vishka Asayesh, Darya Ashouri, Pegah Ahangarani - durata: 92' - colore - produtt.: Abbas Kiarostami - origine: Iran, 2008
Nazione: IRAN
Anno: 2008
Presentato: 65. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2008 - Fuori Concorso

Per parlare di questo film, particolarissimo sotto il profilo del linguaggio filmico, senza grossolanità (il che semplicemente vuol dire 'in modo comprensibile' anche a chi non ha visto il film) giovano alcune precisazioni terminologiche.

Nel lessico cinematografico, quando sullo schermo, è inquadrato un personaggio che sta ascoltando le parole di un secondo personaggio, che il regista, però, non fa simultaneamente vedere in campo assieme al primo, si definisce quell'immagine "piano d'ascolto".
La parola "piano", in questo caso non va ricondotta a quell'ambito semantico, ormai famigliare a moltissimi, che indica la porzione di corpo che l'autore mostra sullo schermo; vale a dire la serie delle selezioni sulla figura umana, ripresa – se si vuole ora ricordare le principali misure – a "primissimo piano", "primo piano", "mezzo primo piano", "piano americano", "piano figura intera".
Nell'espressione "piano d'ascolto" il termine – mutuato dal francese plan – significa "inquadratura"; e, dunque, "piano d'ascolto" uguale a inquadratura d'ascolto; un'inquadratura in cui si vede un personaggio che ascolta parole che provengono dal "fuori campo", cioè pronunciate da un parlante che il regista non ha inserito – ovviamente – nell'immagine.
Come corollario a questa asserzione va aggiunto il fatto che nel "piano d'ascolto" un personaggio può essere ripreso a "primissimo piano", o "primo piano" o in qualsiasi altra selezione cinematografica.
Pertanto non sono giochetti di parole senza senso le espressioni, relative all'immagine schermica sopra presentata come esempio: "Piano d'ascolto del personaggio, a primo piano", oppure "Il personaggio, a primo piano, in piano d'ascolto", oppure ancora "Primo piano, in piano d'ascolto, il personaggio...", e così via.
Per quanto riguarda il sonoro, come si è già detto, le parole del parlante sono definite "fuori campo". "Fuori campo" sono definiti anche i rumori che sono prodotti da una fonte non rappresentata sullo schermo.
Per quanto riguarda la musica, invece della terminologia usata per la parola o i rumori (terminologia che non è per nulla scorretta), molti cinefili preferiscono - da cinefili appunto - parlare di "musica diegetica" e di "musica extradiegetica", se la sorgente della musica fa parte, nel primo caso, della narrazione (cioè, diegesi) e, nel secondo caso, se è esterna non solo rispetto allo schermo, ma anche alla narrazione (è il caso di musica che un regista associa all'immagine, attingendo per esempio da un disco, da una registrazione, ecc.).
Due piacevoli esempi, tratti da film, possono concretizzare queste asserzioni.
Federico Fellini, nel film PROVA D'ORCHESTRA, crea una colonna sonora "diegetica", quando fa eseguire un brano ai musicisti che sono rappresentati sullo schermo.
Pier Paolo Pasolini, nel suo film IL VANGELO SECONDO MATTEO, ricorre alla musica di Bach (e di altri autori) creando così una colonna sonora "extradiegetica".
Inutile ricordare che il valore comunicativo e artistico non dipende aprioristicamente dalla presenza di un tipo di colonna sonora al posto di un altro. Sarebbe come affermare, per es., che un "primo piano" ha valore comunicativo e artistico e un "piano americano" no.
Il valore deriva dalla coerenza strutturale di tutti gli elementi linguistici.
Questa articolata premessa si è resa necessaria, perché le scelte di linguaggio filmico che caratterizzano, in maniera marcata e con coraggio ma anche con fascino, il film SHIRIN, richiedono l'uso del lessico prima illustrato.
Il visivo (ciò che è rappresentato sullo shermo) dell'opera cinematografica di Kiarostami è costituito unicamente (ma forse rende meglio il valore della scelta operata dal regista l'avverbio 'totalmente') da piani d'ascolto.
Il sonoro da voci e rumori fuori campo e da musica anch'essa fuori campo, o, per dirla alla maniera cinefila, da musica extradiegetica.
La vicenda riguarda un gruppo di attori (in grandissima maggioranza donne) che assistono a una rappresentazione (forse più cinematografica che teatrale, ma non ha importanza: è, comunque una messa in scena) di un poema persiano del XII secolo. (In questo caso molto particolare, si potrebbe dire - ma forse con minore precisione - che la vicenda riguarda una rappresentazione di un poema persiano seguita da un gruppo d'attori, ecc).
Si tratta di una storia epica (gli elementi di questo genere - si sa - sono eroi, eroine, grandi istituzioni come la reggenza di troni, grandi avvenimenti come lunghi viaggi, scontri e battaglie, grandi temi come il bene e il male) in cui si narra della principessa Shirin, erede al trono retto dalla anziana zia, dei presagi inquietanti circa il suo futuro, del suo amore per Khosrow, dei fatti che interferiscono sulla sua esistenza, delle cose che un giorno sembrano irreali e il giorno dopo vere, degli interrogativi che rimandano alla complessità della vita. A un certo punto Shirin si chiede "che pedina sono io?" E se pedina, pedina di quale destino?
Il poema con la sua narrazione tocca le profonde domande dell'esistenza che tematizza - questa potrebbe essere la formulazione dell'idea centrale della rapresentazione epica - nella bivalenza del senso: ciò che è bellissimo potrebbe essere pericoloso, una gioia tramutare nel suo opposto; caldo e freddo, lupo e agnello. Nel canto finale a due voci, una maschile e una femminile, si dice di essere ignoranti e saggi, di non riconoscersi più "in questo e nell'altro mondo". Testuale: "Ho perduto il cuore e la ragione".
Il racconto filmico (che è audiovisivo) connette la rappresentazione dell'antico poema, che, come si è detto, è espressa dal sonoro fuori campo (vale a dire, parole dei protagonisti, rumori degli avvenimenti, come nitriti di cavalli, zoccoli al galoppo, colpi di spada e musica extradiegetica) con l'immagine visiva degli spettatori in sala, i quali, tutti in piano d'ascolto, assistono allo spettacolo.
Verrebbe da dire - errando - che si potrebbe assistere alla proiezione di questo film con gli occhi chiusi (la facile battuta che gli occhi chiusi rimandano al sonno è fuori luogo), oppure che SHIRIN potrebbe essere trasmesso per radio. Errando però, perché con il canale uditivo il regista rappresenta il poema persiano, che è una delle due componenti del film, e con il visivo rappresenta la reazione dei personaggi (quasi tutte donne, si è detto) che costituiscono il pubblico che assiste a "quella" messa in scena. Come anticipato, la prevalenza schiacciante del pubblico è di donne. Solo a loro il regista dedica inquadrature in primo piano, gli uomini restando sempre in secondo piano, di sfondo. Questa donne sono di varie età, dalla giovane alla attempata, tutte con analoghi tratti somatici, dello stesso ambito etnico si direbbe; anche gli occhi e i capelli sono simili; i lineamenti del volto sono "fini", regolari: probabilmente con questi tratti il regista ha voluto suggerire l'idea che si tratti di persone fotogeniche del mondo dello spettacolo (in senso nobile: artisti). La presenza di Juliette Binoche probabilmente, per quanto riguarda l'aspetto etnico prima accennato, serve al regista per indicare una diversità all'interno dell'omogeneità; e probabilmente serve anche per la connotazione di persone dello spettacolo.
Tutte queste donne seguono con attenzione e partecipazione lo svolgersi della narrazione del poema. In certi momenti i loro occhi si inumidiscono; escono lacrime che rigano le guance, che una mano raccoglie. Gli spettatori maschi, che si intravedono appena, seguono in silenzio (per un attimo uno guarda l'orologio), ma senza il profondo, umanissimo coinvolgimento che Kiarostami ha attribuito al pubblico femminile.
L'idea centrale del film (quindi non solo del poema) potrebbe essere così formulata: i grandi temi dell'esistenza che vengono suggeriti dalla tradizione antica, parlano soprattutto alla sensibilità femminile e artistica d'oggi.
La proiezione del film SHIRIN richiede un grossissimo impegno da parte di tutti noi spettatori. Non è, però, una richiesta scandalosa, se si pensa che, già anni fa, il grande regista Pier Paolo Pasolini ebbe a dichiarare di attendersi dagli spettatori dei suoi film un impegno all'altezza della notevole fatica da lui profusa per la realizzazione dell'opera cinematografica. Come dire: lo spettatore faccia il proprio mestiere di spettatore del testo filmico, della sua articolazione, della sua ricchezza.
Tuttavia, dati gli attuali tempi di consumo cinematografico, non è difficile affermare che il film di Kiarostami non avrà alcun successo commerciale. Peccato, perché esso, per la sua impostazione metalinguistica così rigorosa, segna, come se fosse un test attitudinale di livello superiore, un punto di riferimento - indubbiamente alto - per quanto riguarda la maturità e la competenza (che vuol dire anche paziente attenzione) di un pubblico, certamente adulto.
Peccato per l'occasione - di verifica - che si perderà.
Peccato, perché, senza controprova, si dovrà ancora, e per molto tempo, continuare a dire che il pubblico non è preparato per ricevere, in grande misura, dal mezzo filmico profonde intuizioni artistiche e stimolanti sollecitazioni di pensiero.
In parte è anche responsabilità del mondo culturale che ruota attorno al cinema: per es., la cosiddetta "critica" (ma c'è anche la scuola; la ricerca; i Ministeri, la televisione, la radio, internet; ci sono i convegni, le tavole rotonde).
Quanto alla critica, senza polemica e senza che ci si impanchi a emanare sentenze, ma solo come testimonianza, può avere un qualche interesse riflettere sulla presentazione del film SHIRIN fatta da Ciak in Mostra (n.2 del 28.08.2008), il tutto sommato gradevole supplemento al periodico Ciak, che per l'intera durata della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia esce ogni giorno.
A pagina 5 si legge: "(...) Il film come riflessione sull'arte e realtà, come già nei magnifici CLOSE UP (1990), E LA VITA CONTINUA (1991) e SOTTO GLI ULIVI (1994). Racconta la messa in scena di un poema persiano del dodicesimo secolo, allestito dallo stesso regista in chiave contemporanea, attraverso i volti di 114 attrici iraniane di cinema e teatro e la diva francese Juliette Binoche, spettatrici/attrici dello spettacolo in corso. Un fuori campo portato all'estremo e il cinema come quadro di facce e di suoni (...)."
E' vero: è solo una presentazione; ma, almeno personalmente, non mi è stata d'aiuto, quando, una volta in sala, si è illuminato lo schermo e attivati gli altoparlanti di Kiarostami. E nemmeno, a proiezione finita, dalla rilettura di questa presentazione sono usciti elementi di riferimento utili a impostare le coordinate di un percorso di lettura del testo filmico kiarostamiano.
Sempre con le stesse intenzioni di non impancarsi e sempre con la stessa occasione di una testimonianza si consideri un altro caso. Dal Corriere della sera (29.08.087), a firma M(aurizio) Po(rro) si legge in una finestrella, taglio basso: "SHIRIN (...): 90 minuti senza movimenti di macchina, in cui il regista iraniano, staccando da un volto all'altro, esplora le emozioni di 119 donne che al cinema assistono a un kolossal persiano di lacrime e sangue del XII secolo a noi invisibile. Alcuni aspetti sono magnifici, altri ipnotici, forse era un mediometraggio. All'anteprima (per venirci incontro era in lingua iraniana del dodicesimo secolo con didascalie inglesi solo nella seconda parte) c'è stato un fuggi fuggi storico con anziani critici che saltavano i gradini pur di guadagnare l'uscita (...)".
La testimonianza che posso portare è questa. Alla proiezione del 28 agosto, sala Palalido (ore 9.00, per la stampa periodica e per l'indusria) il film, invece, era sottotitolato anche in italiano. Per tutta la durata della proiezione, nella metà sala, quella più vicina allo schermo, quella davanti a me, nessuno si è alzato. Per la restante parte non so, non essendomi mai voltato indietro. Quanti spettatori c'erano complessivamente? All'inizio, entrando, non ho posto particolare attenzione a questo dato, ma, direi che più di un terzo delle poltrone era occupato. Il Palalido ha una grande capienza. Dunque non si era in pochi.
Non so se erano presenti "gli anziani critici del fuggi fuggi storico" intenzionati a recuperare una proiezione - quella dell'anteprima - che non poteva essere considerata una valida condizione di conoscenza).
Forse vale la pena salire sulla panca per chiamare in causa l'infelice vignetta di Stefano Disegni, apparsa il 29.08.08 sul già citato Ciak in Mostra.  Titolo: "PATOLOGIE DA MOSTRA". Testo: "NON VE L'HANNO DETTO MA AVETE GIÀ RISCHIATO DI CONTRARRE DUE MALATTIE INVALIDANTI PER LE QUALI SAREBBE STATO OPPORTUNO METTERE SULL'AVVISO IL PUBBLICO!". Quanto alla prima malattia definita "ORCHITE FULMINANTE", sotto il disegno di alcuni facciotti di donne, dai tratti depressi e lacrimevoli si legge: "90 MINUTI DI FACCE DI DONNE IRANIANE CHE GUARDANO UN FILM IRANIANO PARLATO IN IRANIANO CHE NARRA DI UN DRAMMA IRANIANO DEL XII SECOLO. UN MICIDIALE ATTENTATO AGLI ATTRIBUTI FIRMATO KIAROSTAMI (maiuscole e grassetto sono nel testo, ndr.). SI SOPRAVVIVE SOLO CON LA SPERANZA CHE ABBAS VOGLIA SALVARE LA PACE MONDIALE FACENDO ESPLODERE I COGLIONI DI AHMADINEJAD".
Divertente?(Eugenio Bicocchi)
 


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