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SAIDEKE BALAI



Regia: WEI Te-Sheng
Lettura del film di: Gian Lauro Rossi
Titolo del film: SAIDEKE BALAI
Titolo originale: SAIDEKE BALAI
Cast: regia, scenegg.: WEI Te-Sheng – fotogr.: CHIN Ting-Chang – mont.: CHEN Po-Wen, Milk SU – scenogr.: TANEDA Yohei – cost.: CHIU Row-Long, Amanda DENG, LIN Xin-Yi, TU Mei-Ling – mus.: Ricky HO – interpr. princ.: LIN Ching-Tai (Mouna Rudo), Umin Boya (Temu Walis), ANDO Masanobu (Kojima Genji), KAWAHARA Sabu (Kamada Yahiko), Vivian HSU (Takayama Hatsuko) – durata: 150’ – colore – produz.: ARS Film Production, Central Motion Picture Corporation – origine: CINA / TAIWAN, 2011 – distrib. inter.: Fortissimo Film
Sceneggiatura: WEI Te-Sheng
Nazione: CINA / TAIWAN
Anno: 2011
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 – Concorso

Si è scritto che questo film è stato il più costoso mai prodotto a Taiwan, e che il regista ha ridato vita al cinema taiwandese con un Kolossal storico. Forse, tutto ciò sarà vero e quest’ultimo risultato si sarà pure raggiunto, ma il film, che ha avuto inizio sotto i migliori auspici (per il tema che voleva trattare), si è perso a rappresentare guerre, ammazzamenti, tagli di teste e sofferenze di varia natura, che hanno offuscato le aspettative iniziali circa un argomento attuale come la salvaguardia delle identità e delle tradizioni dei popoli, rispetto alla modernità dilagante e alle oppressioni coloniali. Peccato, perché l’inizio del film con le sue belle immagini legate alla natura, avrebbe potuto favorire tale risultato e produrre un interessante approfondimento sull’argomento.

 

Il film vuole ricordare un episodio del XX secolo, poco conosciuto anche a Taiwan, ambientato tra gli anni 1895 e 1945. In quegli anni Taiwan era colonia giapponese ed era abitata non solo da una maggioranza di cinesi Han, ma anche da tribù aborigene stanziatesi precedentemente nelle zone montagnose con le loro tradizioni. Il capo dei clan Seediq (Mouna Rudo), dopo aver subito la occupazione cinese per diversi decenni, decide di coalizzare tutte le tribù della zona montuosa dove vivevano, al fine di organizzare una rivolta, che sapeva non avere successo, ma resasi necessaria per ragioni di orgoglio tribale, di aspettative delle giovani generazioni e di reazioni alle ingiustizie subite. La rivolta trovò impreparati i giapponesi, ma successivamente arrivò l’esercito che sedò la ribellione, con l’aiuto dei cinesi Han (che tenevano vive vecchie rivalità con le altre tribù delle montagne) e per mezzo di aerei che lanciavano gas tossico, oltre che alla quantità di soldati che numericamente sovrastavano lo sparuto numero di rivoltosi (300).

 
Il racconto è così strutturato :
 

1)        l’inizio del film illustra le origini del popolo Seediq, attraverso la nascita dell’uomo e della donna da un importante albero della foresta, i valori tradizionali legati all’importanza dell’eroismo (che fa di un essere vivente un uomo) e del valore che lo stesso uomo deve avere, (diventando un eroe orgoglioso della propria origine) e dell’approdo finale dopo la morte vissuta, come significato della nuova vita. Il film poi conclude con gli stessi protagonisti della rivolta che comminano in un luogo idilliaco oltre l’arcobaleno (che ne rappresenta la porta di ingresso) in compagnia dei propri avi, dai quali hanno attinto la forza per organizzare la insurrezione contro i giapponesi. In queste prime sequenze viene evidenziate la natura del capo Mouna, protagonista principale del film, nelle sue doti di eroismo;

 

2)        le altre quattro parti del racconto evidenziano:

 

-       la accettazione, non volontaria, della colonizzazione Giapponese da parte degli aborigeni Seediq, dopo il trattato tra Cina e Giappone, che assegnava a questo ultimo l’annessione del territorio dell’isola per la sconfitta subita. Durante questa fase il capo Mouna assume il ruolo di paciere finalizzato a contenere lo spirito di rivolta dei giovani;

 

-       la preparazione della rivolta, suffragata dalla convinzione che sarebbe stato meglio morire da eroi, andando in “cielo”, piuttosto che morire spiritualmente, subendo i valori della colonizzazione imperante e modernistica. Infatti il quesito era se valeva la pena, dopo la morte, andare al di là dell’arcobaleno con gli antenati o essere sepolti in un cimitero Giapponese. Poiché per Mouna valeva la prima ipotesi, inizia ad organizzare la insurrezione, con l’utilizzo della foresta, luogo a loro familiare. Oltre a ciò, tanto coraggio e tanta voglia di uccidere;

 

-       la tattica organizzativa per produrre gravi danni all’esercito giapponese. È in questa parte del film che si vede l’estremo sacrificio della morte attraverso il suicidio delle mamme e delle nonne, scelta volta a non intralciare il popolo combattente, rallentandone la marcia nella foresta e lasciando lo scarso cibo a disposizione di chi lottava con il nemico. Con quel gesto drammatico, le stesse donne, fornivano un aiuto alla causa, pur nella consapevolezza che sarebbe stata perdente, ma certamente avrebbero contribuito a far sì che le loro ricchezze naturali non potessero essere sfruttate dai Giapponesi.

 

-       infine, la battaglia cruenta   che vede la sconfitta del popolo indigeno con la morte di quasi tutti i rivoltosi e con il capo Mouna che si ritira sul monte Chilai (i suoi resti corporei sono ritrovati quattro anni dopo). L’eroismo, la forza dei guerrieri Seediq e il sacrificio delle loro donne impressionano molto gli stessi Giapponesi che da quel momento tributano agli avversari grande rispetto e ammirazione.

 

L’Idea Centrale, quindi, è che «l’eroismo, il non aver paura della morte, il continuare a credere nella propria identità, il sentirsi liberi di esprimere il proprio pensiero, possono contrastare una colonizzazione e una modernizzazione non rispettosa delle tradizioni di ogni popolo o tribù, tradizioni che sempre danno un particolare significato alla vita. Con una ribellione ben organizzata e carica d’orgoglio si può essere sconfitti, ma si induce l’avversario al rispetto e all’ammirazione».

 

 

 

 

 

Riprendendo la valutazione critica iniziale, non si giustificano nè la eccessiva lunghezza del film, né la troppa violenza gratuita, che ne fanno emergere gli aspetti di spettacolarità spicciola, i quali adombrano il significato di una idea tematica, che è stata espressa male cinematograficamente.(Rossi Gian Lauro)

 


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