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PALACIOS DE PENA



Regia: Gabriel Abrantes e Daniel Schmidt
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: PALACIOS DE PENA
Titolo originale: PALACIOS DE PENA
Cast: regia, sceneggiatura, montaggio e musica: Gabriel Abrantes, Daniel Schmidt – fotografia: Eberhard Schedl, Natxo Checa – produzione: Gabriel Abrantes, Natxo Checa, Zé dos Bois, Marta Furtado – origine: Portogallo, 2011 – colore – durata: 59’– interpreti: Andreia Martina, Catarina Garpar, Alcina Abrantes, Ana Rita Franco, Teresa Castro, Mariana Roberto, Nuria Coelho, Marta Lopes, Marta Vaz do Carmo, Marta Grilo – distribuzione italiana: Mutual Respect
Sceneggiatura: Gabriel Abrantes, Daniel Schmidt
Nazione: PORTOGALLO
Anno: 2011
Presentato: 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2011 – Orizzonti

È la storia di due adolescenti – Ana e Margarita – le quali, in occasione di una visita all’anziana nonna, cominciano ad interrogarsi sul loro futuro e su come questo si svolgerà: sembrano ossessionate dalla vuotezza delle loro esistenze e l’unico spettatore di queste loro riflessioni, la nonna, comincia subito a propinare loro una frase non chiarissima: «il Paese è cambiato ma la gente è la stessa». E comincia così una serie di fantasie dell’anziana signora che prendono l’abbrivio addirittura dal medioevo, visto come un secolo pieno di paure e di proibizioni, ma anche colmo di bellezze e di passioni: è la storia dei due cavalieri che incontrano due «mori» i quali si stanno masturbando reciprocamente in un atteggiamento pieno di dolcezza e addirittura asessuato. E in contrasto con il passato pieno di ossessioni sessuali, la nonna rivela alle ragazzine una frase di Gregorio di Mattos del diciottesimo secolo, che afferma che l’amore è un’estasi di gambe, di pance, di arterie, una confusione di bocche, un rotolare di cosce; chiunque dica il contrario è un animale.

Con questo siparietto, si allude alla vecchia cultura portoghese che prendeva spunto – anche errato a volte – dagli insegnamenti più bigotti della Chiesa e creava quindi una società chiusa e bigotta, dalla quale trasse linfa vitale sia l’inquisizione che il fascismo di Salazar.

Ma si giunge alla morte della nonna e dalla conseguente spartizione dell’eredità: con un sistema arcaico e poco comprensibile ai nostri giorni – l’abeyan – i beni della defunta non possono essere divisi ma debbono essere di proprietà di una sola delle due nipoti; quindi una delle due dovrà recedere dall’eredita a favore dell’altra.

Ovviamente nessuna delle due sembra disposta a tale sacrificio, ma Margarita sembra avere un guizzo di genio e, con una sorta di blitz, scavalca al momento la sorella Ana, installandosi nel Palazzo della nonna, dove comincia subito a fare delle feste lussuose: quest’ultima non si arrende e pensa ad un attentato all’intero Palazzo da realizzare con un incendio violentissimo: quando le fiamme si levano dal Palazzo, Margarita e le altre ragazze che vi si trovano, riescono a mettersi in salvo e tutti sembrano salvarsi.

È forse un apologo finale nel quale si auspica che il Portogallo abbia finalmente una pace politica che possa riunire il proprio popolo e ricostruire il Paese allo stesso modo di come verrà ricostruito il Palazzo? Probabilmente l’aspettativa della nonna sarebbe proprio questo, ma i due autori fanno molta confusione nell’esplicitarlo soprattutto nella sequenza finale, dove si distrugge il passato, ma non si comprende a cosa si vada incontro e chi debba ricostruire il futuro.

Comunque, i due autori – che oltre alla regia hanno fatto la sceneggiatura, il montaggio e la musica – hanno entrambi meno di trent’anni e quindi hanno la possibilità di farsi in futuro un po’ di mestiere, specialmente nella scrittura del film, cosa che in questo mi pare notevolmente carente. (Franco Sestini)

 


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