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La vita è meravigliosa



Regia: Frank Capra
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Titolo del film: LA VITA È MERAVIGLIOSA
Titolo originale: IT'S A WONDERFUL LIFE
Cast: regia: Frank Capra - sogg. e scenegg.: Frank Capra, Frances Goodrich, Albert Hackett - fotogr.: Joseph F. Biroc, Joseph Walker - mus.: Dimitri Tiomkin - mont.: William Hornbeck - scenogr.: Jack Okey - cost.: Edward Stevenson - interpr.: James Stewart (George Bailey), Donna Reed (Mary Hatch Bailey), Lionel Barrymore (Henry F. Potter), Thomas Mitchell (Zio Billy), Henry Travers (Clarence, l'angelo custode), Beulah Bondi(Mamma Bailey), Frank Faylen(Ernie Bishop), Ward Bond (Agente Bert), Gloria Grahame (Violet Bick), H.B. Warner (Emil Gower), Frank Albertson (Sam Wainwright), Todd Karns(Harry Bailey) - durata: 129' - B&N - produz.: Frank Capra per Liberty Films - origine: USA, 1947 - distrib.: G.D.B. (1948), Nuova Eri, Multivision, Ricordivideo, Panarecord, Gruppo Editoriale Bramante, Rcs Films & Tv
Sceneggiatura: Frances Goodrich, Albert Hackett, Frank Capra
Nazione: USA
Anno: 1947

Tratto da: Nazareno Taddei sj, Cinema Culture Religioni, pp. 100, 2002, ed. Edav. Roma

 

Ed eccoci al cinema americano, in mano agli ebrei.

Già da allora, ai tempi di Hitler, il cinema di Hollywood operava secondo una propria cultura; ma data la situazione mondiale, arrivava meno ad influire. Nel dopoguerra, cessate le ci­ne­matografie totalitarie (Russia, Germania, Italia), gli USA si trovarono a dover far fronte al sorgente Neorealismo italiano, che, pur magnifico, subiva l’influsso della sinistra comunista; anche per qualche insipienza della Democrazia cristiana dominante.

Cominciò cosí il cinema della “way of life” (strada di vita), una vera concezione di vita.

E vedremo subito in che consista; qui c’è tutta la cinematografia americana, che poi diventeranno tutti i mass media, tv in testa.

Prendo come esempio un solo film che è certamente emblematico: LA VITA È MERAVIGLIOSA di Frank Capra del 1946, l’anno della fine della seconda guerra mondiale..

 

LA VITA È MERAVIGILIOSA è stato un film di notevole importanza, quale creatore di mentalità. Anch’esso, come tutti i suoi con­fra­telli holly­woodiani, cerca di imporre (e purtroppo ci riesce) una «concezione di vita», la way of life, appunto.

Per questo aspetto, salvo i contenuti, si può mettere sullo stesso piano dei due film precedenti IL TRIONFO DELLA VO­LON­TÁ e SIRENA: idolatria del capo, il tedesco; lotta di classe, l’altro. Concezioni ambedue errate e assurde (se ne sono viste e se ne vedono le conseguenze). Infatti, è la collaborazione e non la lotta di classe, che può risolvere i problemi (come sempre ha insegnato la Chiesa cattolica e anche altre religioni). La lotta distrugge, anziché costruire; con l’acqua sporca butta via anche il pupo.

La way of life sono i valori; ma i valori sono praticamente i soldi, perché con i soldi puoi risolvere tutti i problemi.

Anche in questo film, pare ci sia il problema dei soldi; ma la strategia in favore dei soldi è piú articolata; anzi sembra che non ci sia.

Con l’allegra immagine natalizia e con musiche di gioia e richiami di campane sotto i titoli, all’inizio del film, f.c., si sente una madre coi bambini che chiedono aiuto per George Bailey, un gran bravuomo che sta per suicidarsi a causa di una pessima situazione economica del suo lavoro. In cielo, c’è chi si preoccupa e decidono di inviare un angelo di seconda classe, Clarence, affinché possa guadagnare le ali e passare di categoria. Gli illustrano chi è questo George.

Da ragazzo ha salvato suo fratello che stava per annegare. Era cresciuto col pensiero di costruire case per i molti che ne avevano bisogno e senza dover ricorrere al boos del luogo, Porret, avaro e crudele.

Quasi improvvisamente adulto, figlio di un papà molto onesto, anch’egli impiegato di banca, si ribella a Porret, padrone della città, e con un amico mette in piedi, lui, un’azienda in favore dei poveri. Il boss cerca in tutte le maniere di rovinarlo, perché gli fa difficoltà; ma lui riesce a sopravvivere, a costruire case, a sposare la donna della quale era innamorato fin da ragazzo e ora ha quattro figli, ben­voluto da tutti.

Tutto bene, tutto bello, tutto rosa; senonché proprio quella vigilia di Natale, il suo socio va alla banca a depositare gli 8.000 dollari che dovevano risolvere il problema della loro banca, sotto ispezione. Ma senza accorgersi, restituendo a Porret il giornale, gli lascia anche il gruzzolo. Porret, infame, approfitta per impossessarsene e cosí avere in mano l’avversario, che non gli aveva mai ceduto. Anche po­co prima, gli aveva rifiutato un grosso incarico, a condizione che egli gli cedesse il villaggio.

Con quel furto (ma non lo sa), George — ed è la sera di Natale – è disperato; va a casa, è cattivo con la famiglia; e quando vede che i bambini piangono per il suo modo di trattarli, prende il coraggio e va dal boss e gli si offre a qualsiasi condizione, purché gli impresti la somma; ma il boss ovviamente non accetta. Allora George sta per buttarsi al fiume.

È il momento in cui deve intervenire l’angelo; ed è già passata circa un’ora e mezzo di film, nella divertente storia.

Interviene infatti e per prendere in mano la faccenda, Clarence si butta in acqua in modo che anche George generosamente vi si butti, ma per salvare e non per annegarsi. Si tirano fuori dall’acqua, ma il nostro è sfiduciato e l’angelo non riesce… a rincuorarlo. Gli racconta la sua storia: «Ho bisogno del tuo aiuto per conquistare le ali». La situazione è comica. Sempre depresso, George esclama: «Non fossi mai nato!». L’angelo prende l’occasione al balzo e gli offre di mostrargli cosa sarebbe successo se non fosse mai nato. Nessuno piú lo riconosce; il fratello non è stato salvato dall’acqua; le case per la povera gente non sono state costruite, la moglie Mary sarebbe una zitella, il farmacista sarebbe ora un vecchio barbone dopo vent’anni di galera per aver ammazzato un bambino, con quello sbaglio, che George gli aveva impedito di commettere, ecc..

Nuova disperazione. Il nostro si mette a pregare, sempre sul ponte sul fiume e prega l’angelo di ritornare. Ma Clarence non ritorna. Passa invece un taxista che lo riconosce ed egli si rianima e corre a casa. C’è la polizia ad arrestarlo per la situazione della sua banca; ma c’è anche il socio e la moglie che arrivano con tutti i soldi raccolti dai beneficiati dalla sua impresa e quelli che arrivano a dare il proprio contributo. Arriva anche il fratello, già un giorno lontano salvato da lui, ora reduce dalla guerra con un grosso riconoscimento ministeriale e tutto finisce in gloria.

Questo film è fatto molto bene sotto il profilo della spettacolarità ed è valido anche moralmente; ma, per l’aspetto che ci interessa, il discorso è un po’ meno semplice: tra i film di Hollywood, esso è quello apparentemente meno legato alla propaganda della “way of life” americana, eppure lo è. Cerchiamo di vedere.

Occorre tener conto dei due diversi punti di vista, sotto i quali può essere considerato: quello tematico, cioè quello che il film «dice» con la struttura; e quello spettacolare, cioè quello che esso comunica effettivamente mediante le «comunicazioni inavvertite», praticamente tramite l’emotività. È questo secondo l’aspetto che ci interessa; ma non possiamo non indagare anche il primo.

C’è una impostazione narrativa che mette in rilievo i buoni sentimenti (onestà, carità, amore coniugale e paterno, aiuto anche e­ro­i­co a chi ha bisogno, importanza della donna nella vita sociale, lotta fino al sacrificio contro chi invece opprime per amore dei soldi, il valore della preghiera, il valore della vita (cosa sarebbe successo se lui non fosse nato) e non propriamente va contro il valore dei soldi.

È sottolineato l’aspetto religioso: è il cielo che interviene a salvare la situazione ed è stata la fede di quella famigliola a invocarlo.

Si potrebbe osservare che, per chi crede, anche non cristiano, l’efficacia di quella preghiera è, diciamo, sana; e l’intervento del cielo, per quanto fiabesco, e visto anche in forma… allegra (il colloquio tra i celesti e rappresentato da quella macchie bianche che pulsano in mezzo alla stelle nel nero del cielo, quando parlano) è credibile come modo di rappresentarlo, non come esposizione di una realtà. Chi non crede, invece, potrebbe ba­na­lizzare dicendo: «Devono ricorrere alla fiaba, per dimostrate l’efficacia di quella preghiera!».

Ma tutto quest’aspetto è trattato sostanzialmente in forma molto positiva.

Però anch’esso, in fondo, serve per risolvere un problema di soldi.

 Si può notare, piuttosto, che l’aspetto religioso è di natura generica; p.e. non si sa se i due protagonisti sono sposati religiosamente (e di quale religione) o civilmente: scendono da una scala!); l’amore della famiglia è senza chiare connotazioni religiose; il Natale, poi, con l’albero e non col presepe, come festa (non cristiana) pare ormai accettato piú o meno da tutti.

Questa genericità è un’esigenza commerciale: i film devono poter essere venduti in qualsiasi parte del mondo; non devono quindi toccare culture o religioni specifiche. Ragioni di bu­siness.

C’è poi un elemento che sembrerebbe contrastare la comune “way of life”: il denaro — sembra affermare il film — non fa la felicità. Tutto il film è contro quel boss in car­rozzella, il quale, benché vecchio, non pensa ad altro che al denaro e l’unica persona che riesce a contrastarlo è proprio George. Tuttavia… certo, il denaro non fa felicità, però è necessario; tant’è vero che anche «il nido d’amore» preparato da Mary nell’abitacolo che fa acqua da tutte le parti, almeno qualche soldo e qualche aiuto l’ha pur richiesto.

E, infatti, il film finisce con quella cascata di denaro per risolvere il problema del nostro, perché altrimenti andrebbe in galera.

Ma anche il nostro film è sulla strada way of life: il sistema per conquistare mentalmente il pubblico è lo stesso della Riefenstahl e di Stekly: lavorare sull’emozio­ne

Anzitutto, c’è un richiamo, pur unico, («So­lo chi ha soldi può vincere nella vita!») detto di passaggio proprio da George, che s’era sempre comportato contro tale principio. Poiché la frase è detta nel momento della disperazione, parrebbe che il film non le dia pe­so. Invece il peso è forte — emotivamente e non razionalmente — perché lo spettatore in quel momento non sa cosa succederà e quindi partecipa fortemente per George. La frase allora sembra cosa vera.

Ancora: tutte le situazioni o azioni frutto di buoni sentimenti sono trattare ed esposte molto piú sulla partecipazione emotiva dello spettatore che sulle motivazioni oggettive (v. p.e. l’amore paterno e coniugale: vi prevale qualche bell’abbraccio o giú di lí: non c’è un vero fatto di dedizione, se non quando chiede scusa in famiglia per essersi comportato male e se ne va, ma per suicidarsi [!?!]). In tal modo, i buoni sentimenti non si radicano con convinzione come tali nell’animo, bensí non fanno che sottolineare il contrasto tra chi non ha soldi e chi li ha e l’ovvietà che, anche chi non li ha, li deve avere per fare il bene che fa o per sopravvivere.

Il film, di per sé, è realisticamente incredibile; occorre abbandonarsi all’onda delle emozioni per accettare quello che dice (p.e. non è credibile che in un rione di città si raccolgano tutti quei soldi in una o due ore). Ma è quel­lo che succede nella testa degli spettatori: i soldi, comunque, sono sempre necessari.

Perfino la preghiera — anche quand’è efficace come in questo caso — lo è sempre per risolvere un problema di soldi. Quindi avere denaro è il vero problema dell’uomo, oggi: way of life.

Tuttavia il film, che pur la pubblicizza, offre vari momenti che si possono prendere per coglierne l’inconsistenza. Infatti, nemmeno questa concezione di vita è moralmente accettabile. E questo ci aiuta.

Infatti, se non si vede tutto il film (129 minuti), non è facile fare il discorso che qui abbiamo fatto.

Ma, anche solo qualche brano, scelto e ben inquadrato nel contesto del film (che occorre spiegare a parole) può servire a capire la nostra problematica, che è grossa: film che fanno cultura: come fanno? e cosa ne segue?

Si può p.e. presentare l’apertura del film, e farne capire l’impostazione narrativa: di un po­vero diavolo, onesto e dedito al bene degli al­tri, si interessa il cielo. Siamo certo in una fiaba che dirà quello che vuol dire, col ritmo delle emozioni e con notevole abilità creativa, ma senza argomenti di ragione; quindi poco credibile. Ma il fatto esiste: i soldi sono necessari: occorre però considerarli come strumento e non come concezione di vita.

Si può prendere l’uno o l’altro degli aspetti di vita che il film tratta; p.e. il valore della vita con la parte di George che… non è nato; oppure, tutta la scena del papà che torna a casa disperato e che poi si pente, ma va per suicidarsi, soccorso però dal cielo che approfitta della sua generosità come aveva fatto nel salvare il fratello; oppure la figura ripugnante del boss Porret, che trattiene gli 8 mila dollari, lasciatili per errore: vero «ladro», infame; ecc. ecc.. Ci sarà sempre l’occasione per fare il nostro discorso: mostrare l’inconsistenza di quella concezione di vita, evidenziando come il film — giocando sulle emozioni e senza veri argomenti di ragione — riesca ad alterare la concezione sui veri valori della vita.

La concezione della “way of live» è stata diffusa per decenni, cercando di diffondersi in tutto il mondo con la mentalità di una vita semplice, bella, serena; ma, a un certo punto, anche incredibile.

Anche questa è una considerazione valida e importante che si può fare circa questo film ed altri eventuali. È importante che il pubblico d’ogni cultura avverta il pericolo che si nasconde nella cosiddetta comunicazione di massa.

Ricordo solo un caso che m’ha impressionato, dandomi prova palmare del fenomeno: una coppia di amici da sempre è venuta a trovarmi recentemente per qualche giorno, dopo un lungo periodo di assenza. M’è sembrato che la signora, molto sveglia e sicura di sé, avesse cambiato un po’ il suo modo retto di ragionare, sulla base di quella confusione mentale ch’è — come accennerò — la grossa [pseudo]cultura da qualche tempo. Una sera, a caso, disse che, «da sempre», per ragioni di orario, segue «purtroppo» un certo tg, edito dalla parte politica contraria a quella cui appartiene lei. E lei lo sa. È uno dei (in certo senso) migliori tg italiani, che vuole apparire obiettivo, mentre — proprio un po’ come il nostro film — fiancheggia la propria parte politica giocando sulla confusione mentale. Ho capito subito: la signora non s’accorge di quanto sta succedendo; non ha cambiato posizione politica (per il momento e se ne guarda bene), ma sta assorbendo una mentalità che la sta squilibrando razionalmente e probabilmente la porterà da quella parte.

Un esempio di film (in questo caso: comunicazione massmediale) che fa… cultura(!?!).

(Nazareno Taddei s.j.)

 


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