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UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO



Regia: Mario Monicelli
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Edav N: 48 - 1977
Titolo del film: UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO
Cast: regia: Mario Monicelli - sogg.: Vincenzo Cerami - scenegg.: Mario Monicelli, Sergio Amidei - fotogr.: Mario Vulpiani - mus.: Giancarlo Chiaramello - mont.: Ruggero Mastroianni - scenogr.: Lorenzo Baraldi - cost.: Gitt Magrini - interpr.: Alberto Sordi(Giovanni Vivaldi), Shelley Winters(Amalia), Vincenzo Crocitti (Mario Vivaldi), Romolo Valli (Dottor Spaziani), Renzo Carboni (Il Rapinatore), Renato Romano(Il Medico), Renato Malavasi (Il Direttore Del Cimitero), Roberto Antonelli ( Giudice Istruttore), Renato Scarpa (Il Prete), Pietro Tordi (Capo Della Setta Massonica), Ettore Garofalo (Un Teppista), Paolo Paoloni (Collega Di Giovanni) - durata: 122' - colore - produz.: Luigi e Aurelio De Laurentiis per la Auro Cinematografica - origine: ITALIA, 1976 - distrib.: Cineriz (1977) - Ricordi Video - Vivivideo.
Sceneggiatura: Mario Monicelli, Sergio Amidei
Nazione: ITALIA
Anno: 1977
Premi: DAVID DI DONATELLO SPECIALE 1977 A VINCENZO CROCITTI E SHELLEY WINTERS. MIGLIOR FILM AD AURELIO E LUIGI DE LAURENTIIS, MIGLIOR REGIA E MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA.

Un film che avrebbe potuto essere la voce d'una giusta e impellente indignazione, forte e coraggiosa, che provoca giustizia; mentre di fatto è il film di una rabbia sorda e impotente ch'è inutile, se non dannosa.

 

La vicenda. Giovanni Vivaldi, impiegato al Ministero, ha un unico figlio, Mario, appena diplomatosi ragioniere, sul quale ha posto tutto il sogno della sua vita. Per fargli vincere un concorso al Ministero accetta perfino di iscriversi alla massoneria, contro il parere della moglie, che è di una religiosità mista a superstizione. Ma proprio il mattino del concorso (assicurato ormai dall'intervento della Loggia) e nonostante i suffumigi della moglie in nome della Madonna, glielo ammazzano casualmente in una sparatoria per un assalto a una banca. La moglie, che riceve la notizia dalla Tv, ne resta paralizzata.

Giovanni, nonostante l'aiuto dei Fratelli di Loggia, non riesce a dare a Mario sepoltura in un fornetto.

Dopo qualche tempo, in un confronto all'americana organizzato dalla polizia, riconosce l'assassino di suo figlio ma non lo denuncia. Invece lo segue: lo stordisce col crick della macchina e se lo porta legato e imbavagliato in una bicocca deserta dove lo tiene in vita per vederlo soffrire. È la vendetta cui vuol far partecipare anche la moglie. Il giovane assassino, con grave disappunto di Giovanni, muore; ed egli lo seppellisce vicino alla bicocca, sotto gli occhi della donna.

Grazie alla massoneria ottiene anticipatamente un'ottima pensione. Ma proprio il primo giorno ch'è pensionato, muore anche la moglie. Al funerale, il prete dice che, se fosse in lui, provocherebbe un nuovo diluvio universale, ma – bontà sua! – si rimette alla giustizia divina. Il nostro pensionato, solo e tristissimo, passa il suo tempo sulle panchine del parco. Una mattina, un altro giovane in giubbotto, villanzone e protervo come tanti giovani d'oggi, e che forse egli aveva visto in un primo confronto all'americana, lo offende ed egli lo segue in macchina con la stessa aria con cui aveva seguito l'assassino del figlio.

Il racconto, che narrativamente è lineare, porta in luce una serie di ambienti e relative tematiche (la vita d'ufficio, la massoneria e collegata solidarietà per avere privilegi, la morgue di Roma dove le salme sono accumulate provvisoriamente in attesa d'un'impossibile sepoltura e dove di tanto in tanto ne scoppia qualcuna, la Chiesa e la religione viste come rifugio e superstizione o come pessimismo estremisticamente moralistico, l'attuale delinquenza, ecc.), vedendoli tutti sotto un taglio negativo, quasi quadro universalizzante della società attuale dove tutto è soffocante e invivibile.

In questo quadro, la vicenda di Giovanni – incentrata strutturalmente sulla vendetta che egli vuol farsi di sé, perché è troppo comodo (lo dice esplicitamente) ammazzare e poi starsene comodi in galera a mangiare e bere gratis; vendetta (o, almeno, spirito di vendetta) che ritorna nel finale – assume valore tematico: «che cosa può fare oggi un povero diavolo (potrebbe essere l'idea centrale, che non è però propriamente tale) se non cercare di farsi vendetta da sé, in un modo, dove pare che lo stesso Padre Eterno s'accanisca contro i miserelli (Giovanni ha coscienza di peccare aderendo alla massoneria, ma vi aderisce lo stesso per amore del figlio) mentre lascia impuniti i delinquenti e gli assassini, dove non è possibile vivere senza piatire, dove si parla di fratellanza e si segue l'egoismo (p.e. la scena del commiato dell'ufficio) ecc?».

Dicevo: non è una vera e propria idea centrale, poiché più che affermazione d'una precisa idea (come sarebbe se dicesse «bisogna farsi giustizia di sé») il film è presentazione d'una situazione nella quale, sì, il protagonista si comporta a quel modo – e non si capisce bene se più per ferocia atavica allignante in ogni uomo o per reazione allucinante a un senso profondamente umano e mortalmente ferito – dimostrando però d'essere come impazzito e raccogliendo forse la simpatia dell'autore e nostra ma non una convinta adesione. In altre parole, lo stato d'animo, di fronte a determinate situazioni, è certamente quello che il film mostra nell'impiegato Vivaldi: una rabbia sorda, una voglia di spaccare la testa a certa gente, di sputare in faccia a cert'altra; ma il film si ferma a questo e non propone l'impiegato Vivaldi come prototipo di comportamento da seguire.

Ed è questa rabbia sorda, che nasce dalle situazioni e dalla vita così come il film le presenta, quella che infirma il valore tematico del film. Se sono vere più o meno tutte le cose e le brutture che il film richiama, sono però assai limitati l'angolo visuale e l'interpretazione con i quali l'autore le considera. Il mettere insieme, p.e., e sullo stesso piano, l'evento casuale (pur penosissimo e sconvolgente, dalla morte del figlio, proprio al mattino d'un concorso assicurato) e la schifosa situazione della malavita odierna, pure nel contesto socio-politico in cui essa si verifica; il mettere insieme la religione, pur guardata in suoi aspetti concreti, e il farsi giustizia da sé; oppure il mettere insieme e sullo stesso piano la disgrazia della moglie e la pratica indifferenza di chi si chiama Fratello ecc.; è un confondere troppo le cose, è voler incollare due lastre di metallo con la saliva.

È vero: come detto, lo stato d'animo che nasce di fronte a certe situazioni odierne è quello lì; ma esso non è né corretto né giustificabile: ogni cosa, ogni evento, ogni problema vanno visti nella loro propria ed esatta dimensione, se li si vuole affrontare adeguatamente, anche al di là di ciò che si prova.

Il seguire la strada tematica del film è affidarsi alla confusione di idee e all'impotenza; è mettersi in vicoli ciechi.

Ed è, oltretutto, una caratteristica comportamentale indotta praticamente e portata all'esasperazione proprio dai mass media. Massificazione.

Cinematograficamente, il film è fatto con ottimo mestiere. Granguignolesco e macabro in più d'un momento, sa esserlo però con un certo gusto sul filo del rasoio, che pare incontri quello piuttosto malato del pubblico d'oggi. Superlativa la recitazione di Sordi, che dà al personaggio di Giovanni tutta la credibilità di cui ha bisogno per sostenere un ruolo che rasenta l'assurdo; e ottimi anche Shelley Winters nel ruolo della madre e Romolo Valli in quello del capufficio. Ma soprattutto nella prima parte, il regista ha saputo condurre sceneggiatura, recitazione, montaggio e sonorizzazione con un'arte che ti fa penetrare negli ambienti come se ci vivessi, ti fa sentire gli attori come fossero i personaggi e i personaggi come fossero la gente che incontri per strada. Il tutto in una fotografia livida, ma quasi inavvertitamente, che fa coagulare i vari elementi (scenografia, recitazione, musica) e dà corpo strutturale e tematico alla vicenda.

Moralmente, il film è negativo per l'angolazione falsa della vita nel senso detto più sopra; mentre avrebbe potuto essere estremamente positivo se avesse guardato con gli occhi dell'indignazione pur cocente e graffiante e non con quelli della rabbia sorda e impotente che porta al delitto anziché alla giustizia.

A causa di questa sua errata angolazione tematica e quindi d'un contenuto che a un certo punto si svuota di valore e diventa inconsistente, pur riferendosi a concretissime realtà, è anche difficile dire quale possa essere l'influsso sul pubblico. Come certamente qualcuno andrà a cercare la massoneria per avere protezione e privilegi, così qualcuno altro accentuerà il suo disprezzo più che la sua indifferenza per i preti e per la religione; e chissà che qualche giovinastro non pensi che anche a lui potrebbe capitare quello ch'è capitato al collega dello schermo e se ne stia un po’ più calmo. Ma sono ipotesi e sprazzi. Resta comunque prevalente – a livello di comunicazione – l'idea del farsi giustizia da sé, la quale idea (come accennato) è chiara solo in apparenza, essendo troppi gli elementi che concorrono a renderla valida o rifiutabile. Ma quanti del pubblico odierno sono preparati ad analizzarla sulla base di tali elementi? (Nazareno Taddei sj)

 


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