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BALADA TRISTE DE TROMPETA



Regia: Alex de la Iglesia
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Titolo del film: BALADA TRISTE DE TROMPETA
Titolo originale: BALADA TRISTE DE TROMPETA
Nazione: SPAGNA
Anno: 2010
Presentato: 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2010 - In Concorso

Javier è il figlio di un pagliaccio spagnolo, che, al tempo del generale Franco durante la guerra civile spagnola viene reclutato dalla resistenza per combattere contro il generale Franco. Arrestato dalle truppe franchiste, il pagliaccio muore nel campo di prigionia (schiacciato dal cavallo di un colonnello franchista al quale il piccolo Javier cava un occhio, facendolo cadere da cavallo) lasciando suo figlio, il piccolo Javier, in balia del destino. Diventato adulto l’orfano ripercorre le orme paterne e diventa un clown, cercando e trovando lavoro in un circo dove lavorerà come spalla (il pagliaccio triste) di Sergio, un uomo lunatico e violento che lavora anch’egli come pagliaccio. Nel circo, il timido e pavido Javier ha anche modo di conoscere e innamorarsi al primo sguardo di Natalia, una bella trapezista che vive con Sergio una storia d’amore tormentata e burrascosa (l’uomo infatti la tratta male, picchiandola ogni qualvolta alza un po’ troppo il gomito, ovvero quasi quotidianamente). La trapezista, dal canto suo, è attratta anch’ella in qualche modo da Javier, così rispettoso e diverso dal brutale Sergio, ricambiando a modo suo il sentimento nei suoi confronti. Ingelosito dal rapporto che sta nascendo tra Javier e la sua donna, Sergio perde ancor di più le staffe e, una sera, sorprendendo i due insieme a un luna park, li aggredisce, picchiando la ragazza e spedendo Javier in ospedale, riducendolo in condizioni pietose.

Dopo aver ricevuto la visita di Natalia e aver appresso dei sentimenti della donna nei suoi confronti (lei gli rivela infatti di amarlo, ma gli propone di troncare la loro relazione, spaventata dalla possibile reazione di Sergio), Javier abbandona l’ospedale e a sua volta aggredisce Sergio riducendolo in fin di vita e poi fuggendo via per i boschi, braccato dalla polizia. Sergio viene invece soccorso dai compagni del circo, venendo curato da un veterinario che riesce a salvargli la vita, sebbene il viso del pagliaccio resti orrendamente deturpato.

Javier, nel frattempo, datosi alla macchia all’interno di una foresta, viene catturato dallo stesso colonnello del regime franchista che egli aveva tempo addietro reso orbo e che adesso lo umilia facendolo lavorare per lui come cane da riporto (!) durante le sue battute di caccia. Avendo, durante una di queste battute, morso la mano del generale Franco in persona Javier viene condannato a morte, ma prima di essere ucciso dal colonnello ha una visione in cui la bella Natalia gli rinnova il suo amore e lo prega di salvarla. Infervorato dalla visione l’uomo si deturpa orrendamente il volto (con della soda caustica e un ferro rovente), truccandosi come un macabro pagliaccio e uccide i suoi prigionieri, andando poi in cerca di Natalia, portando lo scompiglio nella città, per la quale si aggira armato di tutto punto. Trovata la donna - che, abbandonato il circo, ha trovato nel frattempo lavoro in un night club – l’uomo la rapisce portandola con sé in una grotta dove ha sequestrato anche gli animali del circo. Resta da combattere il pagliaccio nemico, Sergio, con il quale Javier si scontra in una sorta di duello finale dall’alto di una gigantesca croce (fatta costruire tempo addietro dai franchisti e per la costruzione della quale aveva lavorato in prigionia anche suo padre). Le sorti della battaglia finale sono però nefaste perché Natalia, che nel frattempo ha accettato ormai l’amore dell’uomo, rimane uccisa e Javier, insieme col nemico Sergio, viene arrestato dalla polizia.

Entrambi orfani della donna che amavano ognuno nel suo particolare modo, i nemici Sergio e Javier si ritrovano faccia a faccia all’interno del cellulare delle forze dell’ordine che li sta portando via e, l’uno (forse) ridendo e l’altro piangendo, sfogano entrambi il dolore per la dolorosa perdita.

A una vicenda quasi del tutto schizofrenica corrisponde, a livello del racconto, una struttura molto semplice, ma altrettanto incolore e avulsa da ogni possibile tentativo razionale di significazione tematica. All’inizio del film, scroscianti risate di bambini su sfondo nero precedono la comparsa sullo schermo di immagini di repertorio della guerra civile spagnola seguite dalle immagini di attori del cinema e foto di pagliacci. La figura del pagliaccio è del resto presente fin dalle prime immagini del film incarnata dal padre di Javier che viene precettato dal comandante della resistenza e mandato a combattere proprio in veste di clown. Il protagonista del film, Javier si ritrova quasi subito orfano del padre che, nell’apprendere della scelta del figlio di divenire pagliaccio a sua volta, gli raccomanda di intraprendere la carriera di “pagliaccio triste”, dato che, privato di una vera infanzia, l’uomo non potrebbe mai far ridere la gente. L’unico modo di divertirsi per Javier è, secondo le raccomandazioni del padre, quello di vendicarsi. La vendetta, in effetti, è proprio ciò che sembra muovere il pagliaccio, prima nei confronti dell’uccisore del padre (il colonnello a cui farà perdere un occhio), quindi di Sergio, il pagliaccio rivale che riduce in fin di vita, restituendogli violenza per violenza e quindi, nuovamente, dello stesso colonnello franchista che ucciderà dopo aver ricevuto la “visione” di Natalia (vista come se fosse la Madonna), dalla quale egli sembra ricevere quindi una sorta di investitura divina che giustifichi anche umanamente (e perché?) tale violenza. Il motivo della vendetta però si lega strettamente a quello che potremmo chiamare della “follia della società”. L’ambiente sociale in cui si muovono i personaggi del film (e ricordiamo che gran parte di esso si svolge all’interno di un circo con tutta la fila di personaggi da “baraccone”, di per loro quindi già emblematici per la loro sregolatezza) è un ambiente malsano e irreale. Alla follia della guerra si uniscono le follie private degli uomini che costituiscono l’universo del film (si pensi al comportamento lunatico e schizofrenico di Sergio, o alle pulsioni di amore/odio di Natalia che pur picchiata ama alla follia- di un amore malsano e irrazionale- il suo aguzzino; o ancora si pensi alla violenza repressa e bestiale che anima Javier; o quella che anima il colonnello franchista che impiega l’uomo come cane da riporto e così via). D’altra parte, è proprio uno dei personaggi che, a parole, dichiara a chiare lettere quella che sembrerebbe essere la morale (non oserei parlare di chiave tematica o idea centrale) del film: “non siamo noi i pazzi, ma è questa intera società che va a rotoli”. Dopotutto, a supportare, questa idea, il regista prende a protagonisti le figure di due pagliacci che, si noti bene, uniti in teoria dal fatto di essere l’uno la spalla dell’altro sono , in pratica, divisi da un odio viscerale. Lo stesso odio e la stessa follia che li farà scontrare prima (da “normali”) truccati da pagliacci e in seguito (a causa della follia “globale” del mondo) ridotti a una sorta di caricatura di loro stessi, di orrendi “pagliacci viventi” (si ricordi il trucco indelebile del deturpato Javier o l’incapacità di Sergio di trovare altro da fare nella vita, pur essendo orrendamente deturpato. O ancora aa scelta di quest’ultimo, di affrontare il rivale nella battaglia finale truccato ancora una volta da orribile clown).

Questa moralina, tuttavia, non è, come già detto, chiaramente esplicitata dal film, che sembra dividersi in due parti affatto diverse e per di più non conseguenti l’una dall’altra (che l’autore abbia voluto, con tale schizofrenica dicotomia, rendere cinematograficamente la malattia della società? Difficile rispondere). Specie la seconda delle due parti appare però completamente priva del minimo senso logico.

Difficile dunque, in ultima analisi, capire come si possano legare e amalgamare insieme, all’interno dell’opera, suggestioni filmiche tanto differenti, ma ancor più difficile tentar di comprendere cosa sia passato per la testa dei selezionatori per decidere di mettere un film del genere in concorso, togliendo spazio a opere certamente più meritevoli.

(Manfredi Mancuso)
 


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