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OCA (DAD)



Regia: Vlado Skafar
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: - 2010
Titolo del film: OCA (DAD)
Titolo originale: OCA
Nazione: SLOVENIA
Anno: 2010
Presentato: 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2010 - Settimana della Critica
Le due parti del film sono talmente differenti da sembrare opere di due autori: quanto poetica e analitica la prima, altrettanto è realistica e sintetica la seconda. Per poterne comprendere il senso, conviene partire dalla fine. Un uomo sui cinquanta lamenta all’osteria con gli amici operai le condizioni economiche nelle quali oggi sono ridotti e le conseguenze che si ripercuotono sulle famiglie. Veniamo dall’aver assistito ad un gruppo di essi che ascoltavano con partecipazione muta la voce fuori campo d’una donna esasperata dal dramma che riguarda i figli perché “le autorità l’hanno abbandonata nella sua miseria”, e ne addossa tutta la responsabilità al potere politico. Nella prima parte il film si svolge in un bosco ai margini d’una palude. Lunghe inquadrature deliziano gli occhi degli spettatori con splendide fotografie di paesaggi forestali confinanti con una spiaggetta sabbiosa. Un uomo e un bambino pescano, muti senza neppure guardarsi a vicenda. Lui è triste, l’altro malinconico. Nessuno dei due prende l’iniziativa di parlare. Quando con fatica rompono il silenzio, le parole girano a vuoto: gli alberi, gli animali…”Chiamami papà” suggerisce (‘implora!) l’uomo: nessuna risposta! “Ma io, chiede dopo più di mezz’ora di proiezione, chi sono per te?” “Il vento bianco!”, risponde il figlio. Quando gli chiede tre parole che predilige, egli risponde pronto: ”Mamma, fisarmonica, amore”. Mentre l’uomo si appisola sull’erba sognando la moglie con la quale nel sogno ‘vola tra le nuvole del cielo’, il bambino sparisce. La ricerca ha fine di sera davanti alla finestra illuminata al di qua della quale dalla quale l’uomo osserva immobile il figlio (accolto dalla madre intravista soltanto di sfuggita) che si rifugia in camera sua.

Il contrasto tra la poesia e la realtà della vita è stridente. L’interpretazione dei due personaggi è soltanto accettabile: l’uomo si sforza nella prima parte d’essere vero, ma si sente che viene dall’accademia; il bambino è stato troppo ‘istruito’ sul modo di comportarsi. Non si possono dimenticare facilmente le splendide fotografie iniziali, che a lungo andare stancano e perdono efficacia in quanto l’autocompiacimento dell’autore per i risultati balza in primo piano e s’impone. Le belle fotografie cedono il posto a fotografie di bei paesaggi. Il commento musicale è dato da motivi popolari contemporanei (propri della cultura slovena), che a metà del cast di coda passa insolitamente al silenzio mentre sfila sullo schermo il lungo elenco degli sconosciuti collaboratori del regista, quasi a simboleggiare gli ignoti numerosissimi operai sloveni in crisi come il protagonista del film.  (Adelio Cola)

 


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