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SILENT SOULS



Regia: Aleksei Fedorchenko
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Edav N: 383 - 2010
Titolo del film: OVSYANKI
Titolo originale: OVSYANKI
Cast: regia: Aleksei Fedorchenko – sogg.: dal romanzo The Buntings - scenegg.: Denis Osokin – fotogr.: Mikhail Krichman – scenogr.: Artyom Khabibulin – mont.: Sergei Ivanov, Anna Vergun, Violetta Kostromina – suono: Elena Titova, Nelli Ivanova, Kirill Vasilenko – mus.: Andrei Karasyov – cost.: Anna Barthuly, Lidiya Archakova – interpr.: Igor Sergeyev (Aist), Yuriy Tsurilo (Miron), Yuliya Aug (Tanya), Viktor Sukhorukov (Vesa), Vyacheslav Melekhov, Larisa Damaskina, Ivan Tushin, Yuliy Tushina, Leisan Sitdikova, Olga Dobrina – colore – durata: 75’ – produz.: Igor Mishin, Mary Nazari (Media Mir Foundation) – origine: RUSSIA, 2010 – distrib.: Microcinema 25.5.2012
Sceneggiatura: Denis Osokin
Nazione: RUSSIA
Anno: 2010
Presentato: 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2010 - In Concorso
Premi: Premio PADRE NAZARENO TADDEI SJ 2010 e OSELLA PER LA MIGLIORE FOTOGRAFIA (Mikhail Krichman) alla 67.ma Mostra Internazionale D'Arte Cinematografica di Venezia

È la storia di Aist e di Miron, due russi discendenti da un’antica tribù sovietica, detta “Merya”, che lavorano in una cartiera industriale nella piccola cittadina di Neya. Dopo aver comprato al mercato una coppia di zigoli, Aist viene pregato dall’amico Miron, direttore della cartiera, di accompagnarlo in un viaggio per seppellire Tanya, la defunta moglie del direttore, deceduta la notte precedente.

Accettando, Aist (che si porta dietro gli uccellini) accompagna l’amico lungo piccole regioni sconosciute della Russia. Durante il viaggio, i due uomini ricordano a loro modo le antiche usanze del passato Merya e del loro personale vissuto familiare e, in una delle tappe, bruciano la donna su una pira funebre.

Tornando a casa, per colpa degli zigoli (che fuggono dalla gabbia creando scompiglio nell’abitacolo della macchina), Aist e Miron perdono il controllo del mezzo  e finiscono entrambi dentro il Volga, annegando. Nell’immagine finale scorrono sullo schermo vecchie immagini di Miron e della moglie, mentre, a braccetto sopra lo stesso ponte (agghindato da lucchetti, come nel moderno uso tra gli innamorati di oggi) si scambiano affettuose effusioni.

Questa la laconica vicenda. Prendendo in esame il racconto, spicca subito la presenza di un elemento simbolico, caratterizzato dalla coppia di zigoli, emblema di un passato di usanze della fragile cultura Merya, che lotta per la sopravvivenza in una società che tende a fagocitare il passato, inglobandolo in un anonimo presente.

Gli zigoli, presenti fin dalla prima immagine del film, fanno riaffiorare nel personaggio di Aist i ricordi del suo passato, incarnati nelle scene in cui lui si rivede fanciullo mentre accompagna il padre, bislacco poeta autodidatta. Il diverso effetto cromatico delle sequenze dei ricordi, lungi dall’essere soltanto un elemento di differenziazione tra il presente e il passato, esprime con la brillantezza dei colori anche la bellezza di un passato perduto, ma vivo sul piano della memoria.

Le tradizioni legate alla cultura Merya vengono presentate lungo tutto il corso del film: dalla lunga sequenza del lavaggio e della vestizione della morta, al suo rogo funebre, ai ricordi che affiorano nelle conversazioni tra Aist e Miron (soprattutto nel “fumare”, come indicato dal film, ovvero nelle conversazioni tra i due amici sulle abitudini e sul carattere della defunta). Queste tradizioni tuttavia, un po’ come la cittadina della regione di Kostroma che sta scomparendo, inglobata dalla città moderna (nella quale i due uomini faranno degli acquisti in un grosso e moderno centro commerciale), faticano a resistere agli scossoni del tempo. Proprio nella malinconia che muove le azioni di Miron e Aist possiamo intuire la posizione ideologica del regista su questo tema. È la consapevolezza espressa da Aist che, alla loro morte, nessuno ricorderà più i nomi e l’esistenza di quelle tradizioni che rende bene il pessimismo del regista riguardo alla precaria sopravvivenza della cultura Merya. Soltanto con la morte, sembra anzi dire l’autore, (anche se la morte, nel film, presenta – è bene notarlo – caratteri positivi che aprono all’infinito soprannaturale di una nuova vita) le antiche tradizioni potranno trovare finalmente un senso, così come l’amore («solo l’amore sopravvive», dice Aist nella sequenza della sua morte, alla fine del film), che viene presentato come un elemento universale nel quale il pessimismo del regista si placa, trovando una sua raison d’etre.

Emblematica, infine, l’ultima immagine del film che mostra, come detto, la presenza di un uso invalso ormai nel mondo moderno per l’esplicitazione del sentimento amoroso (ovvero quello dei “lucchetti degli innamorati”). Tale immagine, che, a livello di vicenda, mostra l’autenticità del sentimento d’amore tra Miron e la moglie, a livello del racconto assume una doppia valenza emblematica: da un lato avvalora le parole espresse nel film da Miron («solo l’amore sopravvive»), elevando su un piano superiore la tematica dell’amore, come elemento universalizzante che resiste pur nella perdita degli altri valori. Dall’altro, invece, inasprisce la posizione malinconica e in parte pessimista dell’autore che indica nei lucchetti il superamento delle vecchie tradizioni, che vengono ormai soppiantate da un uso moderno e consumistico dei sentimenti.

Il film è un lavoro certamente valido e dignitoso per l’onestà della tematica espressa e la lentezza si adatta perfettamente a rendere la malinconia di tutto il film. (Manfredi Mancuso)

 


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