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AVATAR


di MANFREDI MANCUSO
Edav N: 377 - 2010
Titolo del film: AVATAR
Titolo originale: AVATAR
Cast: regia, sogg. e scenegg: James Cameron – fotogr.: Mauro Fiore – scenogr.: Robert Stromberg, Rick Carter – mont.: James Cameron, John Refoua, Stephen Rivkin – mus.: James Horner – cost.: John Arding, Mayes C. Rubeo, Deborah Lynn Scott – interpr. princ.: Sam Worthington (Jake Sully), Zoe Saldana (Neytiri), Sigourney Weaver (Grace Augustine), Stephen Lang (Miles Quaritch), Joel David Moore (Norm Spellmann), Giovanni Ribisi (Parker Selfridge), Michelle Rodriguez (Trudy Chacon), Dileep Rao (Max Patel), Laz Alonso (Tsu’tey), Wes Studi (Eytukan), CCH Pounder (Moat) – durata: 160’ – colore – produz.: 20Th Century Fox, Giant Studios, Lightstorm Entertainment – origine: USA, 2009 – distrib.: 20Th Century Fox (15-01-2010)
Sceneggiatura: James Cameron
Nazione: USA
Anno: 2009
Premi: PREMIO OSCAR 2010 MIGLIOR FOTOGRAFIA (Mauro Fiore); PREMIO OSCAR 2010 MIGLIOR SCENOGRAFIA (Rick Carter, Robert Stromberg e Kim Sinclair); PREMIO OSCAR 2010 MIGLIOR EFFETTI SPECIALI (Joe Letteri, Stephen Rosenbaum, Richard Baneham e Andrew R. Jones)

È la storia (ambientata in un remoto futuro) di Jake Sully, ex marine costretto a vivere sulla sedia a rotelle, il quale viene reclutato per viaggiare nello spazio verso il pianeta Pandora, dove alcune compagnie terrestri, servendosi della forza militare, stanno estraendo un minerale che può risolvere la crisi energetica della Terra. Il pianeta, la cui atmosfera è tossica per gli uomini, è abitato da pericolose bestie selvatiche e, soprattutto, da alcuni indigeni nativi, i Na’vi, che vengono studiati nel «Programma Avatar», condotto dalla scienziata Grace Augustine.

Il programma, di cui anche Jake fa parte, prevede l’uso di sofisticate tecnologie che permettono a un uomo di collegare la propria coscienza a un «avatar», un corpo organico geneticamente sviluppato dall’incrocio fra DNA umano e DNA Na’vi e controllato a distanza a livello di pensiero e di gesti. In questo modo non ci si dovrà preoccupare dell’atmosfera.

Ufficialmente il marine si mette a disposizione della dottoressa Augustine, ma, in realtà, stringe segretamente accordi anche con un militare, il colonnello Quaritch, che promette di fargli restituire l’uso delle gambe in cambio di informazioni sugli alieni. Smarritosi (con il corpo virtuale)1 sul pianeta, Jake viene salvato dall’attacco di alcune belve feroci da Neytiri, un’autoctona che lo introduce nella comunità dei Na’vi. Passano i giorni e Jake, diviso tra la sua vita reale e quella da avatar, si appassiona sempre piú alla vita da Na’vi, innamorandosi (ricambiato) di Neytiri.

Nella sua vita «umana», Jake deve, invece, fare i conti con Quaritch. Prevedibilmente, la situazione precipita. Per un atto di insubordinazione Sully viene arrestato e imprigionato insieme con il resto degli scienziati, mentre inizia l’allontanamento degli alieni con la forza. Evaso Sully scappa e, ripreso possesso del suo corpo da avatar, si pone a capo della «resistenza» aliena.

Le sorti della battaglia sembrano pendere decisamente dalla parte degli umani fino a quando, dalla parte dei «primitivi» alieni, non si schiera anche Eywa, una divinità primordiale, una sorta di Madre Natura, che fa combattere contro gli uomini anche la pericolosa fauna del pianeta. Vinta la guerra a Jake non resta che un ultimo duello, quello con Quaritch, che alla fine viene sconfitto.

Terminate le ostilità, dopo aver obbligato tutti gli umani (tranne i pochi meritevoli) a far ritorno sulla terra, Jake decide di vivere per sempre su Pandora, sottoponendosi a un rito alieno che trasferirà la sua coscienza dentro il corpo dell’avatar.

Questa la vicenda.

A livello del racconto, il protagonista, Jake Sully, approdato da «conquistadores» su un pianeta straniero e dapprima convinto, dal suo status di militare, a mettersi a servizio del colonnello Quaritch (allettato anche dalla prospettiva di «riavere le gambe», secondo l’accordo preso con l’ufficiale) viene poi gradualmente in contatto con la cultura del popolo «alieno» dei Na’vi, restandone sinceramente affascinato e comprendendo poco a poco come siano meschine le motivazioni dei suoi superiori umani.

Il popolo dei Na’vi merita da parte sua un’analisi precisa: gli autoctoni vengono presentati come una sorta di popolo primitivo, legato ad antiche tradizioni, tutte aventi come referente, in misura minore o maggiore, il mondo della natura. Ogni cosa nel pianeta di Pandora (che raccoglie, già nel nome, ancestrali reminescenze della vita primordiale) è legata alla natura; e la natura stessa permette del resto delle «connessioni» tra gli uomini e altri elementi del mondo vivente (si pensi per es. al modo in cui i Na’vi possono collegarsi tra loro e persino con gli animali e con le piante attraverso la loro «coda di cavallo» dei capelli), garantendo cosí addirittura la sopravvivenza dei ricordi delle gesta e della memoria degli antenati. Ogni Na’vi è del resto perfettamente conscio che la vita di ogni essere vivente è «solo in prestito» e che alla fine del ciclo ogni organismo «ritornerà alla terra». Non stupisce cosí che, in un mondo siffatto, la principale divinità sia una sorta di Grande Madre Natura, «Eywa», la cui incarnazione sensibile è un «albero-sacro».

Di contro, gli esseri umani (ad eccezione dei pochi scienziati illuminati e di una soldatessa in crisi di coscienza), pur essendo «tecnologicamente» piú avanzati sono presentati come una razza aggressiva e ottusa, capace di passare sopra ogni cosa (vite umane e…vegetali) che sia di ostacolo al soddisfacimento di un mero guadagno economico.

L’«umano» Jake, che, come uomo è «stupido e ignorante come un bambino» (secondo la definizione che ne dà Neytiri poco dopo averlo conosciuto), viene a contatto con la cultura aliena dall’interno, ovvero dentro un corpo fittizio (l’Avatar) che pur avendo tutte le caratteristiche esterne dei Na’vi conserva tuttavia la coscienza del suo possessore. E arriva addirittura, nel finale, a rifiutare il suo corpo e la sua natura umana per mettersi a capo della rivolta dei «buoni» alieni per «reincarnarsi», vinta la guerra, nell’organismo alieno.

L’idea del regista Cameron, quella di mostrare come una vera e propria vita naturale (legata allo spirito originario dell’essere umano e al rapporto che lega nel profondo tutti gli esseri viventi) sia negata all’uomo per via degli interessi economici e materiali sempre dominanti risulta espressa con decisiva chiarezza, sfiorando a tratti il didascalismo. Per poter far ritorno alla Natura all’uomo non resta quindi che la necessità di «uscire» dalla sua natura (o, metaforicamente, dal suo corpo, già del resto «malato», se si pensa alla figura del protagonista Jake, con l’organismo dimezzato nella sua funzionalità, dalla paralisi delle gambe), rinnegando la sua indole materialistica e prendendo vera coscienza dell’importanza che «Madre Terra» ricopre con il suo ruolo di grande equilibratrice dei destini degli esseri viventi.

Fin qui tutto bene. Il problema però è che, nel film, tale idea sembra piú un pretesto che concede all’autore la possibilità di creare una spettacolare fantasmagoria di corpi digitalizzati ed effetti grafici sbalorditivi.

Il continuo mescolarsi di immagini «reali» ed immagini virtuali infatti, a parte una superficiale utilità narrativa, non ha un’autentica ragion d’essere a livello del racconto e trova adeguata giustificazione solo come spettacolo (nel senso piú banale del termine) visivo.

In piú la tematica, o meglio la pseudotematica «ecologista» dell’opera di Cameron raccoglie al suo interno degli elementi che poco o nulla hanno a che fare con essa e che non possono essere del tutto condivisi. Il fattore piú negativo è forse quella sorta di religiosità naturistica che Cameron rappresenta come il valore principale del film e che, differentemente dal Cristianesimo o comunque da forme di religiosità autentica, presenta invece tratti piú vicini a certe forme di culto cabalistico (tutto è connesso), neopagano o di spiritualità New Age ed è anzi, propria di quest’ultima la convinzione che ogni individuo è chiamato a costruire un proprio peculiare cammino spirituale che presenti le forme del «risveglio» o del «ritorno a Casa». Elementi che presentano una singolare analogia proprio con certi rimandi del film, durante il quale il protagonista afferma piú volte di stare «sognando» (e del resto proprio come un «risveglio» può essere intesa la scena finale di Avatar in cui gli occhi del protagonista si aprono a una nuova vita).

Riflessione a parte merita anche l’analisi dei livelli di «finzione» e realtà presente nel film, che spinge ad alcune considerazioni.

Bisogna intanto notare che il termine «avatar», parola ben nota al tecnologico popolo di internet, sta il piú delle volte a significare un’immagine che viene presa come «alter-ego» o come «manifestazione sensibile» della nostra esistenza virtuale sulla rete.2 Simile l’impiego nei videogiochi, nei quali si può dire che, in accezione larga, è un avatar il personaggio protagonista incarnato dal videogiocatore che ne controlla le mosse attraverso un joypad (in realtà tale parola, come ci informa l’enciclopedia Treccani,3 viene a sua volta mutuata dal sanscrito «avatara» indicante la discesa di una divinità sulla terra e la sua successiva incarnazione. Concetto di notevole importanza nell’induismo e nel brahmanesimo, con particolare riferimento al culto del dio Vishnu, le cui incarnazioni riconosciute sono dieci. Fra queste, l’ottava, la piú celebre è quella di Krishna, la cui raffigurazione tradizionale è quella di un dio con la pelle blu).4

Il controllo dell’avatar da parte di Sully è l’elemento che spiega l’uso del termine scelto da Cameron come titolo del suo film; il regista americano richiamandosi cioè apertamente al mondo di internet e dei videogiochi mescola di continuo il piano del «reale» umano del protagonista con il piano «fittizio» della sua esistenza da alieno controllato a distanza (che in realtà, però, si pone al contempo sullo stesso piano dell’esistenza reale del protagonista che non «smette» di esistere nella realtà), generando per lo meno qualche perplessità di carattere morale, quando non puramente razionale.

Il film nel suo complesso è girato con mestiere da un professionista abituato a kolossal ed è ben recitato dagli attori umani e, soprattutto, dagli avatar, la cui trasposizione digitale ha del sorprendente per quel che riguarda il fotorealismo.

A tirar le fila, però, l’immenso successo riscontrato dal film di Cameron va forse ricercato piú in un’efficace e invasiva campagna pubblicitaria che nei meriti di valore della pellicola stessa.

In ultimo vale forse la pena a notare qualche ulteriore considerazione sull’influenza che un film del genere può avere quanto alla formazione della persona.

Se è vero che nel film risulta lampante l’attenzione al mondo della natura al rispetto per l’ecologia (di per sé un valore) - anche se con modalità che, data la particolarità della vicenda impediscono una valida possibilità di universalizzazione – è però anche vero che certi aspetti del film presentano risvolti difficilmente condivisibili, quando non espressamente e oggettivamente negativi. Dalle forme di pseudo religiosità alle quali si è già accennato prima, alla confusione mentale che potrebbe generare una vicenda incentrata sul continuo mischiarsi di realtà e fantasia. Senza contare gli aspetti «violenti» di una lotta armata, considerata – come spesso accade – l’unico rimedio possibile alla soluzione dei conflitti ideologici. (Manfredi Mancuso)

 
Note

1 Quello reale invece resta sempre al sicuro dentro una sorta di vasca coperta, chiamata Link (in inglese «collegamento») che permette la connessione neuronale.

2 In altre parole, immaginando che, all’interno di un forum internet (ovvero uno spazio nel quale sia possibile scrivere messaggi e leggere messaggi altrui) il sig. Mario Rossi scelga di scrivere con lo pseudonimo «Mr.X» e di mettere come fotografia distintiva della sua identità, l’immagine di una grossa «X», quest’ultima sarà considerata l’«avatar» del sig. Rossi.

3 Lessico Universale Italiano. Ist. Encicl. Italiana Treccani, Vol. II, 1981

4 Curioso che il blu sia il colore scelto dal regista Cameron per caratterizzare proprio gli strani esseri antropomorfi che abitano Pandora. Coincidenza o colto richiamo all’etimologia del termine?

 


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