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CANTANDO DIETRO I PARAVENTI



Regia: Ermanno Olmi
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Edav N: 2003 - 315
Titolo del film: CANTANDO DIETRO I PARAVENTI
Titolo originale: CANTANDO DIETRO I PARAVENTI
Cast: regia, sogg., scenegg.: Ermanno Olmi – fotogr.: Fabio Olmi – mus.: Han Yong – mont.: Paolo Cot­tignola – scenogr.: Luigi Marchione – cost.: Francesca Sartori – interpr.: Bud Spencer , alias Carlo Pedersoli (vecchio Capitano portoghese), Jun Ichikawa Li (vedova Ching), Sally Ming Zeo Ni (confidente), Camillo Grassi (nostromo), Makoto Kobayashi (Ammiraglio Ching), Yang Li Xiang (Supremo Ammiraglio Kwo Lang), Guang Wen Li (dignitario imperiale), Ruohao Chen (emissario imperiale), Davide Dragonetti (cliente ignaro), Alberto Capone (cliente militare), Carlene Ko (Mery Red), Sultan Temir Omarov (Ammiraglio Thin Kwei), Bellini Zheng (il piccolo Guiady) – colore – durata: 100’ - musiche da: Orchestra Sinfonica diretta da Gianfranco Plenizio; registrazioni effettuate nei Sony Music Studios di Londra – produz.: Luigi Musini e Roberto Ciccutto per Cinemaundici e Rai Cinema Italia / Pierre Grise Production, Francia – coproduz.: Lakeshore Entertainment Sbs (Gb), con Sky – origine: ITALIA, 2003 – distribuz.: Mikado – col il sostegno di Eurimages e MIBAC – grato nel Montenegro e Roma Studios Pontina
Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Nazione: ITALIA
Anno: 2003
Premi: - DAVID DI DONATELLO 2004 PER LA MIGLIOR SCENOGRAFIA (LUIGI MARCHIONE), I MIGLIORI COSTUMI (FRANCESCA SARTORI) E MIGLIORI EFFETTI SPECIALI VISIVI (UBIK VISUAL EFFECTS - BOSS FILM) - NASTRO D'ARGENTO 2004 PER: MIGLIOR SOGGETTO (ERMANNO OLMI), MIGLIOR FOTOGRAFIA (FABIO OLMI), MIGLIOR SCENOGRAFIA (LUIGI MARCHIONE) E MIGLIORI COSTUMI (FRANCESCA SARTORI)
Chiavi tematiche: pace, perdono

È il «film porno di Olmi», dicono scherzosamente in qualche ambiente… qualificato di Roma; e in «Sette» del Corsera mettono Olmi con Camilleri e Fellini nel servizio L’eros (ri)comincia a 70 anni, con qualche accenno a Italo Svevo del Senilità .

Non so però con quanta verità. È vero che non ricordo mai d’aver visto in Olmi, come questa volta, uno spogliarello integrale e una qualche, rara, insistenza sulle cosce di Ching; ma direi che è da sessuofobi lasciarsi conturbare da quelle rapide visioni.

Comunque, aspettatevi bellissime immagini di interni e soprattutto di esterni, qualche rarissima — se volete — anche di seno e di cosce; aspettatevi anche piú di una felice intuizione cinematografica da vero artista. Invece, purtroppo, non aspettatevi risposta a tutti i perché — anche solo narrativi — che vi balzeranno alla mente; accontentatevi invece della meraviglia del come Olmi vi fa vedere le cose che vi presenta.

Notiamo: il film non è — come tutti hanno inteso — la storia della piratessa Ching che si piega a chiedere perdono all’imperatore quando ormai la flotta imperiale, munita poi di motore a vapore al posto dei remi e delle vele, sta per sopraffarla; bensí è quella stessa storia narrata sul palcoscenico di un teatrino-bordello cinese, do­ve per sbaglio capita uno studente occidentale che sta cercando una conferenza di Cosmologia e che, pur con disappunto ma attratto (pare) dal fascino di quella performance, si lascia irretire da una graziosa prostituta che, pare, l’accompagni fino alla fine di quella storia; e il bravo vecchio Capitano portoghese (Bud Spencer) si accomiata da noi pubblico.

Il film è stato girato nel Montenegro, sul lago di Scutari e nei Roma studios (ex-Dinocittà). Il racconto della piratessa Ching si riferisce a documenti conservati negli Archivi di Pechino «Memorie concernenti il sud delle montagne Meihling» e all’opera omonima del poeta cinese Yuentsze Yunglun. Ma il film non è tutto in essa.

Vediamone comunque la «trama» che ne dà l’Agenzia di Distribuzione (manca ovviamente il finale per ragioni pubblicitarie; e mancano gli accenni ad alcune sequenze importanti che ricorderemo noi): «A causa di un equivoco, un giovane studente occidentale approda in un teatrino fuori mano [ch’è poi il palcoscenico di un bordello]. Superato il primo momento di stupore il giovane cerca di concentrarsi sull’incanto della rappresentazione... È la storia della celebre Ching, una donna pirata cinese. Suo marito è eletto ammiraglio di una potente flotta, incaricato dal governo imperiale di combattere il flagello della pirateria. Ma dietro il fenomeno si nascondono interessi cosí grandi che, di lí a poco, l’ammiraglio viene assassinato con una pozione di cibo avvelenato. Sconvolta dall’accaduto, la vedova convince i marinai di suo marito a rifiutare ogni altra offerta e a dedicarsi in proprio agli arrembaggi ed ai saccheggi. Dopo i successi iniziali, la flotta dei pirati di Ching viene circondata dalle navi dell’imperatore. La fine sembra vicina: ma i vascelli governativi, anziché sferrare l’attacco decisivo, rimangono nella piú totale immobilità...» Si possono ricordare qui le sequenze relative alla vita personale del grande pirata Makoto, curato appassionatamente dalla moglie; alla corte imperiale e particolarmente al vecchio imperatore informato degli avvenimenti e sempre mostrato di spalle allietato poeticamente nella sua vecchiaia da graziosi uccellini; all’attività piratesca, magnificamente realizzata nel lago di Scutari; e continuare la trama con i vascelli imperiali che lanciano aquiloni con parole di pace; e con l’invitta piratessa Ching, che, dopo aver preparato se stessa e la ciurma a rispondere all’attacco che li porterà alla morte, sostanzialmente gloriosa per aver sempre rispettato le norme della dignità e dell’onore, al volo di quegli aquiloni, decide di chiedere perdono al nuovo imperatore, consegnandogli un qualche simbolo di comando e di proprietà che l’imperatore stesso getterà in mare per segnare una pace duratura.

«Da quel momento, — commenta la voce fuori campo — i fiumi e i quattro mari furono sicure e liete strade; i contadini vendettero le loro spade e comprano buoi per arare i campi, mentre le voci delle donne rallegravano il giorno cantando dietro i paraventi.»

Già con questa trama, ci si domanda anzitutto cosa c’entri con la pace, frutto di perdono, il giovanotto che cerca una lezione di Cosmologia (scienza filosofica del Cosmo) e si lascia irretire dal sesso e che si vedrà due volte di sfuggita guardare la scena. Egli entra nel film in un secondo momento quando il Vecchio Capitano portoghese lo ha già iniziato dalla tolda della nave che sarà quella di Ching, parlando della pirateria; e sul palcoscenico si sarà già visto lo spogliarello della donna.

Ma interrogativo ancor piú grosso nasce alla fine: dov’è questo gran discorso del perdono che genera pace, quando è l’imperatore a offrire pace e la nostra Ching, ormai sconfitta, va a chiedere perdono all’imperatore, vestita di abiti lussuosi e invitanti?

Al festival di Pesaro, Olmi ha dichiarato: «In passato, memore della mia esperienza come impiegato della Montedison, me la prendevo con le grandi aziende. E in un momento di pericolo come questo che faccio? Critico Bush e Berlusconi? Tanto non mi ascoltano. Scelgo invece di raccontare una favola per trovare in essa la speranza utopica della pace, del tutto assente dalla realtà di oggi.»

Lasciamo stare le «grandi aziende»; che gli hanno sempre dato il pane e aperto strade, come può dire chi con lui ha vissuto quegli anni. Ma buttiamo tutto in politica? Lasciamo stare anche questo e prendiamo l’unica parola che vale parlando di un film: la parola «favola». Lasciamo pur stare ancora che sia necessaria una favola per dare speranza di pace.

Ma ci chiediamo dov’è la «favola»? La storia di Ching è una storia vera del secolo XVIII, anche se è un poeta a narrarla; il fatto che sia un palcoscenico a rappresentarla non la riduce a favola; il giovanotto che trova la Cosmologia in un bordello è una fatto di realtà, anche se inventato; né basta che il cinema ne dia un’immagine schermica, pur magnifica e poetica, ma realistica, come quella del palcoscenico. E nemmeno bastano i «(...) paesaggi rapinosi [?!?]. Cambi di tono e di ritmo continui. Dialoghi costellati di trasparenti allusioni al presente (al governo fischieranno le orecchie). Una colonna sonora incalzante e composita (Han Yong, Stravinskij, Berlioz, Ravel, canti popolari cinesi) che ora esalta, ora congela l’emozione» di cui parla Fabio Ferzetti, ne «Il Messaggero», 24.10.03, cui però aggiungo il potente Dies irae gregoriano sinfonizzato, inatteso, che troppo ricorda altri film, p.e. SHINING di Kubrick, ma anche altri recenti.

Ferzetti scrive anche: «Questo non è forse il piú bel film di Olmi, certo è il piú libero e imprevedibile. (…) Noi preferiamo il rigore dell’Olmi storico.» Pur tentato, non mi sento di sottoscrivere. Il film mi sembra ben qualcosa di piú con un qualcosina di meno. Io che gli sono stato vicino nei primi meritati trionfi, vorrei dire che Olmi è un grande poeta della realtà; un grande regista…, che però finora non è stato ancora «grande», perché non s’è mai preoccupato di come strutturare ai livelli medio-alti la composizione, per poter «dire» e non solo stupire con le immagini. (Nazareno Taddei sj)

 


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