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"Caritas in Veritate" di Benedetto XVI. Il convegno di Palermo


di MANFREDI MANCUSO

Lo scorso 27 ottobre si è svolto a Palermo, presso l’Aula Magna della Facoltà di Economia, un incontro di studio per la presentazione dell’enciclica sociale «Caritas In Veritate» di Benedetto XVI.

L’evento – promosso dall’Università di Palermo e dagli Uffici diocesani per l’Educazione, la Scuola cattolica, la Cultura e la Pastorale Sociale – ha visto la partecipazione di alcuni accademici quali Rino La Delfa, preside della Facoltà Teologica “San Giovanni Evangelista” di Sicilia, Leonardo Becchetti, ordinario di economia dell’Università “Tor Vergata” di Roma, Francesco Viola, ordinario di filosofia del diritto presso la facoltà di Giurisprudenza di Palermo e Giuseppe Notarstefano, Ricercatore in statistica economica presso il medesimo ateneo. “Ospiti” particolari anche l’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo e il responsabile siciliano della Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana), l’Imam Ahmad Abd al Majid Francesco Macaluso, venuto in rappresentanza anche dell’ottava edizione della “Giornata del dialogo cristiano-islamico”, manifestazione nazionale svoltasi nello stesso giorno in alcune città italiane e integrata, a Palermo, nello stesso convegno.

Si propone di seguito un riepilogo dell’incontro.

Dopo una succinta presentazione da parte dell’arcivescovo Romeo, che ha sottolineato come l’enciclica non sia un trattato di economia, bensì un punto di riferimento per l’umanità, che faccia da argine agli sconvolgimenti causati dalle crisi economiche e sociali contemporanee e che sappia ispirare un autentico spirito cristiano per reagire all’indifferenza dei modelli economici oggi imperanti, si è dato spazio ai contributi degli studiosi.

Il primo intervento, quello del prof. Rino La Delfa, ha interessato gli aspetti teologici del documento. Secondo La Delfa, i motivi ispiratori dell’enciclica  «Caritas In Veritate» sono stati due principi della «Populorum Progressio», scritta da Paolo VI nel 1967 e ripresi da Benedetto XVI che, non a caso, le dedica il primo capitolo della sua lettera. Due “verità” (come le chiama Ratzinger) che tendono a sottolineare come ogni atto che la Chiesa compie nella prospettiva del dialogo (inteso nell’accezione “dia-logica”, ovvero quella di comunicare il Logos, Gesù Cristo, e la sua parola) riguarda non soltanto il destino ultimo dell’uomo, ma tutte le sue dimensioni, da quella culturale a quella fisica, che costituiscono per l’essere umano il suo autentico cammino esistenziale. Un uomo “integrale”, fatto perciò di spirito e corpo insieme.

Partendo da qui, Ratzinger introduce quindi il suo pensiero proponendo altri tre principi, di personale elaborazione; il primo: la “carità”, intesa come amore perfetto, «dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo», (la vera sostanza dell’amore e della carità non solo deriva ma è, appunto, Dio stesso che dà forza a tutte le relazioni dell’agire umano, dai rapporti amicali a quelli sociali, economici e politici). Il secondo: «la verità […] dà senso e valore alla carità» (le due dimensioni del conoscere umano, la ragione e la fede, sono dunque a pari merito importanti,  poiché la verità è, oltre all’oggetto, anche la via stessa della conoscenza). Infine, il terzo principio riguardante il fatto che la verità che illumina la ragione e la fede può essere sperimentata solo come comunicazione, come comunione. Se la verità ha come finalità quella di “comunicarsi”, essa produce la comunione tra gli uomini: è cioè a partire da un amore illuminato dalla verità (che si comunica) che è possibile creare vera comunione tra gli uomini.

Ed è dando a questi principi una valida elaborazione trattatistica che – per La Delfa – Benedetto XVI introduce quindi il tema centrale e il “pensiero nuovo” dell’enciclica, con cui supera gli originari motivi di partenza. Per fondere insieme i termini “carità” e “verità” e dar loro una collocazione sociale reale infatti, Ratzinger sceglie il concetto di “solidarietà” e con esso quello di “gratuità” (secondo una “logica del dono” di cui si parla nella lettera papale), che è l’unico campo dove si possa dispiegare la carità nella verità.

Non solo. La solidarietà infatti per essere veramente “illuminata” deve poggiare sul principio della relazionalità solidale fra gli uomini, ma questa relazionalità (che nell’enciclica è più volte indicata come rimedio alla profonda “povertà” della solitudine e dell’isolamento) deve essere fondata sulla consapevolezza della dimensione metafisica del rapporto fra gli uomini.  Se infatti, la vera sostanza dell’amore e della carità è Dio e se è Dio che sostiene tutte le relazioni dell’agire umano, Egli diviene anche il fondamento e la condizione necessaria per la realizzazione di una realtà sociale di comunicazione, nella quale la solidarietà costituisca il principio fondamentale della relazione.

Ratzinger pone come chiave per un’approfondita comprensione del problema sociale la ricerca di un fondamento costituito da autentiche relazioni umane. «La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio».  La solidarietà è quindi anche la creazione di un mondo nuovo fondato su una relazionalità autentica che costituisca il tessuto di una trasmissione non tanto di temi da uomini a uomini, ma della verità ovvero dell’amore, illuminato dalla verità.

Nel secondo intervento, Leonardo Becchetti, ha invece svolto alcune considerazioni di carattere economico.

Partendo dalle sue esperienze personali di lavoro nell’ambito del microcredito di solidarietà, Becchetti individua fra le righe dell’enciclica la critica ai tre “grandi mali” del pensiero economico oggi imperante: il riduzionismo antropologico, il riduzionismo delle forme d’impresa e l’inversione della scala dei valori.

Tre forme di “degenerazione” che, nella loro ricerca continua della massimizzazione del profitto e nel loro tentativo di trasformare l’essere umano in “homo economicus” (ossia un tipo di uomo le cui principali caratteristiche siano l’opportunismo economico e la cura esclusiva dei propri interessi), rischiano non solo di trasformare l’economia moderna in una sorta di economia “azteca”, pronta cioè a compiere “sacrifici umani” per il conseguimento degli obiettivi di profitto, ma soprattutto di impiantare un modello economico che, alla lunga, distrugga ricchezza e crei enormi sacche di povertà.

Nella lettera di Ratzinger si evidenzia come la dialettica stato-mercato rischi di erodere la fiducia di cui il mercato ha bisogno per sopravvivere e che era di fatto venuta meno agli inizi della recente crisi economica; fiducia che può essere ristabilita solo dall’ingresso nel mondo del mercato di nuovi “attori” (consumatori responsabili, imprese e aziende che non abbiano come valore primo la creazione di profitto, organizzazioni lavorative che, come le forme di commercio equosolidale, portino avanti il rispetto della dignità del lavoro e della natura umana) che diverranno allora fondamentali anche per l’esempio che sapranno dare.

Si deve insomma passare a un modello di società economica dove, accanto alle imprese “tradizionali”, che mirano al profitto, vi siano anche «imprese che perseguono fini istituzionali diversi», come quelli mutualistici e sociali. Ed è – come cita l’enciclica – soltanto dal loro «reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d'impresa e dunque un'attenzione sensibile alla civilizzazione dell'economia».

Nel terzo intervento – tenuto dal prof. Viola – è stata analizzata l’enciclica da un punto di vista politico.

Viola, partendo da un’affermazione di Paolo VI («la questione sociale e politica è diventata una questione antropologica»), ha ricollegato l’analisi degli aspetti politici del documento a quella degli aspetti antropologici, soprattutto a quelli relazionali, evidenziandone le caratteristiche di “forme costitutive” della persona umana: è possibile uscire dall’individualismo atomistico soltanto se l’essere umano vede in se stesso delle capacità relazionali con gli altri. Queste forme di relazionalità, tuttavia, interessano anche tutte le forme sociali del bene e dell’agire umano: quando l’essere umano è impegnato nei confronti del “bene”, allora tutti i profili della dimensione umana – il già citato “sviluppo integrale” – entrano in gioco.

Rifiutando ogni settorialismo e ogni specializzazione, la politica (intesa secondo i riferimenti classici di una Techné che miri al bene comune) viene quindi considerata come parte integrante nel processo di formazione e sviluppo della persona.

In questo cammino di sviluppo integrale la politica deve però essere coadiuvata dalla carità che aiuta non solo nell’esercizio del bene, ma anche nel suo discernimento, secondo il sunto agostiniano che la carità rafforzi la ragione. La carità quindi come elemento basilare nel processo di umanizzazione dell’uomo che – quasi il Papa promuovesse un nuovo umanesimo – ritorna al centro dell’interesse e che, grazie alla carità, deve sviluppare la consapevolezza di appartenere alla «grande famiglia umana», a una grande comunità “cosmopolita” e globalizzata che non deve soltanto subire, ma governare.

In ultima analisi quindi lo studio politico dell’enciclica si fonda su una relazionalità a tutto campo e sull’interdipendenza tra esseri umani, autorità politiche e  forme dell’agire umano ai fini di uno sviluppo integrale della persona ed è sostenuto dalla convinzione che la carità custodisca queste relazioni e faccia sì che si raggiunga (o si possa almeno aspirare a) uno sviluppo umano integrale.

L’ultimo intervento del convegno, quello dell’Imam Macaluso, si è concentrato infine in  particolar modo sul terzo capitolo della lettera di Benedetto XVI, intitolato «Fraternità e sviluppo economico e società civile», nel quale si intende ribadire la dignità umana nella sua dimensione di fede e conoscenza, permettendo di oltrepassare i limiti di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza.

Macaluso, ricordando come il papa faccia appello non solo ai cristiani ma a «tutti gli uomini di buona volontà» e come  riconosca l’importanza anche delle altre culture e religioni per il processo di sviluppo umano integrale, ha visto nei richiami e negli appelli di Benedetto una forte assonanza con i principi ispiratori della tradizione musulmana e ha illustrato alcune caratteristiche della finanza islamica, da lui ritenuta la prima, in ordine cronologico, ad aver tentato la realizzazione di sinergie tra etica ed economia.

La finanza islamica, condannando il prestito a interesse,  la speculazione e la ricerca del profitto fine a se stesso, pur proibendo di seguire le leggi di mercato sulla libera concorrenza, spinge invece gli imprenditori musulmani e i fedeli a seguire i precetti di mutuo soccorso, collaborazione e giusta retribuzione dei lavoratori.

Al fine di fornire  un inquadramento etico all’economia che rischia di diventare oggi sempre più selvaggia e di far perdere la fiducia dei piccoli e grandi investitori nei confronti delle imprese e degli istituti finanziari (conducendo così a un’aggravante della crisi e a ripercussioni irreversibili), Ahmad Abd al Majid Macaluso ha quindi proposto e illustrato l’introduzione di modelli di finanza islamica sul suolo europeo e mondiale, nel pieno rispetto tuttavia delle diverse culture e dei diversi approcci filosofici, religiosi e scientifici peculiari di ogni popolo. (Manfredi Mancuso)

 


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