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IL RESTO DELLA NOTTE



Regia: Francesco Munzi
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: IL RESTO DELLA NOTTE
Cast: regia, sogg., scenegg.: Francesco Munzi – fotogr.: Vladan Radovic – mus.: Giuliano Taviani – mont.: Massimo Fiocchi – scenogr.: Luca Servino – cost.: Valentina Taviani – effetti: Stefano Camberini, Paolo Verrucci – interp.: Sandra Ceccarelli (Silvana Boarin), Aurélien Recoing (Giovanni Boarin), Stefano Cassetti (Marco Rancalli), Valentina Cervi (Francesca), Laura Vasiliu (Marja), Victor Cosma (Victor), Constantin Lupescu (Jonuz), Teresa Acerbis (Eusebia), Susy Laude (Mara), Veronica Besa (Anna Boarin), Bruno Festo (Luca), Giovanni Morina (Davide), Maurizio Tabani (Vincenzo), Simonetta Benozzo (Operatrice Sert), Nanni Tormen (Mario), Francesca Rizzotti (Maestra), Corrado Vernisi (Carrozziere), Antonio Rosti (Zulata) – colore – durata 100’ – produz.: Donatella Botti Per Bianca Film In Collaborazione Con Rai Cinema – origine: ITALIA, 2008 – distrib.: 01 Distribution (11-06-2008)
Sceneggiatura: Francesco Munzi
Nazione: ITALIA
Anno: 2008

I titoli dei film sono (si fa per dire!) come …i fiori! Alcuni mantengono quello che promettono: le rose, ad esempio, belle e fragranti di profumo e ricche di nettare, che offrono agli insetti pronubi che le visitano. Altri, vedi certe larghe foglie ‘carnivore’, si aprono invitanti ai golosi, sui quali si richiudono comportandosi da parassiti.

E i film? Molti non mantengono le promesse: hanno titoli «acchiappa spettatori»! Altri introducono alla vicenda. Il nostro è uno di questi ultimi.

Le domande, allora, sono: A quale notte si riferisce? E da parte di chi?

Sono due le storie raccontate, che filano parallele fino al momento, (sarà ‘la notte’ anticipata dal titolo?), in cui esse s’incrociano.

LA PRIMA, più che una storia è un drammatico ‘bozzetto’ domestico con al centro una famiglia borghese. I due maturi sposi, Giovanni con Silvana, hanno smarrito da tempo la strada del dialogo, tanto più che il marito coltiva un’amicizia che lo rende anche buffo e grottesco nella rincorsa d’una giovinetta, che potrebbe essere quasi sua nipotina!, la quale dimostra maggiore buon senso di lui quando lo abbandona malgrado promesse e preziosi regali. La moglie dimostra una certa responsabilità verso la figlia quindicenne Anna, anche se poi le permette di passare le vacanze lontano da casa insieme all’amichetto diciottenne che, [tornati i piccioncini in gabbia, cioè in casa di lei («la camera degli ospiti è pronta», dirà la madre al giovane fidanzato!)], vedremo beatamente fra le braccia dell’amica sul medesimo letto. C’è anche Maria: è la servetta romena, gentile e obbediente, che un brutto giorno commette un errore fatale, che sconta con il licenziamento in tronco: si mette in tasca due orecchini d’oro con perle, lasciati sul comodino dalla signora. Sarà la giovane ladra, come vedremo in seguito, a fare da cerniera d’incontro tra le due storie, la seconda delle quali riguarda un gruppetto di persone della sua stessa estrazione sociale, alle quali Maria si rivolge chiedendo ospitalità per qualche notte. E la ottiene, malgrado il disappunto d’un giovincello imberbe, fratello di IANUT, l’ex fidanzato che, dopo averla allontanata perché fedifraga, ora la riaccetta e riprende con lei la precedente relazione amorosa. Victor, l’acerbo adolescente, timido e introverso ma arrogante ed esigente al momento…inopportuno!

(Mi chiedo il motivo dell’insistenza del regista nel riprendere questo personaggio, che sembra insignificante. Eppure è sempre mostrato in primo piano, nei dettagli e particolari del volto corrucciato e insoddisfatto, che nasconde tra le pieghe del fresco viso giovanile turbamenti evidenti! Sarà, per caso, il protagonista del film? Non è possibile: è finora personaggio molto secondario e di contorno agli adulti!) L’amico italiano, Marco, è adulto maturo, ha un dolce figlio di otto anni, innocente e soddisfatto quando può sbocconcellare dolci ma al tempo stesso anch’egli sospettoso e turbato dagli sguardi ‘strani’ di papà, che lo porta spesso con sé fuori casa, al bar, provocando i rimbrotti e le disapprovazioni della moglie, alla quale il figlio è stato affidato. Marco ha una faccia cattiva, due occhi torvi, spesso va soggetto a tremolii ed incertezze ambulatorie. Eppure è ancora giovane! Ecco il motivo: tossicomane com’è, è talmente dipendente dalla droga che non può più farne a meno. Ma la droga costa parecchio! I soldi li trova dove ci sono. Furti eseguiti da solo e con amici complici gli permettono di sopravvivere, per adesso. Ma come andrà a finire la sua storia? Anzi le due storie?   

Il regista ha insistito nel mostraci il giovane Victor nel suo avido attaccamento ai soldi. Egli, ad esempio, quando Maria si era presentata ad elemosinare ospitalità in casa sua, l’avrebbe cacciata fuori dopo la prima notte perché non poteva pagare. Si adatta ad accettarla soltanto dopo che ella, offesa dalla sua insistenza nella richiesta di soldi che non possiede, gli getta davanti due orecchini d’oro con perle preziose. Ecco: ora è soddisfatto. Ma da dove vengono quelle gioie? Adesso è Ianut interessato alla risposta di Maria: «Li ho presi dove lavoravo». La rivelazione scatena la sua fantasia. In quella casa, chissà quanta ricchezza ci sarà! Bisogna fare il colpo! Non da solo, naturalmente, con gli amici, soprattutto con Marco, il più esperto in imprese del genere. E di notte, soprattutto! Bisognerebbe sapere quando i padroni di casa sono assenti.

È il momento in cui le due storie s’intrecciano. La figlia dei padroni è tornata dalle vacanze, «la camera degli ospiti è pronta!», i signori quella sera vanno a teatro, dove un celebre tenore interpreta un lied di Schubert. Meglio di così, il caso e la fortuna non avrebbero potuto combinare la cosa. Siamo pronti: «Andiamo! Tu, Victor, fa’ da palo al cancello d’ingresso». La notte è buia. Proprio quella che ci vuole! Il diciottenne amico di Anna si alza dal letto comune, resta in dubbiosa attesa di qualcuno che fa rumore al piano inferiore. Victor in preda ad una forte ansia avvisa con il telefonino gli amici che sta arrivando una macchina. Durante il concerto infatti, noi avevamo visto la signora Silvana uscire dal palco del teatro, preoccupata: «Ho paura!». Vuole tornare a casa!

Per alcuni interminabili minuti il regista inquadra il volto tremante e ansioso di Victor, che assiste da lontano in preda all’ansia alle scene di violenza che a noi sono negate. Si odono diversi spari di pistola (ora ricordo che un rivenditore illegale aveva offerto a poco prezzo quella pistola a Ianut, che aveva risposto «ci ripenserò!», perché al momento non aveva i soldi per comprarla. Poi avevamo visto i frutti dei successivi furti: orologi, collane e gioielli (un ciondolo prezioso era stato regalato dal complice Marco al suo bambino!) e abbiamo capito tutto! Non assistiamo a scene di sparatorie, ne udiamo però i colpi. Vediamo gli addetti alla polizia scientifica fotografare, raccogliere indizi, documentare per terra le vittime dell’eccidio: il diciottenne incauto, Ianut, il signor Giovanni. Anna, gravemente ferita, viene trasportata all’ospedale, mentre sua madre rivolge un’ultima occhiata abbastanza indifferente al marito che giace a terra crivellato di colpi.   Victor s’è mantenuto lontano dal campo della battaglia urbana e si salva. Anche Marco si salva e con grande fatica sale in macchina allontanandosi velocemente con il giovane, che gli regge una nera borsa pesante (la vedremo fra poco zeppa di gioielli!) Quando arrivano sotto un ponte in demolizione, Marco si sdraia a terra, dalla quale, dissanguato dal colpo di pistola che l’aveva raggiunto, non si rialza più. Il giovane superstite, dopo uno sguardo perplesso al morto, si allontana tenendo ben stretta tra le braccia la pesante borsa, avviandosi verso casa. Maria gli chiede notizie del suo Ianut. Egli non risponde. Caccia via Maria, che non deve toccare la nera borsa della refurtiva. «Devo dormire!» e si sdraia sul letto. Maria gli s’avvicina e gli posa maternamente una mano sulla spalla, ricambiata dal giovane che accetta il gesto affettuoso. Il giorno dopo di buona ora escono di casa carichi dei loro stracci e della nera borsa piena; dopo un ultimo sguardo malinconico al povero rifugio si avviano decisamente insieme lungo la strada, scantonando a sinistra al primo incrocio, mentre la vita ‘normale’ attorno a loro (il traffico!), continua la sua corsa, rimanendo indifferente al destino di quei due poveri cristi in fuga. FINE.

 

Ho cercato di riferire non soltanto la vicenda del film, ma anche il racconto sottolineandone i contorni due. Le situazioni si equivalgono, pur considerandole distinte ai fini della lettura strutturale.

Abbiamo assistito, dunque, alla rappresentazione di due storie, raccontate con apparente obiettività quasi documentaristica, nelle quali il regista sembra che sia rimasto assente e addirittura indifferente. Ma soltanto ‘sembra’, perché in realtà la sua l’ha detta sui fatti da lui illustrati! Non ha pronunciato giudizi sui personaggi e sulle rispettive scelte di vita. Nessuna polemica sulla famiglia borghese circa comportamenti di dubbio buon gusto e criticabile irresponsabilità educativa verso la figlia, oltre che nelle relazione di coppia. Sono ‘così’, dice l’autore del film, nient’altro. Anche verso la storia interpretata dal gruppo dei ladri, nessun giudizio. Anch’essi ‘sono così’, nient’altro. Approva, disapprova, condanna, assolve, giustifica i furti a causa del bisogno di gente senza patria e senza futuro? Nulla di nulla! E allora che cosa dobbiamo pensare del film? Come dobbiamo giudicarlo?

Adagio con i giudizi! Vediamo anzitutto COME il regista racconta le due storie e soprattutto la seconda, che certamente ci ha impressionato più della prima. Non ha presentato le azioni degli extracomunitari né esecrandole come imprese ladresche, né esaltandole come prodezze di morti di fame, costretti al furto dal bisogno. Dice, questo sì!, che quei romeni si comportano così come li abbiamo visti! (Ma noi non abbiamo visti ‘romeni’ ma romeni ‘secondo il regista’!) Ora ricordiamo anche la prima inquadratura del film: quattro ragazzini ‘rom’ assediano e ‘frugano’ una ricca signora che passa per la strada, (è Silvana, la madre di Anna), che al marito confiderà l’interpretazione di quanto le è successo: «Mi hanno aggredita!».

Gli immigrati, quindi, intendo quelli del film!, che vivono giorno per giorno di rara carità e di frequente rapina, sono tra di noi e in mezzo a noi per aggredirci, per derubarci, per rappresentare pericoli alle nostre sostanze e addirittura alla nostra vita?

Sembra essere la conclusione logica che esce dal film, ma forse non lo è! La tristezza e la pietas, che è qualche cosa di più e di meglio della semplice pietà umana, che il regista usa costantemente nell’inquadrare e riprendere i volti di tutti i personaggi, anche quello del ‘cattivo’ e brutto italiano Marco (bravissimo nel difficile ruolo!) la dice lunga (ecco il valore e la portata dei contorni due del film!) sul suo sentimento di compassione verso persone che si comportano in quel modo cercando di sopravvivere in una società che mantiene ben distinti i ricchi fortunati dai miserabili senza tetto e senza legge. La sua non è giustificazione; costatazione, semmai, di come oggi va il mondo, nel film a Torino, ma (ed è qui la possibile errata generalizzazione dello spettatore frettoloso!) un po’ dappertutto nei ‘nostri paesi civili’! 

 

Recitazione ed interpretazione, riferiti ai personaggi del film, sono termini impropri per dichiarare la loro presenza sullo schermo. Eccetto in pochi momenti ‘calcati’, essi sono talmente verisimili da apparire ‘veri’. Soltanto tre, convincenti del resto, sembrano essersi calati in ruoli ‘accademici’: gli interpreti della coppia borghese e quello di Maria. Anch’essi il regista (mi si perdoni questa specie d’anacoluto!) è stato in grado di presentare ‘così come sono’, cioè come egli pensa che siano e come ha voluto che essi fossero sul set. Il gioco di parole è voluto: nel film tutto è ‘vero’ perché lo vedo e lo sento, ma tutto è ‘fiction’, falso, o meglio ‘segno’ non di realtà esterne ma della volontà del regista, autore del segno. Il nostro film ha l’andamento d’un documentario, almeno fino ad un certo punto, pur raccontando storie scritte a tavolino.

 

L’autore non ha inteso fare spettacolo; se avesse voluto, le occasioni non gli sarebbero mancate. Pensiamo alla sparatoria: nulla, soltanto le sue conseguenze funebri! C’è un’inquadratura nel film, che il regista avrebbe opportunamente potuta eliminare come superflua nel montaggio, nella quale Maria e Ianut si fanno compagnia a letto per farci comprendere quanto avevamo già capito. Per il resto nessuna esagerazione, nessuna ricerca di meravigliare e sorprendere gli spettatori. Tutto apparentemente normale, almeno come può sembrare normale quanto succede nei film.

Voglio esprimere il mio parere sul lavoro del regista con tre parole: Un bel film. Perché? Primo, perché il regista, secondo me, ha espresso efficacemente il suo pensiero con le immagini del film; secondo, perché queste ultime sono credibili sotto il profilo della corrispondenza a fatti da lui ritenuti verisimili; terzo, non mi sembra che l’autore intenda coinvolgere la totalità degli immigrati in Italia nelle vicende del suo film. Egli presenta in quel modo i personaggi, che però sono ben qualificati e non si prestano con i loro contorni due ad essere elevati a livello di categoria, cioè come rappresentanti di tutti gli appartenenti alla loro estrazione sociale. Hanno tutti un nome ed esperienze di vita, normale per loro (?): non possono essere simboli di tutti coloro che provengono da un passato doloroso in patria e si avviano fortunosamente verso un futuro incerto e pericoloso in paese straniero. La psicologia di tutti, anche dei personaggi secondari di contorno, è bene individuata e, direi, personalizzata. Non sono ‘simboli’, ripeto!, sono personaggi.

Un ultimo pregio del film: le rare parole degli immigrati (scambiate tra di loro nella lingua d’origine e tradotte in italiano da chiare didascalie sullo schermo) sostituiscono ipotetici superflui dialoghi; gli stati d’animo e le motivazioni della condotta sono chiaramente leggibili nelle espressive reazioni dei volti, che rimangono sempre nei limiti controllati di personaggi ‘verisimili’ e perciò credibili.

Il film di Munzi, che in certi passaggi sembra rifarsi a moduli neorealistici e che, ciò nonostante o proprio anche per tale motivo!, potrebbe per alcuni aspetti essere catalogato tra i film ‘poveri’, a me sembra, lo ripeto con convinzione a costo di ‘scandalizzare’ qualche critico esigente, un buon ‘film/commedia drammatica’.

 

In vista della formazione dei giovani spettatori, è bene far loro osservare che il regista non pronuncia giudizi sui personaggi. Coloro che hanno visto il film conviene che si guardino da pregiudizi personali e da generalizzazioni ingiuste diffuse dalla mentalità comune, non sempre (anzi, ‘quasi mai’!) esente da xenofobia e da sospetto razzismo, al di là di innegabili fatti ed esperienze negative.

Lo spettatore non dovrà cadere nell’errore di ritenere oggettiva la presentazione della famiglia borghese, che il film ambienta a Torino e che certamente non è simbolo di tutte le famiglie nordoccidentali italiane. Altro errore dal quale guardarsi di cadere: gli immigrati stranieri non sono tutti COME quelli del film. Esso, (non si ripeterà mai abbastanza!) è sempre soltanto SEGNO del pensiero del suo autore.   

 

È LA STORIA D’UN GRUPPO DI IMMIGRATI ROMENI A TORINO ED IN PARTICOLARE DEL GIOVANISSIMO VICTOR, introverso ed egoista, (fratello di Ianut ex carcerato),

IL QUALE,

dopo aver preso parte come complice del fratello e d’un degno suo collega di malefatte ad un furto nella villa d’una famiglia borghese, dopo aver accettato la compagnia di Maria, (che inizialmente voleva cacciare di casa perché incapace di pagare l’ospitalità ma cambiando parere dopo il suo gesto materno nei suoi riguardi), ex serva dei signori derubati e da loro licenziata perché s’era impossessata d’un gioiello della padrona di casa, con lei, (dopo aver abbandonato le vittime della sparatoria sviluppatasi tra i padroni della villa ed i ladri: suo fratello ed il complice, il padrone di casa ed il fidanzato della figlia), FUGGE avviandosi con lei, incontro al destino portando con sé il frutto del furto realizzato.(Adelio Cola)

 


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