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IL CASO 11 SETTEMBRE - Orientarsi tra terrorismo e massmedia


di LUIGI ZAFFAGNINI
IL CASO 11 SETTEMBRE

Orientarsi tra terrorismo e massmedia

 

Tutti ricordano certo cosa è accaduto l’11 settembre 2001, ma non tutti sono al corrente del fatto che, su Internet e soprattutto sulla televisione italiana, si è sviluppata una incredibile controversia tra giornalisti sulle cause dell’attentato. Si è cioè avanzata la ipotesi che la versione ufficiale fondata sulle conclusioni di una commissione di inchiesta non fosse veritiera, ma che nascondesse addirittura un auto-complotto, ideato ad alto livello. I sostenitori della tesi complottista, per giungere alle loro conclusioni, si sono fatti forti di una analisi dei filmati girati in diretta il giorno dell’attentato, ai quali hanno aggiunto altri spezzoni di interviste varie, fino a montare almeno tre veri e propri film per sostenere la propria tesi.

La questione è una di quelle che, per la mole e la difficoltà, spaventerebbero una intera équipe di ricercatori che vi si dedicasse a tempo pieno per molto tempo. Per fare un lavoro ben fatto e indagare i diversi livelli di essa, occorrerebbe mettere insieme quasi una piccola enciclopedia. Cerchiamo però, tramite la metodologia della lettura strutturale, di vederci chiaro e di capire fino a che punto essa può aiutare un comune spettatore a orientarsi nella ridda delle ipotesi.

Certo la materia è di una complessità tale che bisognerebbe conoscere e trattare non solo di ingegneria e di fisica, ma anche di organizzazione del sistema comunicativo, difensivo e di gestione di tutti gli organismi politici, amministrativi e di sicurezza di uno stato che da almeno settantacinque anni si è posto, e si pone, anche tecnologicamente a livelli di co-protagonismo mondiale con pochi altri concorrenti.

Tale sistema, nonostante quanto fanno vedere certi film o dicano i più scaltri giornalisti è, comunque, nel suo nocciolo più intimo e nella sua rete più sofisticata al di fuori della portata della immaginazione tanto del semplice cittadino quanto del giornalista più agguerrito. Perfino i fatti che condussero al famoso caso Watergate, portato ad esempio di trasparenza della stampa impegnata, non si sarebbero potuti conoscere, se quell’apparato e quella rete di cui sopra non avessero previsto che, in certe circostanze, poteva essere conveniente per il sistema-paese anche farli conoscere.

Ma, detto questo, è lecito chiedersi se possa essere ammissibile che corrisponda a verità ciò che ha portato all’attentato multiplo dell’11 settembre, secondo la ricostruzione fatta dalla cosiddetta controinformazione attraverso diversi canali mediatici, che vanno dalla stampa, al filmato, a Internet. Tale ricostruzione si oppone all’altra (quella ufficiale) perchè, a detta di coloro che la hanno avanzata, quest’ultima presenta“oggettivamente diversi aspetti…ormai difficilmente sostenibili”.

A questo punto sarebbe interessante sapere quale è il percorso che conduce gli autori delle tesi contro a scegliere il termine “oggettivamente”, perché se la oggettività si basasu ciò che i media hanno detto e fatto vedere, non si può parlare di oggettività dei fatti partendo dalle immagini di essi. C’è, cioè, una certa disparità di livelli nell’indagine su questa materia sulla quale pare non esserci chiarezza. Una cosa è occuparsi dei filmati in sé e un’altra occuparsi dell’uso dei filmati e della legittimità di far dire ad essi altre cose che non possono dire; altra cosa ancora è sottoporre a indagine critica qualsiasi fenomeno.

Per sgombrare il campo da possibili equivoci e da inaccettabili speculazioni, si deve cominciare dall’atteggiamento etico della ricerca e da alcuni criteri non mercanteggiabili. E’ legittimo, anzi è doveroso, sottoporre i fenomeni a una ricerca del perché, e questo è, oltre tutto, un atteggiamento scientifico, ma questo lavoro va fatto nei confronti della realtà. E va fatto, purché, tutte le volte, non si pretenda di rimettere in discussione tutto per riscoprire da capo il percorso che ha portato alla scoperta dell’acqua calda. Un simile atteggiamento sarebbe la negazione di qualsiasi processo migliorativo della civiltà, che resterebbe ferma al palo. Non è legittimo, in senso morale, attribuire un significato inesistente o improprio alle cose che ne hanno uno per conto loro e che è individuabile attraverso l’attenta lettura di ciò che permettono di far conoscere di sé (gli aspetti materiali e sensibili nonché la loro natura). E questo è vero tanto per la realtà dei fenomeni quanto per la realtà dei segni (parole o immagini) che tali fenomeni indicano o fanno vedere. E’, infine, legittimo e doveroso leggere accuratamente il modo con il quale i segni ci indicano o ci mostrano le cose; pertanto ci si deve mettere in condizione di possedere gli strumenti adatti per fare questa operazione.       

Per quanto ci riguarda, crediamo, allora, sia utile procedere all’interno del complesso materiale in circolazione analizzando gli estremi scientifico-culturali della questione e due filmati: quello ufficiale (mandato in onda a suo tempo dalla CNN) e quello che fu presentato in parte a Matrix nelle varie occasioni e da ultimo l’11 settembre 2007.

Infatti si è cominciato con un libro di un giornalista francese, si è continuato con un filmato di tre ragazzi americani (Loose change), finito su Internet, e ancora con altri due filmati (sempre su Internet) e due libri dal titolo, rispettivamente, de L’inganno globale e la Verità di cristallo.

Intorno a queste versioni, che usano a scopo dimostrativo della propria tesi, parti dei filmati originari (dell’11 settembre), integrandoli con altri spezzoni, si sono creati un interesse di stampo giornalistico e anche qualche ipotesi da parte di figure della vita universitaria periferica americana. Sempre, però, in termini volti ad accreditare l’auto-complotto sulla base dei filmati, corredati da spezzoni di interviste. Si è composto, così, un mosaico il più possibile uniforme che, all’apparenza, non dà l’idea di un insieme di ipotetiche congetture, bensì di verosimiglianza di certezze e che induce lo spettatore o il lettore al sistematico sospetto che la versione ufficiale menta o sia insufficiente a spiegare. Tuttavia, anche logicamente, non basta affermare a parole che “quella immagine” ha un significato diverso da quello dato ufficialmente, perché ciò possa fornire una prova inconfutabile, come se fosse stata raccolta nella realtà sul terreno. E questo, soprattutto se non si è fondatamente esperti di quella disciplina che riguarda la natura del fenomeno di cui ci si occupa in quel momento. Insomma, non si va tanto lontano dal vero, se si dice che gli autori di queste “versioni contro hanno dissimulato, dietro il paravento della informazione alternativa, un eccesso di autostima in fatto di competenze scientifiche, anche in campi diversi da quello inerente la loro professione.   

Stiamo perciò ai fatti. L’evento è il crollo delle Torri gemelle e questa è la realtà incontestabile. Quel crollo è stato filmato e quel/quei filmato/i sono stati riproposti in diverse occasioni attraverso la TV. Diversamente, del Pentagono non c’è un filmato contemporaneo all’impatto, ma solo immagini (poche) posteriori e presentate solo nel primo immediato dopo-evento. Ugualmente del quarto aereo in questione, precipitato nei pressi di Pittsburg.

Riteniamo che l’importante sia fare una lettura, almeno nelle linee essenziali, dei due tipi di filmato, perché su di essi si può esprimere la competenza scientifica in termini linguistico-semiologici (cioè di struttura e di significato del messaggio).

Quindi la nostra indagine riguarda i filmati e non gli eventi e, tanto meno, la dietrologia, perché possiamo arrivare a stabilire, con certezza, cosa ha pensato chi ha fatto quei filmati, ma non possiamo arrivare a stabilire cosa, nella realtà, è accaduto prima dei filmati. Così come non possiamo stabilire nei dettagli gli eventi accaduti questa mattina là dove non eravamo presenti, ma circa i quali abbiamo appreso notizie dai media. E questo vale tanto per l’evento reale “11 settembre” quanto per tutte le situazioni reali che hanno indotto, a distanza dall’11 settembre, gli autori a montare materiale filmato e produrre libri, che hanno per oggetto l’11 settembre.

In tal senso, possiamo stabilire dove e perché possono mentire i filmati e dove e fino a che limite possono essere in grado di informare, senza indurre lo spettatore a integrare psicologicamente o emotivamente le cose e le azioni rappresentate.

A proposito, dunque, dei filmati, bisogna registrare tra i due una prima analogia e una prima differenza. Analogia, perché entrambe le versioni (ufficiale e contro) non sono la realtà, ma l’immagine della realtà. E noi spettatori, che non eravamo presenti al fatto, lo veniamo a conoscere indirettamente e subordinatamente al modo nel quale le due versioni ce lo presentano e quindi all’idea di chi le ha realizzate. Differenza, perché l’idea che sta alla base della versione ufficiale è documentaria; l’idea, invece, che sta alla base della versione contro è di tipo tematico, o meglio pseudo-tematico, a tesi.

Questo cosa vuol dire? Vuol dire che, nel primo caso, la macchina da presa e il montaggio erano in funzione di far vedere cosa succedeva, se pur subordinatamente all’angolazione e al posizionamento di chi riprendeva e a un certo taglio effettistico, che, però, era già presente nelle cose in sé, più che nella scelta dell’operatore. Infatti, un aereo che colpisce un grattacielo è cosa non frequente. Chi ha girato e montato i materiali per la cronaca di attualità non si è posto, contemporaneamente, anche l’obiettivo di dimostrare con le immagini una qualche causa del crollo diversa da quella immediatamente intuibile come conseguenza dell’urto. Si è proposto solo l’obiettivo di registrare vari aspetti di un evento eccezionale. 

Nel secondo caso, invece, si è formulata una tesi e, a discreta distanza temporale dall’evento (nel 2005 - 2007), si sono messi insieme i materiali per dimostrare tale tesi, utilizzando tutte le possibilità espressive che i vari media offrono al fine di raggiungere una narrazione plausibile e una teoria verosimile. Per un verso parrebbe di trovarsi di fronte a una vera inchiesta sui generis, ma, per un altro, più semplicemente, si tratta del classico metodo che normalmente si definisce “procedere per teoremi”, come se chi ha fatto il lavoro avesse ragionato obbedendo a questo obiettivo: “Voglio convincere che quanto è accaduto l’11 settembre dipende da cause materiali e da presupposti che non sono quelli indicati nella versione ufficiale”. Insomma la materia da cui sono partiti gli autori è diversa: uno ha avuto per oggetto il fatto, l’altro ha avuto per oggetto il film del fatto e lo ha utilizzato, sezionandolo e affiancandolo ad altri spezzoni fino a farlo diventare, non tanto un oggetto di studio, ma uno degli strumenti per sostenere la propria opinione sulle cause del fatto, concepita indipendentemente dal film.

A questo punto, con una notevole mole di lavoro, che deve aver coinvolto molte più persone dei singoli autori, e con un impegno economico che non può essersi limitato ai 6.000 dollari dei tre ragazzi di Loose Change, si è arrivati a presentare materiale diverso (Filmati, Siti internet, Libri), che ha avuto una certa eco su Internet e in Italia, ma che non pare sia stato preso, nemmeno dalla tradizionale stampa investigativa degli USA e degli altri paesi, in tale alta considerazione quanto lo è stato in Italia e su Internet.

Va inoltre notato che, al momento attuale, non si è ritenuto (almeno a quanto ne sappiamo) di mettere in piedi un parallelo lavoro sistematico e organico di confutazione della versione contro e che tutti i confronti tra le due versioni sono avvenuti a più riprese, nei Talk show del tipo Matrix. Solo nello Speciale Matrix dell’11 settembre 2007 c’è stato un allestimento redazionale di un breve filmato a sostegno di una parte della versione ufficiale. Per il resto, a far testo ufficialmente, è la relazione della Commissione d’Inchiesta americana, che, per altro, in Italia non è conosciuta da tutti analiticamente e integralmente. La “difesa”, per così dire, della versione ufficiale è stata affidata sempre a interventi verbali di giornalisti, come pure giornalisti, nel dibattito a Matrix, erano i più accaniti sostenitori del complotto.

Come è facile intuire, il peso, nei confronti del pubblico, di un preponderante discorso a parole è nettamente sproporzionato rispetto a quello di chi può portare filmati ad hoc con animazioni fatte in studio, spezzoni di interviste e un collage di aspetti che paiono concordare tutti verso una medesima direzione ecc. Insomma materiali organizzati e allestiti con tutto il tempo necessario per ipotizzare, riflettere e correggere il tiro. Tutti aspetti che non sono presenti nei servizi televisivi o giornalistici realizzati al momento dell’evento o immediatamente dopo.

Ma, tornando al corretto procedere del ragionamento di indagine, si deve dire che, anche quando si usa materiale di repertorio (cioè nato per altri scopi), non è difficile utilizzarlo in modo e in funzione diversa da quella per il quale è nato. Ugualmente, delle interviste e delle osservazioni dei tecnici ed esperti non è difficile selezionare, estrapolare, anteporre, posporre, de-contestualizzare ecc. affermazioni e indicazioni in modo da fare apparire allo spettatore un filo conduttore congruente, anche se certe affermazioni sono state fatte in altro contesto o come risposta a domande che non si riferivano all’argomento preciso in questione.

Chi lavora nei media sa benissimo come si fanno tutte queste operazioni e non ha bisogno di inventare prove analiticamente false in sé, gli basta mettere insieme in un certo modo asserzioni vere o parzialmente vere, per far scaturire una osservazione complessivamente falsa, senza che lo spettatore o il lettore se ne accorga, perché crede che “vero + vero sia sempre = vero”. Nel linguaggio dei media e dei libri di autori italiani cosiddetti “di inchiesta o di denuncia”, ciò dipende dal modo in cui la struttura del messaggio si presenta. Si tratta di un artificio già conosciuto nella ars rethorica del mondo classico; si tratta della cosiddetta bugia semiologica, che Taddei spiegava semplicemente come: “Dire cose false con cose vere”.

Accorgersi di tutto ciò non è facile, perché occorrono studio, esercizio, pazienza e, soprattutto, non arrivare in fretta a delle conclusioni che fanno scambiare il verosimile con il vero. In una parola occorre separare il momento della lettura (ricerca del significato) da quello della valutazione (è corretto, non è corretto sotto questo profilo o sotto quell’altro) e ancor di più da quello della condivisione (sono d’accordo con questo e non con quell’altro).

Restando, dunque, ai due messaggi e al loro significato, bisogna essere molto precisi. Se, per il filmato ufficiale, si può dire che l’immagine di un grattacielo che crolla non è un grattacielo che crolla nella realtà, perché, se fossimo stati presenti, avremmo visto e udito in altro modo, per lo stesso motivo (cioè, per il fatto che l’immagine non è la realtà), si deve dire che anche il filmato contro non è prova, circa la realtà oggettiva, di nessuna causa, qualunque essa sia stata. Il fatto di far vedere, nella realtà virtuale, attraverso la combinazione delle immagini, che le cause del crollo di un grattacielo sono quelle che l’autore suggerisce e non quelle ufficialmente ritenute è ancora una volta la sottolineatura della distanza che c’è tra un fatto e la rappresentazione di quel fatto. Il filmato nel suo insieme, infatti, è solo: a) rappresentazione di grattacieli che crollano e sono crollati, di schemi e di spezzoni di interviste; b) espressione della idea del suo autore di attribuire quel crollo a determinate cause. Tale attribuzione è, dunque, una interpretazione dell’autore, della quale, per altro, non offre riferimento a fonti precise per nessuno dei dati che vengono esposti. In questo modo toccherebbe allo spettatore controllare la esattezza e la scientificità dei dati raccontati dalla voce fuori campo, il che è, quanto meno, poco professionale per chi ha mire così elevate come quelle di voler svelare una verità segreta. Il discorso si sposterebbe quindi dal film alla natura causale dell’evento e, per potere affermare che, nella realtà (non nel film) le cose sono andate così e non cosà, occorrono elementi reali inconfutabili e fondati dati controllabili, verificabili, sperimentabili ripetutamente e avallabili da autorevoli e indiscutibili figure di esperti, che, in questi casi, dovrebbero appartenere a un entourage scientifico quanto meno planetario.  

Qui si ferma il lavoro scientifico, perché, se andassimo al di là, sconfineremmo nell’opinionismo personale e le conclusioni diventerebbero un atto di fede ingiustificato nei confronti di una qualsiasi versione su cui è sempre legittimo avere ragionevoli cautele, purché non siano grossolani dubbi. E se si devono fare atti di fede è preferibile riservarli a ben altra natura di problemi che non sono quelli degli eventi prodotti dagli uomini.

Tuttavia, perché non si pensi che un tale modo di procedere ragionatamente apre allo scetticismo o al relativismo nella conoscenza delle vicende umane e quindi anche della storia, bisogna aggiungere alcune considerazioni che, a partire dallo zoccolo duro di metodo appena stabilito, potrebbero guidare, se corredate dagli opportuni studi e documenti, a conclusioni ancor più rocciose.

Esponiamo sinteticamente solo le più intuitive, come spunti suscettibili del doveroso approfondimento per chi fosse interessato a indagini di questo tipo e volesse spingersi fino alla eliminazione di ogni dubbio.

 

1. Il fatto che siano quantitativamente più numerose le immagini delle Twin Towers che non quelle del Pentagono o dell’ultimo aereo va messo in relazione con tre fattori: la natura spettacolare dell’impatto e del crollo delle Torri rispetto agli altri due, i motivi di sicurezza riguardanti il Pentagono e la caduta del quarto aereo, i motivi di immagine interna e internazionale, compreso il comprensibile desiderio di limitare i danni di vulnerabilità a fronte della esplosione di gioia nel mondo arabo e, a quanto mi consta, anche a casa nostra in Italia.

2. Non consta, invece, che siano state fatte o divulgate approfondite indagini su relazioni, conoscenze, appartenenze, interessi a livelli interni e internazionali di colui che propone la versione contro. Altrettanto non è dato conoscere la consistenza numerica e il ruolo di competenza di quanti avrebbero contribuito a tessere la rete di un lavoro che, riguardando ambiti territoriali amplissimi (mondiali, addirittura) e il vaglio di sterminati dettagli e reperti, richiederebbe équipe di risorse umane e finanziarie cospicue. Per essere condotto in porto come ricerca inoppugnabile sotto il profilo documentale e non come meteora scandalistica di grande effetto, un lavoro con tali propositi dimostrativi richiederebbe attrezzature, laboratori, collaborazioni universitarie, esperimenti, consultazioni di archivi, senza contare la possibilità di mettere mano al complesso delle disposizioni in materia di sicurezza e di segretezza. L’autore, a fronte di tutto quanto ipotizzabile nel lavoro di indagine, si limita a dire: “Si ringraziano tutti gli altri amici di luogocomune.net che hanno contribuito in mille modi diversi alla realizzazione di questo lavoro”.

3. Ugualmente non è dato sapere il livello di competenza scientifica al quale va considerato il film poiché l’autore si limita a definirlo “scritto e realizzato” da lui medesimo e le persone citate in coda come collaboratrici hanno una funzione puramente tecnica e redazionale. Non appare nessuna consulenza scientifica in qualsivoglia disciplina, se si eccettua una non meglio precisata Ricerca storica, che, comunque, non è assimilabile alla ricerca scientifica   storiografica. Poiché, inoltre, non constano ruoli di competenza in ambiti di ricerca scientifica da parte dell’autore, si può ben comprendere che, se tutto l’establishment degli scienziati americani che contano e quello della stampa americana, compresa quella di inchiesta, non hanno ritenuto di prendere in considerazione approfonditamente questo filmato, ciò significa che esso, proprio sotto il profilo scientifico e tecnologico, non presenta aspetti veramente interessanti in quelle discipline, nelle quali gli americani non sono assolutamente degli sprovveduti.

4. Non si conosce neppure una stima di quanto sia venuto a costare questo lavoro di versione-contro, certo non dilettantesco dal punto di vista della abilità comunicativa, e neppure quali siano le fonti di finanziamento di una operazione durata assai nel tempo e che si occupa di una analisi dei massimi sistemi di organizzazione della vita di un paese. Delle due l’una: o si tratta di un lavoro “in economia”, e, allora, l’ambizione dell’obiettivo è sproporzionata ai mezzi editoriali (Internet e libro); oppure, invece, si tratta di un lavoro di grande sforzo e investimento e, allora, non si comprende perché non sfruttarlo in termini economici, divulgandolo in modo più ampio e attraverso canali più convincenti anche dal punto di vista editoriale.  

5. Il fatto che il filmato in questione sia presentato su Internet lascia propendere per un relativamente basso investimento e per un eventuale ritorno economico attraverso altre forme che non sono quelle dei diritti sul filmato stesso, visto che il suo autore si preoccupa di citare le leggi per cui “Tutti i materiali coperti da diritti sono utilizzati sotto la protezione "Fair Use" - U.S. Copyright Code Section 107/122, applicabile a notizie di portata eccezionale che non siano state coperte a sufficienza dai media tradizionali.” E di precisare che “Il film è distribuito secondo i principi del Creative Commons, clausola NC Non Commercial), che ne autorizza la libera duplicazione e diffusione a scopo informativo, ma non di lucro”. La formula invocata di “notizie di portata eccezionale che non siano state coperte a sufficienza dai media tradizionali” è rivelatrice del livello al quale l’autore stesso pone la sua opera. E’ difficile pensare che le notizie relative all’11 settembre siano state insufficientemente coperte dai media tradizionali.

6. Allo stato attuale della logica e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, non c’è nessuna delle affermazioni di questo filmato contro, che non possa essere “popperianamente falsificata”, cioè contraddetta da altrettanto scientifici esperimenti contrari, compresi quelli sulla demolizione controllata. Se, scientificamente, fosse completamente infondata la versione ufficiale ci sarebbe una fioritura di scienziati di tutto il mondo (e soprattutto dei grandi santuari della scienza, come il MIT) pronti a contraddirla con ogni mezzo. Il fatto che molti dei discorsi di quelle figure, indicate come tecnicamente competenti nel filmato contro, non sempre siano riferibili direttamente all’evento in questione o che alcuni esperti non abbiano titolo professionale relativo alla materia che trattano, non depone a favore di un livello alto di professionalità e di deontologia nel campo della informazione.

7. Se ci fossero appigli, obiettivamente fondati, a favore del complotto, non si capisce perché, tra le tante potenze anti-americane, di natura diversa da quella arabo-islamica, nessuna intenda cavalcare un argomento così ghiotto come quello del complotto interno, per screditare il proprio avversario e scardinare, quindi, una versione “inattendibile”, investendo in una comunicazione che facilmente potrebbe andare oltre Internet e balzare all’attenzione planetaria.     

8. Non è casuale, infine, che, in Italia, siano stati proprio due giornalisti, nell’intento di contrastarsi, a insistere a gettare reciprocamente benzina sul fuoco della polemica. E non è casuale che tutti coloro che se ne occupano siano giornalisti. Tutti si affannano pro e contro i dettagli, per trasformarli in indizi, mentre la sostanza del problema, relativa al linguaggio della immagine e alla sua capacità di occultare, anziché rivelare, resta sullo sfondo.

9. Pertanto, ogni filmato, anche quello documentario, anche se, per natura del suo linguaggio, ci tace della realtà molto più di quanto non ci dica, va rispettato e non può essere piegato arbitrariamente al servizio di una tesi a priori, che non derivi da una corretta lettura del testo in immagini. Se non viene rispettato, allora si può tranquillamente dire che il filmato di controinformazione, che utilizza in questo modo i filmati di idea documentaria, ha tutt’altro obiettivo che la verità e, a questo punto, la cosa non riguarda più solo il piano morale, ma squalifica ogni eventuale pretesa del film-inchiesta di essere tale e scientifico! (Luigi Zaffagnini 27/11/2008)

 


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