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DONNE SENZA UOMINI



Regia: Shirin Neshat
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 373 - 2009
Titolo del film: DONNE SENZA UOMINI
Titolo originale: ZANAN BEDOONE MARDAN (WOMEN WITHOUT MEN)
Cast: Regia: Shirin Neshat, Shoja Azari (collaborazione) – sogg. e scenegg.: Shirin Neshat, Shoja Azari (tratto dal romanzo omonimo di Shahrnush Parsipur) – fotogr.: Martin Gschlacht – mus.: Ryuichi Sakamoto – mont.: George Cragg, Jay Rabinowitz,Julia Wiedwald, Patrick Lambertz, Cristof Schertenleib, Sam Neave – scenogr.: Katharina Wöppermann, Shahram Karimi – cost.: Thomas Olah – interpr.: Pegah Feridon (Faezeh), Shabnam Tolouei (Munis), Orsi Tóth (Zarin), Arita Shahrzad (Fakhri) – durata: 95’ – colore – produz.: Essentialfilm Produktion – origine: GERMANIA, 2009 – distrib.: BIM
Sceneggiatura: Shirin Neshat, Shoja Azari
Nazione: GERMANIA, AUSTRIA, FRANCIA
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Concorso
Premi: Leone d'argento per la miglior regia (a Shirin Neshat) alla 66ma Mostra Internazionale D'Arte Cinematografica di Venezia

Opera prima dell’artista iraniana Shirin Neshat, il film si presenta come un ambizioso tentativo di collegare il destino di quattro donne, che vivono in Iran negli anni 50, con gli avvenimenti politici di quel tempo, che videro la deposizione di Mossadegh da parte dello Scià e l’influsso delle potenze imperialiste straniere  (Inghilterra e Stati Uniti) sulla politica iraniana. Tentativo interessante ma non del tutto riuscito a causa di un simbolismo poco trasparente e di una struttura filmica poco precisa e priva di compattezza.

Nel film si possono individuare due grossi filoni strutturali e un elemento simbolico di grande suggestione.

I due filoni sono dati dalle storie – che si intrecciano – delle quattro donne e dalle vicende politiche iraniane. L’elemento simbolico è dato da un bellissimo giardino, che evoca una dimensione “altra”, con cui le donne, in vari modi, avranno a che fare.

LE QUATTRO DONNE. Le prime e le ultime immagini del film si riferiscono al suicidio della prima delle quattro donne, Minus.

Minus. Al canto del muezzin Minus si getta dal tetto della sua casa. Assillata dal fratello, che la rimprovera perché a 30 anni non si è ancora sposata (e non ha intenzione di farlo), e preoccupata per gli avvenimenti politici del proprio paese (ascolta continuamente la radio per seguire l’evolversi della situazione), la donna ricorre a questo gesto estremo che le consente di «liberarsi dal mondo» e di trovare finalmente silenzio e pace. Le immagini sembrano lasciar intendere che il suo spirito vada a finire proprio in quel giardino di cui s’è parlato. Misteriosamente (e simbolicamente) ritornata in vita, Minus diventa parte attiva del movimento politico nazionalista e dovrà assistere con dolore alla violenza che nasce dagli scontri tra i soldati e i manifestanti (siamo nel 1953).

Faezeh. Giovane donna innamorata del fratello di Minus , fa di tutto per impedire che l’uomo sposi un’altra ragazza. Non essendoci riuscita, viene introdotta da Minus nel giardino, dove troverà amicizia e conforto dalle altre due donne. Quando il fratello di Minus verrà a chiederla come seconda moglie, avrà il coraggio di rifiutare una situazione umiliante. Alla fine sarà l’unica che farà ritorno – da sola – in città.

Zarin. Fa la prostituta in un bordello di Teheran. Disgustata da questo tipo di vita disumana, diventa autolesionista, si fa del male e poi va a cercare conforto nel giardino, dove, dopo un po’ di tempo, troverà la morte.

Fakhri. È la moglie cinquantenne di un generale dell’esercito. Minacciata dal marito per il suo comportamento un po’ civettuolo, andrà a comprare (e a vivere) in quella tenuta all’interno della quale c’è il giardino. Qui ospita Faezeh e Zarin e dà una grande festa. Ma alla fine resterà sola nella sua tenuta.

Significazione: le quattro donne rappresentano l’umiliazione e l’oppressione che le donne iraniane – in vari modi – sono costrette a subire. E rappresenta la loro sconfitta. Il loro è un destino di morte o di solitudine.

LE MANIFESTAZIONI POLITICHE. A varie riprese vengono date, soprattutto attraverso la radio, le notizie sull’embargo inglese nei confronti delle petroliere iraniane e sulle manovre della CIA per provocare un colpo di stato. Poi, le manifestazioni di piazza, gli scontri, la sconfitta dei nazionalisti.

«Speranza, tradimento, paura: tutto si ripete nel tempo»: è la frase che esprime la significazione di questo filone e che suggella la sconfitta delle aspirazioni di giustizia e di libertà.

IL GIARDINO. Forse non è un caso che la parola giardino, in persiano, abbia dato origine al nostro “Paradiso”. Il giardino del film, infatti, è un luogo incantato e magico, dove si può trovare un po’ di serenità e di conforto. Ma rappresenta anche l’aldilà, l’unica alternativa a questo mondo, ma anche l’uscita da questo mondo.

È difficile ridurre a unità tutti gli elementi del film, così complesso ed enigmatico. Comunque – più intuitivamente che analiticamente – si può dire che la regista intende parlare dei sogni di riscatto di una nazione e delle donne all’interno di questa nazione. «Avevamo solo desiderato cambiare forma, qualcosa di nuovo», dice nel finale Minus. Ma l’amara constatazione è che tutto si è rivelato inutile. Solo nella morte (che non è poi così paurosa) ci si può “liberare dal mondo” e trovare silenzio, serenità e pace. (Olinto Brugnoli)

 


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