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LO SPAZIO BIANCO



Regia: Francesca Comencini
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: LO SPAZIO BIANCO
Titolo originale: LO SPAZIO BIANCO
Cast: regia: Francesca Comencini – scenegg.: Francesca Comencini e Federica Pontremoli, tratto dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella – fotogr.: Luca Bigazzi – mus.: Nicola Tescari – mont.: Massimo Fiocchi – scenogr.: Paola Comencini – cost.: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi – interpr.: Margherita Buy (Maria), Gaetano Bruno (Giovanni Berti), Salvatore Cantalupo (Gaetano), Guido Caprino (Pietro), Giovanni Ludeno (Fabrizio),Maria Paiato (Magistrata), Antonia Truppo (Mina) – durata: 96’ – colore – produz.: Domenico Procacci per Fandango in collab. Con Rai Cinema, con il supporto della Film Commission Campania – origine: ITALIA, 2008 – distrib.: 01 Distributions (16.10.2009)
Sceneggiatura: Francesca Comencini e Federica Pontremoli
Nazione: ITALIA
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Concorso
Premi: 1° edizione 2009 - Premio “Gianni Astrei pro life” del Family Festival e del Movimento per la Vita

È la storia di Maria, una donna non più giovanissima, reduce da tutta una serie di disavventure amorose, che si trasferisce a Napoli per insegnare in una scuola serale e lì conosce Pietro, con cui instaura una focosa relazione che si conclude…come le altre, cioè con l’uomo che l’abbandona, ma con la differenza che questa volta Maria resta incinta.

Ha le doglie mentre passeggia per la città e viene ricoverata in ospedale: la fanno partorire, ma l’avvertono che il feto, pur non correndo pericolo di vita, potrebbe nascere non ancora perfettamente formata; e infatti la bimba che nasce è di soli sei mesi e quindi necessita dell’incubatrice almeno per sessanta giorni, durante i quali si deve aspettare, solo aspettare, senza fare niente.

Cominciano così dei giorni duri per Maria che affronta – da sola – questo periodo di attesa, durante il quale lascia anche l’insegnamento e si dedica soltanto a quotidiane visite all’ospedale, dove passa il tempo di fronte all’incubatrice nella quale lotta per la vita la piccola Irene (questo è il nome che sceglie).

Abituata ad una super attività e a svolgere una serie di impegni, tutto rigorosamente da sola, si ritrova ad affrontare questa attesa snervante come in una sorta di apnea passiva: cura solo il rapporto con l’ospedale e non si occupa di nient’altro, neppure dei suoi “scolari” che invano cercano di scuoterla e di indurla a ritornare in classe.

Durante le tante ore che trascorre in ospedale, intreccia delle conoscenze con altre madri che si trovano nella sua stessa situazione, in particolare con una giovane parrucchiera a domicilio che nella sua giovanissima età potrebbe rappresentare una sorta di sorella minore alla quale dare consigli.

Nel suo stesso stabile, anzi nello stesso pianerottolo, viene ad abitare un magistrato – una donna che è in odore di attentato ed è sorvegliatissima dalla Polizia – che cerca di instaurare con lei un minimo di rapporto, ma Maria non riesce ad uscire dalla sua apatia e anche questo naufraga in un nulla di fatto.

Ad un certo punto Maria capisce che se lei non esce dal suo isolamento non riuscirà neppure ad essere utile all’esserino che lotta per la vita e quindi decide di consentire al mondo esterno di entrare nella sua vita: per fare questo riprende l’insegnamento, accolta a braccia aperte dagli alunni adulti, poi instaura una relazione con un giovane medico dell’ospedale, relazione soltanto sul piano fisico, e infine comincia a dialogare con il magistrato vicino di casa che è una sorta di sua controfigura, in quanto anch’essa vive reclusa tra l’ufficio e l’abitazione ed ha lasciato in un’altra città le sue due figlie; da quest’ultima apprende che la scelta di venire a Napoli è stata determinata dall’uccisione di un collega amico e dalla volontà di cercare i colpevoli, ma tutto questo viene fatto a spese della propria vita privata e sarà vanificato – al termine del film – dalla decisione del giudice di spostare l’inchiesta ad altro Tribunale.

Si arriva così, con una atmosfera da thriller, al momento in cui vengono staccati tutti i tubi ai quali è attaccato il piccolo corpo di Irene: la bambina sembra avercela fatta e così Maria avrà almeno in questo caso un qualcosa in cui non è stata sconfitta.

Il titolo del film, “lo spazio bianco”, rappresenta il periodo in cui la donna esce dal mondo e si mette in attesa della “nascita” della bambina; questo stesso spazio bianco è un elemento di composizione scritta che Maria indica ad un alunno in sede di esame (“fai uno spazio bianco e ricomincia con un nuovo discorso”); tutto questo ci potrebbe indurre a pensare che l’autrice volesse indicare nella nascita di Irene un elemento di “aiuto” all’esistenza futura della donna che, almeno fino a quel momento, non ha mai avuto la minima vittoria dalla vita: se così fosse, si potrebbe intravedere anche una tematica positiva, almeno piena di speranza nel futuro; il problema, a mio modo di vedere, è che non ci sono nella struttura narrativa, gli elementi per trarre questa conclusione e quindi sembra più che altro una forzatura volta a identificare ottimismo anche quando la vicenda non lo propone.

Il film, nella sua totalità, presenta una galleria di personaggi femminili nessuno dei quali può considerarsi “vincente”; Maria ovviamente è la prima in questa speciale classifica, in quanto ha già raggranellato una serie notevole di insuccessi amorosi, concluso con l’ultimo – quello con Pietro – che però ha la novità di averle “lasciato” Irene: può essere un aiuto per il futuro della donna oppure sarà un nuovo intralcio per la sua realizzazione? Il film non lo dice, anche se mi sembra che la regista propenda per considerare Irene una iniezione di fiducia ed anche di energia nuova.

Non posso classificare il film come “femminista”, ma lo considero invece “femminile”, nel senso che l’orizzonte visitato dalla Comencini è tutto femminile e le rare presenze maschili sono solo “di contorno”; su questo argomento mi sembra che l’occhio dell’autrice si bagni di lacrime e voglia forse incitare le donne a riprendersi il posto che compete loro in questa società che non è maschilista, ma piuttosto sgangherata.

Il film si avvale di una grandiosa Margherita Buy (da Coppa Volpi), doloroso simbolo di questa femminilità sfortunata e, in ultima analisi, abbandonata da tutti, che solo con le proprie forze potrà riprendersi il ruolo, altrimenti la decadenza pare assicurata ed è simbolicamente rappresentata dalla sterilità dei rapporti che Maria intrattiene durante la vicenda, in particolare con gli uomini; la speranza è che Irena possa infondere coraggio e visione di autentici valori umani.  (Franco Sestini)

 


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