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VIVERE



Regia: Akira Kurosawa
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Titolo del film: VIVERE
Titolo originale: IKIRU
Cast: regia: Akira Kurosawa - scenegg.: Akira Kurosawa, Shinobu Hashimoto, Hideo Oguni - fotogr.: Asakazu Nakai - mus.: Fumio Hayasaka - scenogr.: So Matsuyama - mont.: Akira Kurosawa - interpr.: Takashi Shimura (Kanji Watanabe), Schinichi Himori (Kimura), Haruo Tanaka (Sakai), Minoru Chiaki (Noguchi), Miki Odagiri (Toyo Imp. Ufficio), Nobuo Kaneko (Mitsuo), - B&N - durata: 143' - produz.: Shojiro Motoki per la Toho - origine: GIAPPONE 1952 - distribuz: Toho - San Paolo Audiovisivi.
Sceneggiatura: Akira Kurosawa, Shinobu Hashimoto, Hideo Oguni
Nazione: GIAPPONE
Anno: 1952
Presentato: 2. Festival di Berlino 1952 - In Concorso
Premi: ORSO D'ARGENTO AL FESTIVAL DI BERLINO 1952

(Tratto da TUTTOKUROSAWA a cura di Nazareno Taddei sj, Edizioni Edav, 2001)

Un capufficio del Comune, Watanabe, incartapecorito nella burocrazia, è malato di tumore allo stomaco e non lo sa. Alcune donne del rione chiedono uno spazio dove i ragazzi possano giocare. Vengono mandate inutilmente da un ufficio all’altro fino al sindaco, il quale fa loro ripercorrere la trafila. 

Watanabe, al sapere tra le bugie che ha solo qualche mese di vita, resta molto afflitto. Per caso, sente figlio e nuora fare conti su di lui per loro stessi, ripensa alla figlia morta giovane qualche anno pri­ma, rivede i momenti per il figlio Mitzuo che adesso gli raccomanda solo di chiudere la porta a chiave. Cosí scompare dall’ufficio e di casa; nessuno ne sa niente, se non che ha ritirato 50 mila yen dalla banca. Si dà a bere e si affida a una notte brava, dove compera un cappello nuovo. La mattina incontra una sua impiegata che aveva bisogno del suo timbro per potersi dimettere e l’invita a casa per firmare il documento (i famigliari si scandalizzano). Vede che la ragazza ha le calze rotte e gliene compera un paio; poi le offre la colazione e la invita a stare con lui tutta la giornata, perché per lui la sua presenza è come un’ancora di salvezza. Quando sta per dare la notizia della malattia al figlio, questi, anziché ascoltarlo, lo investe, preoccupato dei soldi. In ufficio lo prendono per pazzo; per lui invece sono i giorni piú ragionevoli della sua vita. Ricerca l’impiegata per passare un’altra sera; ma è una tristezza. Tuttavia, lui le confida il suo male e lei, quasi per liberarsene, gli fa giocare un cagnetto meccanico e gli dice di far qualcosa per i bambini.

Come ispirato, lui si allontana col cagnetto tra le mani. In ufficio, inatteso, tira fuori la pratica delle donne dell’inizio e dà ordini per avviarla. Cinque mesi dopo, muore im­prov­vi­samente nel giardino per i bambini; colleghi e superiori gli rendono l’estremo onore. Alcuni giornalisti vengono a protestare col sindaco, perché non ha reso il dovuto onore a Watanabe nell’inaugurazione del giardino. Il sindaco con qualche frottola li lascia in mano a un suo aiutante. Rientrato nella stanza della celebrazione, se la prende con i giornalisti e sminuisce l’apporto di Watanabe esaltandone altri. Alcune donne vengono a rendere omaggio al defunto con le lacrime agli occhi. Tutti restano impietriti: le autorità se ne vanno con i salamelecchi ai parenti.

Qui il film poteva essere finito. Invece continua. Nella sala del morto, gli impiegati dei vari uffici rimasti rievocano le difficoltà affrontate da Watanabe (il film visivizza i racconti), ma ben pochi sono d‘accordo nel riconoscergli i meriti. Un poliziotto riporta il cappello trovato nel giardino dove Watanabe era andato a morire e cosí l’A. ha modo di sottolineare l’ipocrisia dei parenti. Nella sala, gli impiegati, ormai ubriachi, continuano a blaterare con l’impegno che tutto deve cambiare nella burocrazia. Ma l’A. ci fa vedere subito l’ufficio col nuovo capufficio, dove però tutto continua come prima: «per salvare il posto bisogna cercare di lavorare non facendo niente, in modo che nulla cambi». Solo uno dissente e va a vedere il giardino dove ora giocano i bimbi.

Questa sorta d’appendice diventa addirittura noiosetta, per quanto tematicamente molto esplicita; ma le cose interessanti che dice sono piuttosto superflue, perché il significato del film era già evidente e forte: l’ipocrisia e l’egoismo della società ai suoi vari livelli messa a confronto con la gioia che nasce da un rapporto semplice e generoso. (Nazareno Taddei sj)

 


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