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ALESSANDRO BLASETTI: BIOGRAFIA E CENNI DI CURRICULUM


di UFFICIO STAMPA CISCS
Edav N: 146 - 1987

(estratto dalla voce «Blasetti Alessandro» dello «SCHEDARIO CINEMATOGRAFICO» del C.i.S.C.S. redatta da Eugenio Bicocchi con la collaborazione di N. Taddei)

 

«Nato a Roma il 3 luglio del 1900 da Cesare Blasetti e Augusta Lulani.—è lo stesso B. che racconta in "Cinema'' n. S., 1925, 32, p. 66—Mio padre era "professore" di oboe e corno inglese: suonava e insegnava alla Regia Accademia di Santa Cecilia. Mio nonno era scultore (è sua la statua del "silenzio" all'ingresso del nostro Verano). Mia madre discendeva da un'antica famiglia della cosiddetta borghesia nera romana, avvocati della Curia, di padre in figlio. Ho compiuto gli studi inferiori al collegio Rosi di Spello, tenuto da sacerdoti somaschi, religiosi di una estrema semplicità e bontà paterna. (Mio padre era quasi sempre in viaggio per le "tournées" cui lo conduceva la sua professione e mia madre lo seguiva). (...) Per il liceo, passai al Collegio Militare di Roma. (...) Gli studi universitari li ho compiuti a Roma, alla Sapienza. Mi sposai nel 1923, mi laureai nel 1924, in legge, facoltà scelta per secondare i desideri della tradizione materna. Ma per sposarmi, appena congedado mi ero impiegato in banca e la laurea doveva servirmi ben poco. (...)»

Già nel 1919 aveva avuto un primo «contatto)) col mondo del cinema, entrando nel teatro di posa della Vecchia Cines di Via Veio per fare da oscura comparsa in un film di Mario Camerini. e B. preferí dopo una parentesi di cinque anni di opaco impiego in una banca, battere una strada assai piú incisiva: il giornalismo e la critica cinematografica da cui partirà per realizzarsi poi regista.

Le preferenze di B. andavano allora ad autori quali King Vidor, Eric von Stroheim, David W. Griffith e C. Chaplin «il piú vero di tutti gli uomini del cinema nel suoi antive~ismo clownesco di grande poeta» (I.c.). Lesse e studiò attentamente i teorici della scuola russa, Nikolaj Ekk, Eisenstein, Pudowkin, dei quali non poté vedere le opere se non alcuni anni piú tardi.

In quegli anni B. con gli amici del gruppo svolse un'energica attività critica e di lotta per il «contingentamento)> dei film stranieri e si impegnò a fondo per la rinascita della cinematografia italiana, soprattutto a causa delle deficienze della struttura industriale italiana e della mancanza di idee dovuta alla difficile realtà storico-politica. «Tutti i teatri di posa romani—è sempre B. che parla in l.c.—erano abitati soltanto da ragni e da topi; polvere e pioggia vi calavano in libera alternativa dalle crollanti tettoie di vetro; e una fertile melma aveva dato rigoglio, ovunque, ad appezzamenti di verde variegato>).

Tramite il suo periodico «Cinematografo~> indisse una sottoscrizione di azioni da cento lire e con la raccolta dei fondi costituí l'«Augustus», coraggioso esempio di Cooperativa di produzione, per conto della quale, il 20 dicembre 1928, iniziò le riprese del suo primo film SOLE, su soggetto di Aldo Vergano, confondatore assieme a Barbaro, Serandrei e altri dell'«Augustus».

«Possiamo finalmente credere che con questa prova sia cominciata non la rinascita ma addirittura il rinascimento del cinema italiano (da ''L'ltalia Letteraria'', 23-6-1929, riportato in Cinema italiano oggi, cit.; in altri passi dello stesso B., e altrove).

Con una sola opera B. si era quindi affermato «autore». Da questo momento la sua vita può essere identificata con la sua attività realizzatrice, col suo lavoro, con le sue regie. Le crisi psicologiche, i problemi intimi e i dispiaceri, che nel corso della vita egli dovette provare, non hanno mai avuto riflessi o influenze sul mondo ideologico che propose al pubblico con i suoi spettacoli. Anzi, l'impegno artistico, lungi dal subire intralci e conseguenze dai momenti difficili della vita privata dell'autore (come avverrà, p.e. in Bergman e Antonioni, per i quali lo schermo sarà lo specchio delle proprie ansie e delle proprie angosce) rappresentò sempre per B. un punto saldo, una forza vitale per dare un valore alla propria esistenza e per superare anche le circostanze sfavorevoli.

Può essere indicativa al proposito la dichiarazione sulle riprese di SOLE, rilasciate da B. stesso, ben trentotto anni dopo, in cui, però, rivive in maniera straordinariamente fresca il ricordo di quei giorni: «Emozione? Ma era pazzia! Momenti di pazzia quelli che vivevo in quei giorni! lo non vivevo che in teatro di posa, non avevo altro che il teatro di posa. Tutta la mia vita, la nostra vita? Era votata al lavoro: Eravamo un gruppo di entusiasti, un gruppo solido, compatto di amici ed abbiamo affrontato insieme la fame (a volte mangiavamo una pagnottella sola al giorno) ci immergevamo con gli stivaloni di gomma nell'acqua della palude per spingere barche di fortuna con sopra la macchina da presa in mezzo alla palude; come per fotografarne i miasmi, il documento di una incivile permanenza di certe zone in una nazione che si allineava tra le nazioni civili. Quindi, emozione? Sí, fino al hmite della citazione». (in «Rivista del Cinematografo» 1966, n. 3, cit.)

Nel 1930, risorta la Cines, B. iniziò per conto di questa Casa un'intensa e costante opera registica, durata quattro anni, durante la quale arrivò a realizzare anche tre film per stagione, cosa che in seguito non ripeterà piú, e perché si impegnò con film che richiedevano una maggior durata delle riprese (come p.e. i colossali LA CORONA DI FERRO [1941] e FABIOLA [1949]) e perché preferí alla quantità la misura di una produzione abbastanza contenuta e sceita.

Nel 1932, B. iniziò anche l'attività di docente che in un certo senso aveva già svolto, negli anni precedenti, con la sua azione giornalistica e saggistica. Divenne direttore e insegnante della Prima Scuola di Cinematografia, sotto il patronato del Ministero dell'Educazione Nazionale e della Corporazione dello Spettacolo, che aveva sede presso l'Accademia di S. Cecilia, ricoprendo tale carica fino al '34. In questo periodo B. fece provare ai propri allievi registi e attori un'esperienza che egli aveva avuto durante gli anni universitari di giurisprudenza, quando il professore Enrico Ferri aveva condotto i propri studenti a visitare le galere per studiare direttamente la personalità del delinquente, ovviamente ai fini di una maggiore preparazione professionale. L'esperimento proposto fu assai efficace: B. notò p.e. che gli aspiranti attori, per esprimere pazzia, smisero immediatamente di ricorrere a gesti stereotipati e banali.

Quando questa scuola divenne nel 1935 il Centro Sperimentale di Cinematografia, B. fu chiamato da L. Chiarini, allora direttore, come docente di regia, sceneggiatura e recitazione, prestando in seguito saltuariamente tale opera fino al '42. Tra le esercitazioni a scopo didattico curò alcune prove di recitazione e messa in scena, tratte da opere di noti autori come «L'uomo dal fiore in bocca» e «La Morsa» di L. Pirandello. Dopo la guerra mondiale ritornò per alcuni anni presso il C.S.C.

A proposito del «fascismo» di B., tante volte sbandierato, piú a torto che a ragione, da critici la cui ideologia è capace di far velo allo stesso acume critico (vale per tutti l'esempio di G. Sadoul in Storia del Cinema mondiale, ed. Feltrinelli e Storia del Cinema, ed. Einaudi, in cui parla di «carriera fascista», di B.), si può ricordare la sciocca gazzarra che alcuni giornali venezuelani sollevarono contro il film SIMON BOLIVAR, quando B. si trovava colà per le riprese. Contrari all'introduzione del personaggio della donna (per ragioni che non è nostro compito vagliare in questa sede), essi ricorsero piú volte al suo «passato di fascista» per denigrarlo, giungendo a presentarlo come autore di solo due o tre delle decine dei suoi film.

Anche guardando sotto il profilo del fascismo, dunque, B. rivela la sua tipica personalità entusiasta, vigorosa, profondamente umana e sensibilissima ai problemi degli uomini che gli stanno attorno, soprattutto alla verità e alla giustizia. Egli non divide il mondo tra bianco e nero, ma coglie il bene e il male ovunque si trovi e di chiunque sia, senza partigianerie o servilismi. Ma è chiaro che tale suo anticonformismo, frutto di temperamento forte e tagliente, lo abbia portato piú volte a trovarsi o a mettersi in situazioni scomode o sgradite o anche diversamente valutabili.

Già a questo punto dell'attività blasettiana è possibile fissare alcune costanti del suo mondo creativo: una continua ricerca aperta a tutte le esperienze dal genere proto-realista (SOLE) a quello satirico (NERONE) a quello «leggero» (L'IMPIEGATA Dl PAPA) a quello di impegno sociale (VECCHIA GUARDIA), ecc. e tesa ad esprimere perenni e autentici valori umani, una scrupolosa attenzione, seppur a volte eccessivamente finalizzata a risultati solo effettistici, verso i caratteri «formali» dell'inquadratura e della composizione ritmica del racconto cinematografico.

Sempre nel '34, B. ebbe la prima esperienza che si potrebbe def}nire, in un certo senso, teatrale. Allestí all'aperto per il Maggio Fiorentino 18 BL spettacolo di massa. La rappresentazione, voluta dal regime e celebrativa di un camion militare, che fino a tutto il primo tempo «non era andata male» (Blasetti), si volse alla conclusione—come B. aveva previsto, mettendo vanamente in guardia gli organizzatori—in un disastroso insuccesso dovuto alle difficoltà di adattamento della vasta scena al piazzale prescelto e alla quantità enorme e sproporzionata degli interpreti impiegati (oltre 3.000 persone irrequiete e indisciplinate). Oggi B. confessa con sincerità che un altro fattore contribuí in maniera determinante alla caduta del lavoro: I'aver creduto allora, in buona fede, al criterio che «spettacolo per massa» significasse «spettacolo di massa», mentre «non ci può essere spettacolo se non c'è volto umano, personaggi e contrasti umani» (v. intervista Bicocchi).

Nel periodo 1944-'45, quando il cinema si era fermato a causa degli eventi bellici, B. trovò la possibilità di esplicare la propria attività creativa attraverso lo spettacolo teatrale. Anche con questa esperienza, per nulla ponderosa, ma degna di lode per misura e serietà di scelte, egli volle, pur nella diversità espressiva, perseguire le stesse finalità che andò e andrà sempre cercando col cinema e, piú tardi, con la televisione: proporre temi di elevazione moraie e culturale, in un'ambito di comprensibilità e di divertimento per il pubblico.

Mise in scena nel '45 a Roma Il tempo e la famiglia Colonway di Priestley, su un'ambiziosa famiglia borghese americana e sulla fine dei suoi sogni, schiacciati da un pesante destino e Ma non è una cosa seria che per S. D'Amico fu la migliore rappresentazione che avesse visto della commedia di Pirandello. Anche dopo il ritorno al cinema B. non abbandonerà completamente questa attività e nel 1947 allestirà La foresta pietrificata di R. Sherwood, alle Arti in Roma ma il lavoro, per alcuni errori nella scelta di certi attori, non avrà la fortuna delle sue precedenti commedie. Successivamente diresse La carrozza del Santissimo Sacramento e nel '51 la felice opera di U. Betti La Regina e gli insorti, con la compagnia Pagnani-Cervi, prima rappresentazione all'Eliseo a Roma.

In questo stesso periodo, B.—che non si è mai sentito poeta—scrisse dei versi in romanesco che il celebre Trilussa ebbe modo di apprezzare, esortandolo a «mettercisi sul serio». «Sei uno dei pochi—gli aveva detto un giorno—che usano nel verso la vera terminologia del popolo romano». Dopo la Liberazione, alcuni giornali «liberi~> pubblicarono qualche~suo sonett~. In queste poesie B. prende di mira soprattutto se stesso: ed è interessante trovare, almeno vagamente, quel fondo tematico che egli evidenzierà fortemente nel suo film, 10, 10, 10... E GLI ALTRI.

Dopo la sosta dovuta ai fatti cruciali del periodo bellico, B. riprese l'attività cinematografica nel 1946. Ma i tempi erano profondamente cambiati rispetto agli anni anche immediatamente precedenti. B. seppe capire il nuovo momento e affrontarlo con la sua poliedrica versatilità. In un clima neorealista e resistenziale B. filmò, nel '46, UN GIORNO NELLA VITA, su soggetto proprio e con la collaborazione per la sceneggiatura di C. Zavattini, D. Fabbri, M. Chiari. Quest'opera su un tragico e nobilissimo episodio della lotta partigiana si inserí pienamente e con autorevolezza nella corrente realista, se non proprio neorealista. Per questo lavoro venne assegnato, da parte del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani, il premio «Nastro d'Argento 1945-'46» (al 1° anno di istituzione) ad Alessandro Blasetti per la migliore regia (ex aequo con Vittorio De Sica, autore di SCIUSCIA) e a Mario Craveri, per la miglior fotografia. La sera delI'assegnazione del «Nastro d'argento», B. confermando ancora una volta lo spirito fiero e generoso che lo ha sempre guidato fin dalle lontane battaglie giornalistiche degli anni venti a favore di una cinematografia nazionale (da non intendersi nella accezione «nazionalistica»), cosí concluse la sua dichiarazione: «Voglio ricordare a tutti che il cinema italiano è il cinema italiano~.

L'anno precedente B. aveva riproposto lo stesso tema della bontà e della fratellanza di UN GIORNO NELLA VITA, con un genere stilistico totalmente diverso: il tradizionale film storico, con l'imponente e maestoso FABIOLA, soggetto tratto dal romanzo omonimo del Cardinale Wiseman. Ma l'impegno tematico rimase alquanto schiacciato dagli stessi mezzi di grandiosa spettacolarità impiegati e dalla mancanza di fusione tra gli apporti dei numerosi (troppi) collaboratori che avevano messo mano a questa ~<epica allegoria~. La critica italiana fu particolarmente severa col film (che, invece, oltralpe ottenne il premio «Victoire~> del Cinema francese [1949] per il miglior film straniero) e B. ne rimase alquanto amareggiato, perché secondo lui non si vollero vedere, per pregiudizio, oltre gli aspetti negativi, anche quelli positivi dell'opera. In un'intervista su «cinema», n.s., 1949, n. 21 egli stesso cosí puntualizzò i pregi del film: «FABIOLA venne presentato sui nostri schermi in un momento particolarmente critico del cinema italiano. Erano i giorni della polemica contro gli esercenti, addirittura accusati, piú o meno esplicitamente, di sabotaggio. Ebbene gli esercenti si contesero FABIOLA. A Roma fu proiettato in cinque sale e si dovette rifiutare l'offerta di altre tre sale. Questo era un beneficio per la produzione italiana, significava la rottura di una situazione; e difatti, dopo FABIOLA, altri film italiani conobbero successi superiori a quelli di film di pari valore proiettati in antecedenza. Secondo punto: FABIOLA ha gettato le basi industriali e creditizie di quella collaborazione italo-francese che poi i due Governi dovevano praticamente sviluppare e sanzionare con i loro importantissimi accordi. Terzo punto: FABIOLA ha restituito all'Italia il vanto industriale della vendita a scatola chiusa. Ben trenta paesi esteri avevano acquistato il film prima che fosse terminato, sulla base dei nomi che vi partecipavano, della grandiosità dell'assunto, dei risultati fotografici. Quarto punto: il Centro Sperimentale di Cinematografia, Istituto necessario ed utilissimo al rinverdimento dei quadri cinematografici, era stato lasciato dalla guerra in condizioni pietose. La lavorazione di FABIOLA ha rimesso in efficienza il suo grande teatro, ha rifatto e ingrandito il piccolo, ha affiancato a questi due teatri un terzo di proporzioni quasi analoghe al grande. Ha cioè rimesso in efficienza lo strumento essenziale di cui la Direzione del Centro ha bisogno per svolgere proficuamente la sua attività. Inoltre, Cinecittà, dal campo profughi che era, è tornata ad essere—per il denaro e le esigenze di FABIOLA—il piú vasto e importante stabilimento d'Europa tanto da poter, subito dopo, ospitare la lavorazione di un film americano. Quinto punto: FABIOLA ha significato lavoro per migliaia di persone in un momento di crisi della produzione>). Soddisfazioni ne ricevette invece dal pubblico: FABIOLA si classificò al II posto della graduatoria degli incassi con 572.000.000, quintuplicando l'introito lordo teorico del film medio italiano che si aggirava allora intorno ai 106.000.000 di lire. Agli Stati Uniti fu venduto per 500.000 dollari.

Sensibilissimo ai problemi dell'industria cinematografica, B. partecipò il 2 febbraio 1949 a un'importante manifestazione in piazza del Popolo a Roma assieme ad altri nomi illustri del settore (V. De Sica, G. Cervi, A. Magnani, ecc.) radunati in unl fronte unico con i tecnici, le maestranze e i generici, per protestare e sollecitare dal governo provvedimenti atti a salvaguardare la produzione nazionale dalla concorrenza monopolistica del cinema straniero (nordamericano). B. fu il primo oratore a parlare in proposito ai ventimila convenuti.

Nel campo della sua attività teoricosaggistica svolse nel '52, come delegato, la relazione italiana all'annuale conferenza cinematografica internazionale dell'UNESCO che si tenne a Venezia contemporaneamente al Festival. Sostenne la tesi, mutuata dalle proprie esperienze, che il regista non è l'unico autore del film, ma che, essendo questo opera collettiva, egli debba dividerne la «paternità>) anche con gli altri che hanno contribuito e collaborato al lavoro, come il soggettista e lo sceneggiatore. Questa asserzione che riconosceva un valore autonomo e fondamentale al «testo» suscitò violente reazioni e fu da alcuni risolutamente rifiutata, come da L. Chiarini in un saggio pubblicato sulla «Rivista del Cinema Italiano>, 1953, 1/2, e nel libro Arte e tecnica delfilm, edito da Laterza, mentre da altri fu analizzata e discussa, come da N. Taddei sia in alcuni suoi scritti, sia in una Tavola Rotonda, tenuta poco tempo dopo a Milano, presidente lo stesso B.. Secondo B. Ia propria tesi rappresenta il «secondo grande passo verso la consacrazione del cinema nelI'arte», dopo quella che riconosceva al regista un'importanza e un'autonomia attribuite prima solo agli attori.

Anche sotto il profilo di esempi esplicativi della teoria vanno viste le realizzazioni di questo periodo: p.e. ALTRI TEMPI (Zibaldone n. 1) (1952), film a episodi, tratti dai racconti di vari scrittori, ambientati tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. La mano sicura del regista e la presenza di valenti attori (V. De Sica, A. Fabrizi, R. Morelli, A. Foà, A. Nazzari, E. Cegani, G. Lollobrigida, ecc.) assicurarono all'opera un pieno successo. Essa si classificò per introiti al Vl posto (al 1° DON CAMILLO di Duvivier) con L. 544.000.000, mentre l'incasso teorico del film medio italiano oscillò in quell'anno intorno ai 205.000.000. Fu questa una grande soddisfazione e una vittoria morale per B. che aveva dovuto superare molte difficoltà e incomprensioni, con TEMPI NOSTRI (Zibaldone n. 2) (1954), B. tentò di ripetere la fortunata formula del film a sketches.

Questo lavoro voleva illustrare il costume del periodo che va dalla fine della prima guerra mondiale agli anni quaranta, ma peccò di frammentarietà che ne compromise il risultato, nonostante l'abile mestiere e l'interpretazione di ottimi attori quali Y. Montand. D. Delorme, L. Padovani, M. Mastroianni, V. De Sica, E. De Filippo, Totò, M. Fiore e F. Cegani.

A questa produzione B. ne affiancò un'altra alla quale non diede particolari compiti né tematici né stilistici, ma piuttosto di divertimento, pur nella precisa attenzione di non contraddire o contrastare, anche scherzosamente, le idee e i valori proposti con le opere di maggior impegno. Sono: LA FIAMMATA (1953), tratta dalla commedia du H. Kistemaekers, ambientata in un castello al confine franco-belga, poco dopo la prima guerra franco-prussiana del 1870; PECCATO CHE SIA UNA CANAGLIA (1955), tratto d un racconto di A. Moravia, di cui il soggetto, la regia e l'interpretazione (attori V. De Sica, S. Loren e M. Mastroianni) valsero a conquistare un ottimo favore di pubblico; LA FORTUNA DI ESSERE DONNA (1955), altra commedia di costume, in cui venne riproposta la giovane e fortunata coppia LorenMastroianni. Questa opera, come la precedente, andò incontro alle stesse riserve di critica, ma riuscí a piacere e a divertire il pubblico.

La massa degli spettatori, al di là delle valutazioni dei critici specializzati, ha sempre considerato B. un regista «popolare» (che, cioè, va incontro al popolo) ed ha sempre risposto con notevole affluenza all'uscita di quasi tutte le sue opere, anche di quelle meno significative. A puro titolo esemplificativo riportiamo dal «Giornale dello Spettacolo>~ del 16-12-'57 una tabella dei film da lui diretti dal 1946 al '55 (un periodo quindi parziale di tutto l'arco della produzione blasettiana), con gli incassi «reali» al 30 giugno 1957, e «ragguagliati» sul valore del biglietto di incasso al cinema nel 1957 (vedi tab.).

Nella primavera del '57 il noto produttore hollywoodiano D. O'Selznich, dopo il fallimento della collaborazione col regista J. Hudston, poco accetto alI'attore B. Lancaster, e delle trattative con altro nomi, tra cui l'italiano P. Germi, aveva offerto a B. Ia conduzione del film ADDIO ALLE ARMI. B. in quelI'occasione rilasciò la seguente dicniarazione: «Non potrei dirigere il film senza conoscere a fondo il romanzo di Hemingway, senza aver studiato tutti i dettagli d'ambiente; mi sarei assunto una responsabilità non solo di carattere professionale ma anche nazionale, poiché la mia collaborazione era stata ricniesta proprio per le scene della ritirata di Caporetto». (cit. «Il Giorno», 4-4-'57).

Nella sua lunga carriera, B. dovette sovente lottare per mantenersi il piú possibile libero dai condizionamenti della produzione tendenti a limitare poco o tanto, la sua ispirazione artistica, per fini ideologici o commerciali. Sembra che párticolarmente pesanti siano state le pressioni dei produttori riguardo al film EUROPA DI NOTTE (1958). Esso doveva consistere, nelle intenzioni dell'autore, in un'«inchiesta documento», filmata dal vero, sul mondo dello spettacolo notturno dei nights, per un recupero dell'umanità nascosta dietro le quinte del fenomeno—e traccia ne è restata in quelle inquadrature che colgono le ballerine che escono dal palco indolenzite e col sorriso spento, come annota N. Taddei in «Letture», 1959, n. 4, p. 305—ma per motivi di spettacolarità e commerciabilità, dovette risultare alla fine una sequela di «numeri», fotografati nei piú noti locali di Parigi, Londra, Madrid, ecc., con cui gli europei (quelli che possono o ne hanno voglia) dilettano le loro monotone serate. La formula abbastanza nuova e «furba» di questo film, che ottenne in campo critico il premio «Nastro d'Argento» per la migliore fotografia a colori (operatore Gabor Pogany), vide un concorso di pubblico strepitoso, nonostante le nette riserve d'ordine morale che, a torto o a ragione, si elevarono alte da qualche ambiente, soprattutto cattolico.

Allo stesso filone di film inchiesta, appartiene anche IO AMO, TU AMI (1960). Si tratta di una specie di antologia dell'amore nel mondo, girato dal vero in varie nazioni. Da un punto di vista organizzativo, fu particolarmente interessante per B., I'esperienza delle riprese in Unione Sovietica, come p.e., I'utilizzazione di tecnici e maestranze russe, essendo la troupe italiana ridotta al minimo, le difficoltà superate per poter disporre sulla Piazza Rossa dei soldati con le armi (infatti per legge è vietato alla truppa circolare armata per Mosca, se non in occasione della grande Parata il giorno dell'anniversario della rivoluzione), ecc.. Presentato in prima visione a Torino il 1° aprile 1961, vigilia di Pasqua, il film fu accolto favorevolmente dal pubblico, ma, iniziata in varie città d'ltalia una fortunata programmazione, venne sequestrato dopo 24 giorni per ordine del procuratore della Repubblica di Foggia a causa della scena, lunga circa 5.000 fotogrammi (meno di 4 minuti di proiezione), dello «spogliarello» di Véronique in un ritrovo di Londra. Con alcuni «ritocchi» (= tagli) il film venne rimesso in circolazione, ma incontrò ancora difficoltà per gli interventi di procuratori della Repubblica di altre città: divieto ai minori, alla fine elevato da 16 a 18 anni, sequestro di un manifesto pubblicitario, rinvio a giudizio del produttore D. De Laurentis, del regista A.B., dell'attrice Véronique (al secolo Monique Bedouet) e di altri con minor responsabilità, ecc.. In genere la critica ha accolto negativamente quest'opera.

IO AMO, TU AMI fu l'anello di congiunzione nella evoluzione della formula dell"<inchiesta documento» verso la forma «antologica)> di 10, 10, 10... E GLI ALTRI (1966), film, che merita ben altra considerazione e necessita, anche per il significato che ha all'interno della produzione blasettiana, di una trattazione particolare.

B. pensava ad una tale idea di una «conferenza» cinematografica contro la vanità dell'egoismo già da quindici anni, dai tempi di PRIMA COMUNIONE, ma solo da quattro anni, dalla fine di 10 AMO, TU AMI, aveva iniziato a «lavorarci seriamente», raccogliendo il maggior numero possibile di testimonianze, fotografie e suggerimenti sulI'egoismo e sulle sue manifestazioni. Il soggetto di B. e C. Romano fu sceneggiato dagli stessi col concorso di numerosi nomi che già avevano collaborato ad altre opere precedenti: Age, F. Scarpelli, A. Baracco, L. Benvenuti, P. De Bernardi, L. Carrelli, S.C. D'Amico, E. Flaiano, G. Rossi, L. Solaroli, V. Talarico. Il costo complessivo (12 settimane di lavorazione in 75 ambienti diversi) fu relativamente basso (L. 333.000.000) se si considera il cast degli interpreti a dir poco sbalorditivo. Questo si spiega col fatto che molti attori, tra i piú noti del cinema italiano, accettarono di lavorare anche in ruoli secondari, senza pretendere gli abituali astronomici compensi, perché debitori di gratitudine e riconoscenza verso il regista che aveva aperto loro le porte del successo: W. Cniari, G. Lollobrigida, V. De Sica, M. Mastroianni, S. Mangano, N. Manfredi, E. Cegani, G.M. Spina, F. Valeri, L. Luttazzi, S. Koscina e altri. Nell'atto di iniziare le riprese B. dichiarò che quello sarebbe stato sul suo ultimo «film d'autore~>. La frase fu da alcuni intesa nel senso che B. si sarebbe definitivamente ritirato dal mondo cinematografico. Invece B. intendeva dire che con IO, IO, IO... E GLI ALTRI chiudeva la sua lunga attività «creatrice», costantemente tesa alla ricerca di sempre nuovi temi e nuove soluzioni narrative e stilistiche, per dedicarsi con la sua esperienza artistica e la sua onestà morale e professionale, a dirigere film diligentemente spettacolari.

IO, IO, IO... E GLI ALTRI era andato riscuotendo un enorme successo di pubblico e della parte piú qualificata della critica, ottenendo vari premi e riconoscimenti: il «Ciak d'oro 1966» (Ischia) il «David di Donatello 1966» (ex aequo con P. Germi per SIGNORE E SIGNORI), la «Salina d'oro 1966>~ (Margherita di Savoia), «Il Grifo 1967~ (Montepulciano) e inoltre il premio «Scheda d'oro» del Centro San Fedele di Milano. Il film partecipò, fuori concorso al XIV Festival di San Sebastiano (1966) .

Nel '67, B. è stato presidente della giuria del XX Festival Internazionale di Cannes che vide premiato BLOW-UP di M. Antonioni e che offerse un omaggio della giuria a R. Bresson per MOUCHETTE. Nel '60 era stato membro della giuria al Festival di Porretta Terme. Numerose altre volte è stato invitato a presenziare a manifestazione d'arte cinematografica.

Anche l'elenco dei premi e dei riconoscimenti è ricco di testimonianze.

Nel «nuovo periodo» realizzativo, B. ha firmato due regie: LA RAGAZZA DEL BERSAGLIERE (1967), soggetto liberamente tratto dalla commedia di E. Anton «La fidanzata del bersagliere>, che ha raccolto consensi abbastanza lusinghieri di critica e di pubblico, per la scioltezza della conduzione registica, per la grazia della recitazione (attori G. Granata, A. Casagrade, T. Renis) e soprattutto per,quel tocco di sentimento e commozione che riveste questo «filmfavola»; SIMON BOLIVAR (1969), una coproduzione italo-spagnola sulla vita e l'azione dell'eroe, sudamericano.

Pur essendo tematicamente assai interessante (il film smitizzando Bolivar dagli orpelli della retorica storica ne mette in luce le autentiche doti e i valori umani della personalità) non fu sufficientemente apprezzato da una buona parte (ma non la migliore) della critica e poco sorretto nel lancio, riscosse una scarsa partecipazione di pubblico. In Venezuela, la gente accorse a vedere SIMON BOLIVAR, attratta dall'argomento, ma in generale, per vari e spesso contrastanti motivi, e per una faziosa polemica di una certa parte della stampa, pare che rimase piuttosto delusa. Il regista ci ha detto di non essere lui stesso completamente soddisfatto di questa realizzazione che risentí irrimediabilmente le conseguenze delle difficoltà durante le riprese, dovute a pesanti restrizioni economiche subite.

Negli ultimi anni, B. si è dedicato con molto impegno a regie per conto della televisione, che egli giudica uno strumento di notevoli interessanti capacità per la caratteristica di «visitare» milioni di spettatori direttamente nelle loro abitazioni (v. Filmografia ragionata).

Anche in questo lavoro B. ha detto certamente «qualcosa»: potrà dire agli uomini d'oggi «quanto io desidero che ascoltino da un uomo che ha sofferto della violenza e della guerra, dell'egoismo e del sopruso». (A.B., Gian Luigi Rondi [a cura di] «Cinema italiano oggi», Roma, Bestetti, 1950, p. 122).

Un colpo pressoché definitivo alla sua forte attività è stato dato a Blasetti da un ictus subíto il 17 settembre 1981. Dopo di che è vissuto «come un vecchio signore che aveva bisogno di riposarsi»: sono parole di Elisa Cegani che ha continuato a essergli vicino con la sua affettuosa dolcezza, nel complesso degli acciacchi che insorgevano sempre piú gravi. Il martedí 27 gennaio 1987, uscendo dal bagno, cadde fratturandosi il femore destro, in conseguenza di che gli acciacchi e l'età (86 anni) ebbero il sopravvento alle 22,30 circa della seguente domenica 1° febbraio.

Il 4 febbraio ci furono a Roma, nella Chiesa di S. Maria del Popolo, i funerali officiali dal P. Nazareno Taddei S.J.. Praticamente tutto il cinema italiano era presente, le massime autorità dello Stato inviarono telegrammi e corone. Quasi tutta la stampa quotidiana diede l'annuncio. Ma l'uomo che tanto aveva dato all'Italia con la sua opera avrebbe meritato ben maggiore attenzione, cominciando dalla TV di Stato.

 


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"La poltrona di Fellini"

   
   
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