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REGALO DI NATALE



Regia: Pupi Avati
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Edav N: 145 - 1987
Titolo del film: REGALO DI NATALE
Cast: regia, sogg. e scenegg.: Pupi Avati - fotogr.: Pasquale Rachini - mus.: Riz Ortolani - scenogr.: Giuseppe Pirrotta - interpr.: Carlo Delle Piane (Santelia), Diego Abatantuono (Franco), Gianni Cavina (Ugo), Alessandro Haber (Lele), George Eastman (Stefano), Kristina Sevieri (Martina), Giovanna Piaz (Adriana) - colore - durata: 101' - produz.: Antonio Avati per la Duea Film srl e D.M.V. Distribuzione in collaborazione con R.A.I. UNO - origine: ITALIA, 1986 - distribuz: D.M.V.
Sceneggiatura: Pupi Avati
Nazione: ITALIA
Anno: 1986

La vicenda. Un signore attempato e distinto entra in un ristorante e ordina solo tre patate bollite, intere, senza condimento di sorta. «Mi hanno detto che qui si mangia bene!», commenta. Seduta al tavolo di fronte con un giovane, c'è una bella ragazza (Martina, ma lui non la conosce), che di tanto in tanto gli lancia qualche sguardo. Quando resta sola, il signore — che sapremo poi essere l'«avvocato» Santelía — s'avvicina e le chiede crudo crudo se è una prostituta. Lei risponde: «No, mi dispiace; quello ch'è appena andato via è mio marito e ora qui sto aspettando un amico» (durante la nottata, Santelía osserverà ai compagni di gioco che quel «mi dispiace» avrebbe potuto significare: «mi dispiace di non esserlo, perchè altrimenti avrei potuto accettare la sua offerta di compagnia» e quelli gli danno ragione.

Quella sera (è la sera di Natale) quattro vecchi amiconi bolognesi — Franco, possessore d'un cinema al centro di Milano; Lele, un giornalistuccio da strapazzo piuttosto squattrinato; Stefano, direttore di palestra che pare abbia relazione con una donna solo per nascondere certe sue lentezze d'altra sponda; Ugo, un presentatore di tv privata in crisi di lavoro, col quale Franco ha rotto da tempo forse per Martina, ma col quale aveva combinato prima scherzi feroci e imbrogli al gioco — si ritrovano in una villa imprestata da amici di Stefano per una nottata a poker con un avvocato milanese, Santelía appunto, portato da Ugo e sconosciuto agli altri.

Per accogliere l'invito di Lele a quella nottata, Franco ha dovuto fingere a casa un improvviso viaggio d'affari a Roma, durante il quale però fingerà anche un guasto di macchina in autostrada; Ugo rifiuta l'invito della madre e della moglie (dalla quale vive separato) di passare il Natale con i suoi quattro figli, con la scusa d'un'importantissima riunione d'affari; anche Stefano e Lele devono inventare scuse.

Franco arriva all'albergo di Bologna dov'è atteso da Lele. Qui attua col telefono la pantomina dell'incidente e viene a sapere dall'amico che è stato Ugo a organizzare la partita. Rifiuta di partecipare. Alla villa, i nostri arrivano l'uno dietro l'altro, con viveri e bottiglie. Timore che Franco non venga. Finalmente arriva anche lui e tutti fanno inutili tentativi perché si riconcili con Ugo. Poi il gioco, come un rituale.

La lotta ben presto si restringe praticamente tra Franco e l'avvocato, con chiaro disappunto di Lele, che viene invitato dall'avvocato a lasciare il tavolo. Franco sta vincendo forte; fino a quando chiede — e perde (lui che in quel momento è carico di debiti) — un «vedo» da 200 milioni lanciati dall'avvocato. Ritenta, lanciando con un «servito» 50 milioni, cui l'avvocato risponde chiedendo 3 carte e rilanciando a 250 milioni. A questo punto, Franco ch'era speranzoso resta ovviamente perplesso. L'avvocato gli offre un regalo di Natale: gli perdona tutto il debito a patto che se ne vada subito, senza voler sapere la vera situazione delle carte. Cosí Franco vuol «vedere» e perde.

È l'alba. Il gruppetto si scioglie. Lele se ne va addoloratissimo. L'avvocato dà a Ugo l'assegno ovviamente pattuito in anticipo, riconoscendo d'aver rischiato forte, facendo perno però sulla passione per il gioco di Franco, e se ne va con un taxi alla stazione. Stefano segue Lele. Franco, nel salutare Ugo, intuisce e ha conferma che questi, d'accordo con Santelía, un «professionista», aveva preso di mira lui quale pollo da spellare, come con lui, ai bei tempi, aveva preso di mira altri e come quella stessa notte si stavano mettendo d'accordo di continuare a fare.

Franco si avvia intontito alla sua camera d'albergo e nel corridoio si urta, senza riconoscerla, con Martina — la ragazza che piú aveva contato nella sua vita e che quella notte gli è venuta in mente piú volte e che proprio quella notte avrebbe voluto sentir vicina — la quale sta uscendo da una camera con un cliente.

Il racconto. Sotto il profilo di struttura, noterei anzitutto che il film si apre con la divertente scenetta dell'avvocato al ristorante (una Martina sconosciuta), cui segue la dettagliata presentazione dei quattro amici, e che si chiude col triste andare nel corridoio di Franco verso quella camera d'albergo testimone della sua beffa alla moglie, dove si urta con una Martina non riconosciuta (ma lei riconosce lui senza peraltro farsi notare), dopo che gli altri quattro se ne sono andati, ciascuno per conto suo. Noterei ancora che durante il film Martina ritorna varie volte, ma vagheggiata nel ricordo; il tutto nel contesto di una partita a poker preparata a spellare il pollo. Mi pare che ne risulti una chiara indicazione del protagonista del film, cioè «questa gente, oggi» (i quattro amici, la ragazza, l'avvocato e, di riflesso, il mondo che ruota loro attorno) e dell'aspetto sotto il quale «questa gente, oggi» viene considerata.

Piú precisamente.

I quattro amici sono presentati con approfondimento psicologico: all'inizio in quella che è la loro situazione personale (famiglia e lavoro), ma in tutto il film sotto il profilo del loro essere «amici»: si va dall'ingenuo Lele, al traditore Ugo, all'ambiguo Stefano. Abbiamo cosí quattro diverse situazioni, in un unico contesto ch'è quello dell'amicizia. Ma è questo — in realtà — l'essere amici? E l'autore sembra rispondere: «Oggi pare proprio di sí! Ma — appunto! — si può chiamare amicizia, questa?». Cosí, da questo strano modo di vivere un'amicizia sentita eppure fasulla, si risale a ciò che quegli «amici» — in forza di essa — fanno nei confronti della vita (situazione personale). Si potrebbe dire che quei quattro non diventano, ciascuno, emblematico della propria situazione e del proprio comportamento, bensí tutti insieme (è l'elemento amicizia che dà questa chiave di lettura) lo diventano di una situazione generale. P.e. Franco, per quanto individualizzato al massimo (è questo preciso individuo, con questa sua precisa realtà personale), non è emblematico del marito che lascia la famiglia proprio la notte di Natale per andare a giocare, per di piú d'azzardo, con degli amici, oppure del giocatore tanto appassionato da mettere in crisi il proprio lavoro e la propria famiglia, bensí dell'uomo moderno i cui valori interiori sono sfaldati, con sí una sorta di nostalgia per essi, ma senza decisione di mettersi a ricostruirli. Analogamente si può dire degli altri, pur ciascuno con situazioni diverse o addirittura opposte (p.e. l'opposto modo di essere amici di Lele e di Ugo). Ne risulta cosí un quadro emblematico di comportamenti odierni, nella civiltà del benessere, nei confronti della famiglia, del lavoro, del gioco, del divertimento, ecc.

La ragazza viene presentata in due chiare vesti: quella reale (le due scene dell'inizio e della fine) e quella rivissuta nel ricordo. Nella prima veste, la si potrebbe dire l'arrampicatrice sessualmente incontentata; nella seconda invece è la bella creatura agognata, femminilmente sfuggente, ma dolce e amica. Per questo personaggio non c'è approfondimento psicologico, c'è solo ambientazione. Anch'essa rappresenta uno squarcio di vita, ma il suo valore emblematico dipende da quello dei quattro amici: cioè viene a far parte di quella «situazione generale».

L'avvocato, lo spregiudicato professionista del gioco d'azzardo, la cui profonda soddisfazione è certamente quella di vincere, ma ben piuttosto è quella dell'intelligenza dell'introspezione psicologica, anche (e forse proprio per questo) nel rischio dle bluff. Non a caso, durante il gioco, parlerà di quello strano approccio con la ragazza al ristorante. Questo personaggio non è ambientato come tutti gli altri, bensí è messo lí — glaciale e grifagno — a dominare come aquila la situazione, anche quando sta perdendo al gioco, perché il suo valore è l'intelligenza ch'è vero valore (sebbene ovviamente non sia valore usarla solo per il male). Anche la sua emblematicità dipende da quella dei quattro «amici», benché egli apporti il valore emblematico dell'intelligenza, pur usata male moralmente che è il profilo sotto cui quelli diventano emblematici. E anche questo, ovviamente, è uno squarcio di vita.

Ma questi tre tipi di personaggio — gli amici, la ragazza, l'avvocato — si vengono a comporre reciprocamente nel quadro, in forza del vicendevole rapporto in cui sono collocati dall'autore: non a caso, p.e., la ragazza che Santelía incontra è la stessa Martina ch'è, per cosí dire, la donna del gruppo e in particolare di quel pollo ch'egli si accinge a spellare (senza la funzione di cui sto dicendo, la ragazza del ristorante avrebbe potuto benissimo essere un'altra donna); cosí pure, sempre p.e., Franco e Ugo parlano del loro trascorso di... spettatori e stanno quasi accordandosi per esserlo ancora. Insomma, dall'inseme di cosí diversi personaggi e situazioni, salta fuori un unico quadro, fatto di tre zone perfettamente concorrenti all'unità strutturale — narrativa in funzione tematica — dell'insieme.

C'è poi l'aspetto spettacolare: una specie di thrilling, ricercato  nella struttura dei singoli episodi (p.e. la scenetta dell'inizio, quella del dubbio se Franco verrà a giocare, quella dell'offerta del «regalo di Natale») e dell'insieme (una storia quasi a giallo, soprattutto per la partita, ma anche per Martina e per l'avvocato), alimentato e nutrito e, vorrei dire, dosato con i consueti ingredienti della curiosità (chi è questo strano signore del ristorante? come andrà a finire la storia? cosa succederà con questa Martina?) e della novità (una partita a poker che occupa gran parte del film, con notevole bravura anche cinematografica — quasi una scommessa — per sostenerla), del sorriso, dell'ironia, perfino dell'erotismo velatissimo, del dramma; il tutto con un ritmo coinvolgente: se fossi tu a quel posto?

Tematicamente, non direi ch'è un film a tesi; oserei dire invece ch'è un film-documento (non «documentario», ovviamente): un film cioè che intende tracciare un quadro d'un certo mondo attuale, senza teorizzare o definire valutazioni, prendendo però chiare posizioni.

Il film è chiaramente ambientato nei dintorni della ricca e grassa Bologna; ma, per il modo in cui è realizzato, quel «certo mondo attuale» non è la sola Bologna & dintorni: il quadro che risulta è piú ampio e il livello di universalità piú alto. O, meglio, la costatazione che l'autore fa nella sua zona geografica gli ispira una considerazione ch'egli probabilmente non vuole universalizzare molto al di là di essa, ma che di fatto la trascende per toccare la situazione comportamentale e sociale nell'odierno mondo del benessere.

Data questa natura del film, l'idea centrale non è facile da esprimersi o, meglio, si potrebbe esprimere in troppe maniere diverse, pur rispecchiando tutte la sostanza tematica del film. Ne proponiamo una: «questa nottata di poker è emblematica di tutta una perdita d'equilibrio e di dominio di sé (p.e. la passione per il gioco), di tutto un capovolgimento ma anche disfacimento di valori (p.e. il dominio dell'intelligenza usata per il male, il denaro necessario alla vita buttato nell'inane soddisfazione di giocare fino in fondo, il rapporto nella famiglia e con la famiglia, un certo modo di considerare l'amore), presi essi stessi dall'uomo contemporaneo quale valore (se quelli fanno quel che fanno, anche con la sofferenza che comporta, evidentemente vi trovano un qualcosa che, almeno per loro, vale); che però come boomerang gli si rivolta contro (la tristezza finale di Franco, ma di tutti escluso l'avvocato) ed egli non è piú nemmeno in grado di rendersene conto e di reagire, anche perché non ha piú la forza di aggrapparsi là dove potrebbe aggrapparsi (il pensiero del lavoro e della famiglia, per Franco, per avere il dominio sulla passione; l'amore vero per Martina; l'amicizia per gli altri)».

Un'idea centrale, come si vede, apparentemente vaga e indefinita, quasi lontana da quella storia di poker, eppure precisa e forte, almeno come costatazione d'una realtà morale e sociale odierna.

Cinematograficamente, il film è molto ben concepito e ben diretto: la struttura, come ho cercato di far vedere, è vigorosa e tematicamente efficace. Ma il film è anche magnificamente recitato, certamente come capacità dei singoli attori, ma soprattutto come forte e sicura direzione. Particolarmente il personaggio dell'avvocato, il professionista dell'intelligenza del bluff, esprime con forza non comune quel dominio sulla situazione di cui abbiamo detto.

Moralmente, il giudizio non può essere che positivo sotto il profilo dei contenuti tematici, i quali però forse difficilmente saranno colti nella loro profondità, mentre è facile che ci si fermi a cogliere e a valutare i singoli comportamenti o al massimo a trovare un ammonimento contro la passione del gioco d'azzardo. Sperando però che non si ripeta anche qui lo stimolo all'imitazione, com'è successo a suo tempo per la roulette russa con IL CACCIATORE o per lo spirito di violenza con i vari RAMBO. (Nazareno Taddei sj)

 


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