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13a EDIZIONE DEL GALLIO FILM FESTIVAL (26 luglio - 1 agosto 2009)


di MICHELE SERRA

Complimenti, il festival ha superato se stesso nello scorrere sempre in salita da 13 anni sugli schermi di Gallio: è stato senza dubbio il miglio festival dei precedenti! Questo per quanto riguarda la partecipazione del pubblico, spettatori capaci di occupare più volte l’intera sala e di intervenire con domande e osservazioni al termine di ogni proiezione, soprattutto quando era presente qualche cineasta, il regista, lo sceneggiatore, i tecnici e agli attori del film appena passato sullo schermo.

Un piacere veramente per tutti gli abitanti dell’altopiano di Asiago e per i villeggianti il potersi confrontare con una forma d’arte complessa e tanto stimolante com’è un’opera cinematografica.

E, dicevo, il festival non ha deluso, neppure i film più semplici nella loro struttura hanno avuto particolari sbavature nel linguaggio e nella tecnica delle riprese.

Ha stupito che film di 90 minuti siano costati non le cifre esorbitanti dei prodotti commerciali, ma addirittura solo 1000 euro o al massimo 20 mila, dimostrando così che l’espressione per immagini in movimento è ora possibile a tutti coloro che hanno idee e capacità di raccontare storie, spesso affascinanti e trascinanti, altre volte problematiche e provocanti. Ma è anche parso chiaro che ci vuole la solidarietà di amici per realizzarle, pur non essendo attori, sceneggiatori e musicisti non professionisti, e montatori per sistemare con il dovuto ritmo tutte o parte delle sequenze girate in digitale, collaboratori che hanno appreso il mestiere “sul campo” mentre il film procedeva. Il regista, in questi casi, era la guida, il sovrintendente e l’animatore della troupe e l’entusiasmo la molla fondamentale del lavoro.

Il moto del festival è stato, infatti, “non contano i soldi… Contano le idee”.

13 film in gara per i 6 premi in palio, 13 film che ha messo a dura prova le competenze della giuria, che contava, fra gli altri, su registi quali Emidio Greco e Fabio Rosi, su Paolo Cottignola, montatore di molti capolavori di Olmi e sul produttore Gianluca Arcopinto.

Altri film e documentari, già affermati e scelti tra le opere dei più grandi registi italiani, hanno arricchito gli otto giorni del festival.

Se anch’io dovessi scegliere, al di là della selezione ufficiale della giuria, che ha ritenuto miglior film Un altro pianeta di Stefano Tummolini e migliore attore dello stesso film Antonio Merone, prenderei in considerazione opere che hanno lasciato un segno sugli spettatori. Tre film in particolare spero di rivedere anche sugli schermi del circuito commerciale: L’estate d’inverno del giovanissimo Davide Sibaldi (19 anni quando girò le riprese proposte solo ora, che di anni ne ha 22); è stato il film più votato dal pubblico, Mar Nero di Federico Bondi, vincitore per la sceneggiatura e per la regia e Terre Rosse di Dennis Dellai, premiato con un riconoscimento speciale della giuria e del pubblico.

Ricordo pure con simpatia il film documentario Rumore Bianco di Alberto Fasulo, Tre lire primo giorno di Andrea Pellizzer, Zoé di Giuseppe Varlotta; l’impegno dei registi li rende degni di rispetto e di attenzione. Abbiamo visto poi La Siciliana ribelle di Marco Amenta, che ha portato a Veronica D’Agostino il premio per la migliore attrice.

Sono stati inoltre proiettati e ammirati per motivi diversi La casa sulle nuvole di Claudio Giovannesi, Una notte di Toni D’Angelo, Aria di Valerio D’Annunzio, Non lo so di Alessandro e Cristiano De Felice, Dall’altra parte del mare di Jean Sarto.

L’Estate d’Inverno sbalordisce, se confrontato con tante recenti prodotti dell’attuale cinema italiano, perché in un’età così giovane, il milanese Sibaldi ha composto un’opera matura e complessa, emozionante, sorretta da un incalzante montaggio e dall’interpretazione dei due bravissimi attori, unici personaggi costantemente inquadrati all’interno di una stanza.

Si tratta di uno psicodramma curato con vera tenacia, cultura e passione. Nella struttura del film, si rincorrono gli elementi classici di questa forma espressiva d’origine teatrale, quali l’unità di tempo e di luogo e che vede il confronto tra un giovane italiano e una prostituta, siciliana trapiantata al nord, in una camera d’albergo nella fredda e piovosa Copenaghen. Tutti e due sono perseguitati da sentimenti e complessi di colpa ed è per questo che Christian chiede a Lulù di concedergli non un’ora di sesso, ma di reciproca confessione.

La schermaglia dialogica tra Christian e Lulù aumenta d’intensità emotiva con un’intelligente gestione del primo piano; le riprese variano con la rapidità che rende ancor più lancinante il dialogo e danno maggior sottolineatura alle battute. Così il confronto tra i due, che procede verso una verità a cui viene tolta la maschera accumulata nelle esperienze precedenti, assume ancor più significazioni psicologiche ed esistenziali.

Ne esce quindi un film altamente drammatico, che introduce lo spettatore in un clima di intensa partecipazione e identificazione.

Pare evidente che nella formazione del regista ha fatto breccia l’insegnamento di Ingmar Bergman a proposito del personaggio, del suo doppio e della maschera. 

Mar Nero è un bellissimo film di Federico Bondi. Tutto sommato, è un’opera semplice che racconta il rapporto tra l’anziana Gemma (Ilaria Occhini) e Angela, sua nuova badante rumena (Dorotheea Petre). A livello di azione, non c’è di più, salvo che nella seconda parte la storia si sposta in Romania, dove Gemma ha voluto seguire Angela in cerca di suo marito.

Limato ogni contrasto caratteriale ovvio all’inizio di un rapporto, il loro stare insieme si connota di sincera amicizia e di reciproco rispetto.

E’ quindi una storia intimista, in cui la cinepresa indaga pudicamente nell’ambiente e dei cuori delle due donne con riprese, inquadrature e movimenti di macchina assai aderenti alla vicenda, che diventa un racconto assai personale del bravo regista, il quale intende così ridare vita ai suoi ricordi, di quando andava a trovare nonna Gemma e la sua badante e rimaneva avvolto dall’atmosfera ricreata dalla reale affettuosità e dalle loro vicende.

Ho cercato di non stravolgere la dimensione privata, il tono “intimo” di questa storia - afferma Bondi davanti al pubblico di Gallio - .Ciò che più mi premeva era restituire Gemma e Angela nella loro autenticità. Ho cercato di adottare una forma essenziale, limpida, asciutta, priva di artifici e compiacimenti stilistici, tutta tesa in direzione degli attori e dell’essenza drammatica della scena”.

Terre Rosse è una zona dell’Alto Vicentino, teatro di vicende tipiche dell’occupazione nazista e della guerra partigiana. In esse si sviluppa una storia che fa da sfondo non solo alle crudeltà e al dolore, ma anche a un amore appassionato tra la maestrina di uno di quei paesetti e un funzionario fascista.

Gli episodi che il regista Dennis Dellai accumula sono costruiti con bravura e molta sensibilità, ma poco avrebbe fatto senza l’adesione amorosa delle numerose comparse, dei figuranti e dei vari interpreti. Quando la conclusione stava apparendo scontata per via dell’incapacità del giovane fascista di scegliere tra l’amore e la sicurezza del suo lavoro, egli torna invece sui suoi passi, non più condizionato dalla sua precedente scelta ideologica. Potrebbe essere un lieto fine, ma la loro vita appare segnata dal destino, che in tempo di guerra non è mai delicato e confortante.

Oltre al film in sé, che ha davvero coinvolto il pubblico con un vigore tale da riempire la sala di lunghi commossi applausi, è piaciuto molto il racconto che il regista e l’attrice, l’intensa Anna Bellato, hanno fatto davanti alla sala gremita. Si è capito che il film nasce da un’idea di Dellai; essa ha tanto appassionato i suoi collaboratori e gli abitanti delle Terre Rosse che il film si è subito sviluppato come vera opera collettiva. Lo si vedeva dalla cura con cui è stata preparata la scenografia da un amico “non del mestiere”, Johnny Fina, l’attenzione portata alla sceneggiatura da parte di Dellai stesso e di Giacomo Turbian, “non del mestiere”, come poi erano ben lontani da potersi chiamare cineasti tutti gli altri collaboratori. Anna Bellato è stata davvero stupenda con la sua partecipazione impostata su toni realistici e altamente espressivi ed anche il suo partner Davide Fiore ha saputo creare un personaggio assai credibile e turbato dagli avvenimenti ed inizia lentamente a maturare una crescita di consapevolezza. (Michele Serra)

 


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