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MALIZIA



Regia: Salvatore Samperi
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Edav N: 7 - 1973
Titolo del film: MALIZIA
Cast: regia, sogg.: Salvatore Samperi – scenegg.: Ottavio Jemma, Sandro Parenzo, Salvatore Samperi – fotogr.: Vittorio Storaro – mus.: Fred Bongusto – mont.: Sergio Montanari – interpr.: Stefano Amato, Laura Antonelli, Tina Aumont, Lilla Brignone, Pino Caruso, Gianluigi Chirizzi, Grazia Di Marzΰ, Turi Ferro, Angela Luce, Alessandro Momo – durata: 99’ – colore – VM 18 – CCC: IV – produz. CLESI – origine: ITALIA, 1972 – distrib.: CINERIZ (1973) – dvd: Durium Home Video, Warner Home Video (Gli Scudi)
Sceneggiatura: Ottavio Jemma, Sandro Parenzo, Salvatore Samperi
Nazione: ITALIA
Anno: 1972

SALVATORE SAMPERI, nato a Padova il 26 luglio 1944 e morto a Roma il 4 marzo 2009. Il suo film piú celebre è stato sicuramente MALIZIA. Vogliamo ricordarlo  pubblicando la lettura strutturale che P. Taddei fece, all’uscita del film, nel 1973.

  

La Vicenda. In Sicilia. È morta la moglie d’un commerciante di stoffe, lasciando tre orfani, il primo già giovanotto, il secondo adolescente, il terzo ancor bambino. Lacrime piú o meno sincere e condoglianze. Nel discorso funebre, il parroco ha detto che lo spirito di Margherita aleggerà sulla casa. Di ritorno dal funerale, trovano che una graziosa servetta – assunta dalla morta qualche giorno prima di defungere e arrivata lí proprio quel giorno – ha messo a posto tutto, ha preparato la cena ecc. ecc. Insomma è proprio un tesoro di ragazza. E tutti i nostri maschi, in un modo o nell’altro, ne restano presi. Il figlio grande tenta di godersela, ma lei rifiuta decisamente senza peraltro dir niente al papà; l’adolescente le dona una rosa rossa al giorno e se la crogiola con gli occhi e col desiderio da adolescente (nonostante che, volendo, abbia possibilità di qualcosa di piú sia con la sorella d’un suo amico, al quale tuttavia narra di grandi…conquiste erotiche con la servetta, sia con «il piú bel [puntini] della città» che segretamente spera di rimpiazzare l’amica Margherita nel talamo di quella casa); il piccolino ha trovato praticamente una nuova mamma e non avverte molto il passaggio, se non quando l’adolescente lo sollecita a invocare nella notte la madre; il papà infine decide un po’ alla volta di sposarla.

Senonché, strani avvenimenti fanno pensare a questo papà che lo spirito della moglie aleggi un po’ troppo su quella casa allo scopo di impedirgli di convolare a seconde nozze. Questi strani avvenimenti – vetro rotto di notte in negozio con successivi urli di sirena; il piccolino che invoca la madre; l’adolescente che dice di sognarla corrucciata, ecc. – sono procacciati dall’adolescente che vede con gelosia l’intrecciarsi degli interessi, del fratello prima e del padre poi, attorno alla serva.

È una specie di frenesia erotica quella che ha preso l’adolescente: non le lascia pace, la umilia, la vuol vedere nuda (e la fa vedere anche all’amichetto), non sa nemmeno lui quello che vuole. Finalmente una sera di temporale, con la luce ch’è venuta meno, l’adolescente tormenta la ragazza col raggio di una torcia elettrica; e la ragazza esasperata ed eccitata gli ritorce il gioco e lo porta per la prima volta all’orgasmo.

Da quel momento, tutto è sbloccato per il matrimonio del papà: dal finto al di là, la madre acconsente alle nozze.

E alle nozze, lacrime e baci piú o meno sinceri e felicitazioni.

E il film finisce col bacio dell’adolescente alla ragazza che quindinnanzi dovrà chiamare mamma, suggellato dalle parole: «Auguri, mamma!». 

Il Racconto evidenzia l’arco tra i due riti del funerale e delle nozze, nel quale è compresa tutta la storia. C’è una mamma all’inizio e c’è una nuova mamma (ma quale mamma?) alla fine. E il film, in certo senso, è lo scontro tra queste due mamme, tanta è l’insistenza con la quale l’autore sottolinea la presenza della defunta in contrasto con quella della futura «mamma».

Il Racconto, poi, evidenzia il comportamento della ragazza, sia in rapporto a se stessa (bravissima donna di casa, che si affeziona subito a tutti e sa anche stare al suo posto, nonostante tutto quello che succede), sia soprattutto in rapporto all’adolescente. C’è, a questo proposito, la sottolineatura dell’esasperazione alla quale egli la porta, tanto da acconsentire – pur d’essere lasciata tranquilla e di tranquillizzare – a mostrarglisi nuda (anche sapendo che Ninuzzo aveva portato il suo amico) e, alla fine, da provocarlo fino all’orgasmo. Questo momento poi è realizzato col giochetto della torcia elettrica che pone la ragazza e non il ragazzo quale protagonista della lunga e insistita scena.

Il Racconto finalmente evidenzia la crisi di pubertà dell’adolescente sviscerandolo in parecchi risvolti psicoesistenziali, inquadrati piuttosto chiaramente in una concezione «siciliana» del maschio: la scena della carta buttata per terra e quella del libro e, prima ancora, quelle del reggiseno e delle mutandine da levarsi sono indicative in proposito.

Questi tre grossi perni strutturali, se ben si osserva, solo apparentemente coincidono tra loro in funzione d’unità espressiva; o – se si vuole – coincidono solo a livello narrativo, che tuttavia è troppo caricato tematicamente per farli considerare livello narrativo di vicenda e troppo poco congiunti tematicamente per farli considerare livello narrativo di racconto. Scompenso strutturale notevole.

Infatti, il protagonista del racconto – che troppo apertamente dovrebbe essere l’adolescente – si trova a dover contrastare la preminenza col peso strutturale sia della ragazza, sia anche del fatto «mamma». Sotto questo profilo, addirittura, l’accennata scena nella torcia distoglie violentemente dal ragazzo, per portarlo sulla ragazza, il sostegno strutturale: il ragazzo subisce e non sostiene l’azione (sotto il profilo immagine, ovviamente), come pure anche narrativamente subirà l’iniziativa sessuale di lei.

D’altra parte, protagonista non può essere la ragazza perché è lei a ruotare attorno a una situazione generale, particolarmente attorno alla situazione di Ninuzzo, e non la situazione a ruotare attorno a lei. In altre parole, a livello di vicenda tutto s’accende in quella storia perché lei è entrata in quella casa; ma a livello di racconto (cioè mezzo espressivo) sono le situazioni generale e di Ninuzzo a condurre la storia. (Forse è per questo equivoco di lettura, in parte scusato dallo squilibrio strutturale, che qualche critico ha visto il film quale la storia della scalata sociale della ragazza).

Né si può dire che protagonista sia il tandem ragazza e ragazzo, sia perché ha troppo peso l’elemento «mamma», sia perchè – tranne che nella scena della torcia – la ragazza subisce e non sostiene le azioni, sia perché c’è squilibrio di sviluppo interiore dei due: lo sviluppo della ragazza è solo narrativo (esclusa, ripeto, la scena della torcia), mentre quello del ragazzo è sostanzialmente tematico.

Pertanto, da una struttura sifatta, si coglie l’intento dell’autore (una crisi adolescenziale in un preciso contesto sociale di rapporto tra «maschio» e donna), che tuttavia non riesce a essere idea centrale vera e propria.

Ma anche posto e non concesso che l’idea centrale non fosse rimasta allo stato di intenzione, ci sarebbe da dire che essa non assurge a universalità (il caso di Ninuzzo, cioè, non diviene emblematico), poiché la collocazione «siciliana» che l’autore fa per rendere credibile la sua storia mutuando veridicità a tante azioni che gli servono, e lo stesso accentuare il rapporto con la ragazza mediante quella specie di rifuto della sorella dell’amico e della formosa amica della madre, fanno trattenere la storia sul piano dell’individuo Ninuzzo. E ciò, nonostante l’aderenza di molte situazioni descritte a quanto succede nelle crisi puberali.

C’è poi quel perno «mamma» che colora – direi senz’altro: ambiguamente e anche poco spontaneamente – tutto il racconto, mostrando una volontà di imporre dall’esterno una significazione alla storia.

Infatti, a questo preciso proposito, direi che si ha l’impressione che l’autore abbia visto autobiograficamente (o giú di lí) una situazione adolescenziale di sensazioni, immagini, fantasie erotiche ecc. – che egli sa bene essere ed essere rimaste per lui a quello stato di «figurazione» interiore – cui ha dato corpo in una realtà schermica, che resta pur sempre «finzione», ma che egli presenta come reale.

L‘orgasmo iconico della scena della torcia è estremamente indicativa. Avrebbe potuto essere valida in altro contesto, ma qui mostra la corda di un qualcosa «voluto dire» e non detto «perché vero».

Manca dunque coagulo strutturale, manca vera dizione tematica, manca in una parola il film. E ciò, nonostante un’ambientazione iconica (p.e. le scenografie di quella Sicilia… familiare; il colore della fotografia, la scelta dei personaggi e la loro recitazione), un ritmo filmico, una resa di singoli dettagli o episodi veramente efficaci.

La valutazione cinematografica ed estetica è già praticamente detta in quanto qui sopra osservato. Quel giudizio sintetico «discreto» che qualche giornale ha dato al film è forse il piú vero, se si prende però la parola «discreto» come limite di e non apertura verso un valore.

La valutazione tematica non può essere piú positiva: si può valutare quello che l’autore voleva dire e non quello che ha detto.

Quello che ha detto è un discorso confuso, eterogeneo, con alcune cose attendibili in se stesse, ma non in funzione dell’insieme. Un discorso farfugliato che, al limite, può anche fare pena, soprattutto se si considera quel voler a ogni costo inserire il discorso «mamma» in un contesto di quel genere. A un dato punto è un’ossessione morbosa, non è piú una costatazione psicologica o sociologica: va bene (con riserva) il discorso di CUORE DI MAMMA; va bene (ancora con riserva) il discorso di GRAZIE ZIA; va bene anche (forse con minori riserve) il discorso sulle crisi puberali esasperate da una certa educazione; ma a un dato punto… parla dei fanti e lascia stare i santi! Cioè, se la tua crisi puberale è stata di quel genere e la vuoi proprio raccontare (e forse il discorso sarebbe stato piú valido e piú interessante), raccontala, ma lascia perdere la Sicilia – Samperi non è siciliano – e tutto quello che non c’entra; se poi quella tua crisi t’ha lasciato un’ossessione dalla quale non sei ancora riuscito a liberarti, non metterti a fare il lanciatore di messaggi. Liberati e buona notte!

Piuttosto, dietro alle intenzioni tematiche occhieggiano ripetuti accenni di intenzioni consumistiche e spettacolari. Dall’ambientazione siciliana, ivi compresa la figura della nonna e dell’amico sacerdote, alle battutine spettacolarmente carucce del figlio piccolino, all’erotismo raffinato (ma molto meno di quanto Samperi non pensi: cfr. sue interviste alla stampa), il film si fa vedere e chiama gente ben al di là dei suoi valori tematici. E che sia stata questa preoccupazione consumistica a snervare la serietà tematica? Non siamo ancora ai limiti della pseudotematica, ma non ne siamo molto lontani.

Che se questa impressione di volontà consumistica corrispondesse a verità, ahimé, sarebbe la nota piú negativa per il film e per il suo autore. Un errore strutturale, un ruzzolone tematico, un intento spettacolare (sia pure per necessità di guadagnare qualcosa) sono pur sempre perdonabili; ma il mascherare tale intento con annunci di messaggio antropologico e sociale o, peggio ancora, presumere di far fesso il pubblico sbandierando stendardi culturali su qualcosa che si sa che non è, e che non si è voluto far tale, sarebbe ignobile. (Nazareno Taddei sj)

 


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