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FEDERICO FELLINI SU «LA DOLCE VITA»


di FEDERICO FELLINI

A trentatre anni di distanza, ripubblichiamo integralmente la dichiarazione di Fellini, apparsa nel numero di febbraio del mensile «Letture» di Milano, con la quale il regista presentava il suo film «La dolce vita». Nel numero di marzo dello stesso anno, sulla rivista usciva anche la «lettura strutturale» del film a firma di Nazareno Taddei S.J.  Per ulteriori approfondimenti si rimanda anche al volume TUTTOFELLINI e al n°214 (novembre 1993) di Edav.

Confesso che mi sento sempre un po’ imbarazzato quando devo presentare i miei film. So benissimo che questa è un’occasione molto simpatica che ci permette di guardare il pubblico in faccia e di farci guardare in faccia dal pubblico, offrendoci cosí la possibilità di spiegare, alla buona come si fa tra amici, perché si cerca una storia piuttosto che un’altra, e i motivi che ci hanno spinti a narrarla in questo determinato modo. Ma a questo punto il mio imbarazzo, invece di diminuire, aumenta perché io, per natura, sono incapace di teorizzare sulle mie cose e non mi riesce di fare una costruzione critica sui miei film: sarei molto piú a mio agio se invece di chiedermi schiarimenti su ciò che ho fatto mi invitaste a parlarvi di ciò che farò, cioè a raccontarvi un’altra storia. Dico questo per dovere di sincerità, perché, nonostante io abbia lavorato un anno e mezzo a questo film, nonostante abbia vissuto centinaia di ore sotto i riflettori con i miei personaggi, con i miei attori, nel cuore della mia troupe, non riesco a dirvi che cosa sia questo film. Tutt’al piú potrei dirvi quello che non è! Ecco: non è un film molto divertente nel senso che qualcuno si può aspettare: sí, ci sono degli episodi che spero riusciranno gradevoli, umoristici, divertenti: ma ciò nonostante, non è proprio quel che si dice un film divertente. Non è un film polemico, diretto contro questo o contro quello; non è un film satirico; non è un film grottesco; non è un film moralistico, perché non pretende di insegnare niente a nessuno. E non è neanche un film terrificante, benché faccia apparire qualche mostro del nostro mondo. Del resto come potrebbe essere terrificante un film che racconta le malinconie, le viltà, le aspirazioni represse, le velleità, la disponibilità, in senso buono e cattivo, di uno come noi? Perché Marcello, il protagonista, è proprio uno come noi. «La dolce vita» non è un film né pessimistico, né disperato: e il titolo non vuol essere affatto un’ironia. Mi auguro che vedendo questo film, alla fine tutti provino lo stesso sentimento che ho provato io nel farlo e che provo tuttora quando lo rivedo: il tentativo di sdrammatizzare personaggi e ambienti della famosa angoscia esistenziale, di guardarla bene in faccia, quest’angoscia, facendone quasi l’amicizia, dovrebbe restituirci un senso di liberazione, quindi di serenità. Per questo sostengo, e forse sono il solo a sostenerlo, che «La dolce vita» non è affatto un film amaro, un film pessimistico. Se poi qualcuno è disturbato da quel tanto di occasionale, di cronachistico, di giornalistico che è passato in esso, immagini, come faccio io, che all’inizio ci sia una didascalia di questo tenore: «Babilonia anno...» e vedrete che le cose funzionano lo stesso. (Federico Fellini)

 


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