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COME TU MI VUOI



Regia: Volfango De Biasi
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: 355 - 2007
Titolo del film: COME TU MI VUOI
Cast: regia: Volfango De Biasi – sogg.: Volfango De Biasi, Gabriella Tomassetti – scenegg.: Volfango De Biasi, Alessandra Magnaghi – fotogr.: Tani Canevari – mus.: Michele Braga – mont.: Stefano Chierchiè – scenogr.: Giuliano Pannuti – arredamento: Pasquale Tricoci – cost.: Monica Celeste – effetti: Stefano Marinoni – interpr.: Cristiana Capotondi (Giada), Nicolas Vaporidis (Riccardo), Giulia Steigerwalt (Fiamma), Niccolò Senni (Loris), Elisa D’Eusanio, Marco Foschi – colore – durata: 107’ – produz.: Marina Berlusconi per Medusa FILM – origine: ITALIA, 2007 – distrib.: Medusa Film (09-11-2007)
Sceneggiatura: Volfango De Biasi, Gabriella Tomassetti
Nazione: ITALIA
Anno: 2007

È LA STORIA DI GIADA, universitaria frequentante la facoltà di Scienze della comunicazione, di famiglia povera, bruttina e trascurata di aspetto, secchiona soddisfatta dei suoi eccellenti risultati nello studio, nervosa con atteggiamenti paranoici, sicura di sé in mezzo a persone di tutt’altro comportamento, tra compagne sofisticate, (che la compatiscono come una ragazza fuori dal mondo che non potrà mai attirare su di sé, come loro, l’attenzione dei ragazzi), che costituiscono per lei soltanto occasioni per prendere appunti sul loro modo di vivere come una ricercatrice d’antropologia sociale e da lei osservate e classificate, (senza preoccupazioni d’approfondimenti e senza mai lasciarsi condizionare da loro), come persone che nella vita attribui­scono importanza soltanto all’apparenza, (nota che venendo diretta dall’autore del film in quel particolare modo esagerato diventa ridicola!),  LA QUALE, dopo aver incontrato all’università il giovane collega RICCARDO, di famiglia ricca, (il padre - di condotta ambigua con la sua segretaria, tanto che si meriterà i rimproveri del figlio -, con il quale s’illude di riuscire a stabilire il dialogo trattandolo con generosa elargizione di soldi e con la promessa d’una vacanza all’estero), messo alle strette dal padre per non studiare e non sostere gli esami con la riduzione della paghetta, accortosi che Giada al loro primo incontro è rimasta tutt’altro che indifferente di fronte alla sua elegante e fresca giovinezza, accetta il consiglio d’un cugino coetaneo – esperto nel gioco d’amore ma vuoto, disinibito, abituato a valutare le ragazze dall’apparenza – di approfittare di Giada corteggiandola (pur mantenendo la relazione con la sua ricca fidanzata ufficiale) e chiederle ripetizioni personali pagate su una materia d’esame, nella quale Giada brilla e lui zoppica, soldi che certamente dopo qualche tempo la ragazza avrebbe rifiutato nonostante la sua modesta situazione famigliare, ma, non previsto, si innamora veramente di Giada ,che esercita su di lei un misterioso fascino dal quale cerca di difendersi decisa di non accettare di far parte del suo mondo borghese, preoccupato, (secondo lei), soltanto d’apparire, come le colleghe di studio, (che indossano vestiti firmati, partecipano a festini e frequentano discoteche di lusso; lei, da parte sua, è assimilata con loro nel modo gergale di esprimersi con abituali espressioni sboccate e volgari), anche se coltiva segretamente il desiderio d’essere come loro (è convinta che Riccardo la voglia simile a tutte le altre, elegante e disinvolta, tanto da decidere di diventare «come tu mi vuoi!»), lasciatasi convincere dai consigli di Barbara, sorella e coinquilina, coetanea, grassoccia, rassegnata al suo stato di emarginata dalla compagnia dei ragazzi, che mai riuscirà ad interessare con successo data la sua apparenza, – riaffiora il tema dell’apparire! –, fa di tutto per aprirle gli occhi sulla verità della vita e disincantarla dai suoi sogni ideali e tirarla giú dalle nuvole nelle quali cammina, vittima dell’ illusione che con fermezza sostiene, che cioè sia maggiormente importante nella vita «essere che apparire», e dai modelli di comportamento offerti dalle amiche all’avanguardia, avendo accettato di adattarsi alle attese di Riccardo e preoccupata di piacergli, dopo aver ceduto alle sue pretese amorose,  (il regista inserisce a questo punto una lunga sequenza dei due giovani a letto), dopo aver accettato il consiglio di sottoporsi al trattamento di ripulitura e restauro nel negozio d’un ambiguo estetista-sarto, avendo bisogno di soldi per acquistare vestiti e ninnoli firmati per piacergli sempre di piú, dopo essere stata assunta come cameriera ma in seguito licenziata dal padrone d’un ristorante per avere approfittato dell’impiego per rubare i soldi necessari alle spese per apparire come tutte le altre, avendo accettato l’invito di amiche invidiose di entrare nella discoteca, nella quale «avrà modo di rendersi conto della vera identità del suo innamorato», che vedrà comportarsi con troppa disinvoltura con le clienti del locale da ballo, rimanendo offesa dalla sua condotta, (nella quale del resto egli dichiarerà non esserci «niente di male»), avendo giurato che per lei Riccardo è morto, dopo aver affagottato i suoi ricchi vestiti destinandoli al cassonetto delle immondizie e aver riscoperto i vecchi stracci, dopo aver ottenuto dal suo ex professore universitario, ammaliato dal suo splendente apparire, la possibilità di carriera universitaria, trovandosi ad esercitare l’incarico di assistente del medesimo come esaminatrice degli studenti e vedendosi casualmente di fronte il candidato Riccardo,  al quale in un esame precedente aveva promesso di passare la soluzione d’un difficile problema ma che poi aveva abbandonato alla sua sorte per punirlo del tradimento subíto quando egli aveva preferito riportare a casa la ricca fidanzata invece di pensare a lei, trattandolo prima con distacco e freddezza, poi con superiorità ed infine premiandolo (ma non voleva punirlo?…) con voto assai superiore alla sua insufficiente preparazione, avendolo licenziato mentre egli si allontana dichiarandole «Giada, Io ti amo!», dopo aver improvvisamente abbandonato il tavolo d’esaminatrice rinunciando cosí alla futura carriera, avendolo raggiunto ed anzitutto rimproverato, («Tu mi hai rovinato la vita!»), accetta con trasporto e partecipazione il suo abbraccio, rimanendo tuttavia convinta di essere «rimasta quella di prima» senza aver cambiato nulla nella sua opinione che «nella vita è meglio attribuire maggiore importanza all’essere che all’apparire».  

Riferisco a questo punto la sequenza d’apertura del film.

Ascoltiamo un lungo applauso, seguito delle immagini d’una esibizione di giovanette discinte che partecipano con le mani dietro la schiena ad una gara televisiva: l’eroina premiata sarà quella che riuscirà ad ingoiare prima delle altre concorrenti un piatto di dolci, che le incornicerà il loro volto di panna.

Se fosse stata una felice trovata dello sceneggiatore del film per anticipare fin dall’inizio l’opinione che nella vita, come nei concorsi gare e giochi televisivi, sono l’apparenza e la presunzione di valori fasulli e di superficiali capacità umane che valgono e non le autentiche qualità delle persone, sarebbe stata una idea geniale. Purtroppo è stata soltanto la conferma d’una diffusa mentalità, della quale è rimasta vittima involontaria, almeno ad un certo punto!, anche la protagonista del film.

Il regista ha voluto mettere le mani avanti per dichiarare che egli racconterà una storia di vita concepita come un gioco televisivo, nel quale niente è vero e tutto è fiction?

* * *

Il lungo e prolisso film, (che sembra ogni tanto ricordare il gioco antico: «M’ama? Non m’ama?») è stato caricato con troppa carne al fuoco, che alla fine troviamo mal cotta e per conseguenza difficilmente digeribile.

Se la dichiarazione della pubblicità corrisponde alla verità, e cioè che il film è il primo lungometraggio del regista, come tale è compatibile nella mancanza di misura che lo caratterizza, sia nella durata dello spettacolo, sia nell’abbondanza degli argomenti sfiorati, del resto tutti di grande interesse ed attualità, come pure nell’alternarsi non sempre coerente dei due registri che ne regolano il ritmo, intrecciando la storia dei due giovani con gli elementi spettacolari di contorno, che nel film, destinato a giovani, non potevano mancare.

Lo spettacolo si presta a considerazioni estranee al suo autore, ma che possono tuttavia essere utili per la formazione della personalità dei giovani spettatori.

Senza cadere nel vieto moralismo, possiamo evidenziare qualche particolare angolazione del film.

Mi chiedo anzitutto se l’ipocrisia di nuovo tipo (di solito, infatti, l’ipocrita indossa una maschera con la quale sembrare migliore di quello che è; qui invece la protagonista si conforma alla massa rinunciando ad agire secondo quelle che lei s’illudeva essere le sue convinzioni) nella scelta di vita di Giada sia tollerabile sotto il profilo morale, dal momento che ella fa tutto soltanto perché ama Riccardo e non, (almeno come sembra fino ad un certo punto), perché sia convinta che nella vita, per fare successo in amore, sia necessario «apparire», come fanno le sue amiche.

La risposta dipende dalle convinzioni personali di chi fa quella scelta.

La protagonista del film non sembra avere alla base della sua coscienza principi positivi sotto il profilo etico. Il regista non accenna mai, neanche indirettamente, a tale problema.

È lecito, in secondo luogo, a persone e nel film ai giovani, amarsi nel significato oggi convenzionale di passare alle vie di fatto, quando due dichiarano sinceramente di volersi bene? È sufficiente volersi bene per fare poi tutto quello che piace? Secondo la morale cristiana, no.

Non si vuole giudicare la responsabilità soggettiva degli amanti; oggettivamente quel comportamento è disordinato.

L’amore sincero e disinteressato, come vuole apparire quello di Giada, può attenuare il grado di responsabilità della sua condotta, che però non può essere giustificata da criteri negativi, oggi quasi comuni. Il fatto che l’attuale mentalità non condivida l’impostazione di vita secondo princípi etici, rende forse meno deleterio, (almeno immediatamente), l’influsso del film sui giovani spettatori, i quali soggettivamente non si rendono conto, (forse), che oggettivamente certe scelte sono in contrasto con chi vive con coerenza secondo retti principi di condotta. Ma i giovani non riflettono. 

Film, dicevamo, con troppa carne al fuoco: problemi d’ineducazione famigliare (disaccordo dei genitori circa il modo di trattare con il figlio unico Roberto); cotte giovanili; disimpegno nello studio universitario, discussioni accademiche su «essere e apparire»; immaturità morale, anzi assenza di regole etiche; adulti esposti alle seduzioni femminili…

Sono tutti argomenti degni di considerazione, facenti parte della vita reale, sfiorati dal film come materia grezza di narrazione.

C’è qualche tentativo di approfondimento analitico della relazione di coppia dei due innamorati, Roberto e Giada, con insistenza verbale di lei con lui, che vuole andare al pratico senza discussioni.

Nel film si nota sempre la ricerca dello spettacolo: vedi i giovani in discoteca, evidenziando particolari esibizionistici; il dialogo dei genitori di Riccardo, in cui il padre sembra severo, ma in realtà donnaiolo, con la moglie che se ne meraviglia venendo a saperlo dal figlio, («che non doveva parlare in quel modo di lui davanti a sua madre!», lo rimprovera il papà); la madre che vorrebbe essere comprensiva e tollerante, («se non li spende lui i soldi, che li ha, chi li dovrebbe spendere?!»).

Elemento di spettacolo è anche la recitazione sopra le righe di Giada, brava a sostenere la parte della secchiona bruttina concupita da Riccardo, ma spinta sopra le righe dal regista, che cosí la rende buffa e ridicola. Sarebbe piú accettabile, se lei fosse timida: in realtà s’illude d’essere libera in confronto con gli altri che sono tutti «condizionati dai mass media», convinti che «il mondo oggi è di quelli come loro, belli-buoni-bravi», che lei compatisce e dei quali non vuole far parte.

Si prevede quasi subito che anche lei entrerà nel gruppo. Sarà la ricerca di piacere a Riccardo a convincerla di «essere» anche lei come le sue colleghe; Giada farà di tutto per assimilarsi a loro. Malgrado la scelta conformista, lei si illude di «essere» ancora la stessa di prima dichiarando che in lei niente è cambiato se non esternamente.

Riesce abbastanza incredibile che lei accetti, dopo qualche resistenza, di sottomettersi alla volontà di Riccardo desideroso di «conoscersi meglio». Il regista li fa distendere nudi sul letto ed insiste nella ripresa degli abbracciamenti reciproci, seguiti da promesse d’appuntamenti a distanza di tempo ravvicinata.

Ho assistito alla proiezione del film in mezzo ad un gruppo di preadolescenti di terza media: ammiccamenti e colpetti di gomito di due amici ed il commento saputello d’una ragazzina («Fanno finta!») sono state le reazioni da me notate durante la scena intima tra Riccardo e Giada.

Due gruppi di nuclei narrativi s’intrecciano in modo scarsamente verisimile, pur corrispondendo a reali circostanze della vita quotidiana dei personaggi e di coloro che li imitano nella vita reale: il primo, corrispondente alla quotidianità in casa dei due innamorati, lui con i genitori, lei con Barbara di qualche anno in piú, (amareggiata «perché nessuno la trova interessante»), prodiga di consigli sul modo di fare per attirare gli sguardi dei ragazzi; l’altro gruppo di episodi con ricerca dello spettacolo, che fanno da contro canto al primo filone lento e prolisso, diretti con ritmi di ripresa e di montaggio molto diversi e quasi in contrasto tra loro.

Alcune scene, quali il dialogo di Riccardo con il padre che lo vuole comprare con i soldi, o quello di Giada con il professore universitario che la sceglie per inserirla in un progetto di ricerca finanziato dallo stato per tenersela anche solamente vicina offrendole poi il ruolo di assistente per esaminare gli studenti che devono sostenere gli esami, sono puntelli deboli d’una sceneggiatura fragile che spesso scricchiola.

Altra insistenza, solamente verbale e quindi non cinematografica, è quella che si sviluppa nello scambio di punti di vista delle studentesse: è meglio «essere» o «apparire»? Senz’altro essere… ma non come Giada, che è fuori dal mondo!

Il film getta sullo schermo abbastanza alla rinfusa e sempre con intento spettacolare materiali che potrebbero offrire a buoni sceneggiatori elementi interessanti per piú d’un film. Il film si presenta come opera prima del regista e non poteva che essere cosí, soprattutto se l’autore ha previsto l’esito, che sembra confermare le sue speranze, di riempire le sale di gioventú spensierata e senza pretese educative, che qui sono del tutto assenti, eccetto quella «verbale», infine contraddetta dal comportamento della protagonista, che nella vita «forse» è meglio «essere che apparire».

Film, dunque, per ragazzi?

Sotto il profilo educativo, no. Per la loro preparazione alla vita il film è per lo meno pericoloso, se non dannoso. 

È LA STORIA DI GIADA, giovane povera, la quale, dopo aver resistito all’offerta d’amicizia del principe azzurro Riccardo, infine si adatta a rinunciare alle proprie idee per corrispondere all’amore del pretendente, e ad accettare, anche se poco convinta, la sentenza che nella vita è meno importante «essere che apparire». (Adelio Cola)

 


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