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CRIMINI SESSUALI E VATICANO: DAL FILM DELLA BBC AD ANNOZERO


di ANDREA FAGIOLI
Edav N: 352 - 2007

Sgombriamo il campo da possibili equivoci: certi fatti di cui parla il video SEX CRIMES AND THE VATICAN sono stati accertati e alcuni dei responsabili dei crimini sessuali nei confronti di minori sono stati giustamente condannati.

Detto questo, precisiamo subito che SEX CRIMES AND THE VATICAN, trasmesso in Inghilterra il 1° ottobre 2006 e in Italia da RaiDue il 31 maggio 2007 nella trasmissione di Michele Santoro ANNOZERO, non è un documentario ma un film. E come tutti i film ha un protagonista e una storia destinati a esprimere un’idea, quella del suo autore o dei suoi autori, anche se la cosa vale pure per i documentari (si veda al proposito il fondamentale saggio di padre Nazareno Taddei, Verità del documentario, ripubblicato di recente in EDAV n. 341, giugno 2006, pp.2-6). 

SEX CRIMES AND THE VATICAN, dunque, narra la storia del quarantenne irlandese Colm O’Gorman, il quale, dopo essere tornato a Ferns dove all’età di 14 anni subí violenze da parte di un prete, raccoglie, in giro per il mondo, le testimonianze delle vittime come lui di abusi sessuali da parte di sacerdoti, e intervista un esperto di diritto canonico, un ex monaco e un paio di avvocati. 

I modi cinematografici, che hanno poco a che fare con il documentario per il quale vorrebbe essere fatto passare SEX CRIMES AND THE VATICAN, sono molto precisi. Innanzitutto il film inizia con la testimonianza scioccante di padre Oliver O’Grady, sacerdote di origine irlandese processato in America e poi ridotto allo stato laicale. Inquadrato in primo piano, l’ex sacerdote ascolta una voce fuori campo (si presume il pubblico ministero) che gli dice di mostrare alla telecamera «come pensa di apparire quando commette un abuso sessuale, come se lo stesse facendo adesso». Il primo piano su O’Grady si stringe a scatti fino a diventare un primissimo piano. A questo punto l’uomo, con aria quasi compiaciuta racconta «come saluterebbe una ragazzina che sta approcciando».

Qui nasce un primo interrogativo: com’è possibile che durante un processo una telecamera, non solo sia ammessa in aula, ma possa essere piazzata (anche se fosse ad una certa distanza) proprio di fronte all’imputato e perché O’Grady quando ascolta il presunto pubblico ministero si volge verso destra, mentre quando parla dell’adescamento guarda nella telecamera? Normalmente, in America, non vengono ammessi in aula durante i processi nemmeno i fotografi ma solo i disegnatori.

Alla fine del racconto dell’imputato parte in sottofondo un suono di campane sulle quali lo spea–ker afferma che «invece di denunciare O’Grady la Chiesa lo protesse, nascondendolo alle autorità... In ossequio alle direttive segrete della Chiesa cattolica misero tutto a tacere. Responsabile di quella imposizione fu il cardinale Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI». Nel frattempo si sono viste le campane e soprattutto, su quest’ultima affermazione, si è visto Benedetto XVI, il giorno dell’elezione, che si affaccia al balcone di San Pietro.

Solo a questo punto arrivano i titoli di testa, che poi consistono nel solo titolo del film, SEX CRIMES AND THE VATICAN. Non viene indicato nessun regista, nessun autore. Solo nella primissima immagine di O’Grady appare in basso la sigla Bbc, l’emittente inglese che ha prodotto il film.

Il fatto che non vi sia nessuna indicazione di questo tipo serve agli autori a far credere ancora di piú allo spettatore che si tratti di un documentario.

A questo punto le immagini ci portano in Irlanda, nella diocesi di Ferns. Qui entra in scena Colm O’Gorman, «una delle vittime – dice lo speakear – tornata a Ferns per fare i conti col suo passato. All’età di 14 anni Colm fu violentato da padre Fortune». Colm che racconta viene inquadrato quasi di spalle, la sua voce è flebile, è all’aperto, sullo sfondo un cimitero. Poi, quasi di colpo, in un ambiente interno, comincia a parlare dritto nella macchina da presa: «La Chiesa locale sapeva che padre Fortune era un pedofilo, ma invece di informare la polizia cominciò a trasferirlo da una parrocchia all’altra. Quando esplose lo scandalo padre Fortune si ammazzò prima del processo». Solo a questo punto si viene a sapere che «adesso Colm dirige una associazione irlandese che si occupa delle vittime».

Colm comincia il suo giro d’interviste. La prima è ad Aidan Doyle, un’altra vittima di padre Fortune. I due arrivano in auto davanti ad un cancello chiuso dal quale si vede «la stanza in cui accadde, 40 anni fa...». Qui la tecnica prettamente cinematografica è evidente perché la macchina da presa si sposta di qua e di là dal cancello (che narrativamente è chiuso): da una parte per fare inquadrature in cosiddetta soggettiva, ovvero come con gli occhi di chi parla e puntare la finestra della stanza dei misfatti; dall’altra per far vedere Doyle all’esterno, ma comunque dietro un cancello che dà l’idea dell’essere imprigionato, come a dire che Doyle oggi è solo apparentemente libero perché in realtà è sempre prigioniero delle violenze di padre Fortune.

L’immagine di un tramonto nuvoloso, che conferma il significato delle inquadrature precedenti, serve anche come stacco per la seconda parte dell’intervista che si svolge in casa di Aidan. Si comincia a parlare di segreto confessionale e soprattutto del documento Crimen sollecitationis del 1962 con la macchina da presa che indugia sulla scritta «confidential» («riservato»), che appare persino posticcia, comunque molto piú evidente di tutto il resto del testo i cui brani piú significativi (ovviamente secondo gli autori del film) vengono estrapolati, con tecnica anche qui prettamente cinematografica, e portati in primo piano. In piú, a dare forza alla tesi che la Chiesa abbia imposto il silenzio alle vittime degli abusi con la minaccia della scomunica, si vedono alcune foto di Aidan Doyle da piccolo con la voce fuori campo che dice: «Aiden restò cosí impaurito che ha taciuto per quarant’anni».

Entra in scena padre Tom Doyle (stesso cognome di una delle vittime), «un esperto di diritto canonico, un tempo stimato in Vaticano, ma oggi non piú a causa – dice lo speaker -– del suo interessamento agli abusi del clero». Doyle parla della segretezza prescritta dal Crimen sollicitationis, ma soprattutto lo speaker afferma che «fu Ratzinger a imporlo per 20 anni» e che «nel 2001 emanò il seguito del Crimen sollicitationis». Il tutto sulle immagini ancora dell’elezione di Benedetto XVI precedute addirittura dall’«Habemus papam». E qui si ingenerano volutamente almeno due grandi equivoci: il primo è che sembra sia stato Ratzinger a imporre per vent’anni gli effetti di un documento che in realtà risale al 1962 quando lui era ben lontano dall’essere prefetto della Congregazione per la dottrina della fede; un secondo grande equivoco (voluto) riguarda il documento a cui si fa riferimento senza citarlo, e cioè la De delictis gravioribus, sottoscritta da Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ma che dà esecuzione a norme fissate da Giovanni Paolo II e che non fa assolutamente riferimento alla scomunica come, al contrario, sostiene lo speaker del film. Anzi, in tema di abusi sessuali la lettera crea una disciplina piú severa per il caso di abusi sessuali sui minori, rendendoli perseguibili oltre i normali termini di prescrizione, mentre lo speaker afferma che «è tutto controllato dal Vaticano e a capo del Vaticano c’è il Papa. Joseph Ratzinger si occupò di questo per parecchi anni e dopo l’emanazione del Crimen sollicitationis ha emanato il seguito e ora è Papa. Tutto questo significa che le regole e l’approccio sistematico non sono cambiati». Invece, come detto, è l’esatto contrario.

Nel film, Colm è sempre piú protagonista. La scena si sposta negli Stati Uniti. Colm parla di 4 mila 500 preti accusati di violenza o abusi sessuali sui minori. Non specifica se si tratta di cattolici e basta, ma se cosí fosse sarebbe un numero sproporzionato.

Dopo l’intervista a un ex monaco e una contrapposizione tra immagini di mare e di città, ritorna O’Grady, che rappresenta l’unica testimonianza da parte degli autori dei crimini. Questa volta chiarisce i suoi «gusti» dicendo di essere attratto dai bambini maschi «piuttosto magrolini, dei quali mi attrae­va la zona genitale, che una forza irresistibile mi costringeva a toccare», mentre per quanto riguarda le ragazzine voleva «solo guardare i loro indumenti intimi». «Sí, certo – confessa O’Grady – provavo piú piacere che a toccarle». Affermazione che contraddice quella iniziale in cui parlava di abbracciare una bambina («Supponiamo che si chimi Sally») dopo averla adescata.

Qui per la prima volta si capisce anche che O’Grady è irlandese ma che viene processato in America e che il principale responsabile della copertura dello scandalo sarebbe l’allora (si parla del 1976) cardinale di Los Angeles, Roger Mahoney, che immagini di repertorio fanno vedere mentre attraversa piazza San Pietro. Guarda caso, però, che monsignor Mahoney è arcivescovo di Los Angeles solo dal 1985.

Poco dopo, sull’intervista ad Anne Burke (del Comitato nazionale statunitense per il riesame) e alla affermazione che «la segretezza della Chiesa è pari a quella della mafia», si vedono immagini del Concistoro e immagini sfuocate di vescovi e ancora di Ratzinger da cardinale. Poi ancora immagini di vecchi cardinali che sonnecchiano o stanno a bocca aperta con l’aria ebete. Poi ancora Ratzinger che eleva l’ostia consacrata e il calice. Fin troppo esplicita la volontà di dare l’idea di una Chiesa vecchia e chiusa in se stessa che, come dice ancora lo spea­ker, «non impara niente dagli errori del passato».

E siamo in Brasile. Colm ha raggiunto, come dice lui stesso «il piú grande Paese cattolico al mondo». Qui viene presentato il caso di padre Tarcisio Tadeu Spiricigo, «incriminato dalla polizia di San Paolo per abusi sessuali sui minori». Una foto lo ritrae con una casula improbabile, che già dà l’idea di un prete alquanto strano. Per i suoi misfatti viene intervistata una donna, Elsa, zia di un bambino che a 5 anni subí le violenze di padre Tarcisio.

Dopo la testimonianza della donna, si assiste alla parte piú recitata di Colm. L’uomo, seduto su una sorta di marciapiede, fuori da una delle casupole brasiliane, si lascia andare ad un’ostentata e amara constatazione: «È sorprendente constatare che la storia è sempre la stessa, in ogni tempo e in ogni luogo... E la Chiesa non ha mosso un dito... Non è giusto. Non è affatto giusto».

Sull’immagine di un aquilone che scende anziché salire in cielo, lo speaker spiega che «dopo decenni gli abusi di padre Tarcisio furono portati alla luce. Non per un intervento del cardinale Ratzinger, bensí per il lavoro della polizia».

Dopo un ulteriore stacco con l’immagine di una città al tramonto e una musica inquietante in sottofondo, ci si sposta in Arizona per un’ulteriore testimonianza, quella di Rick Rivezo, ex chierichetto. E dopo un’altra immagine di tramonto punteggiata questa volta da una musica triste, si passa alla testimonianza dell’avvocato Rick Rowley che «fece condannare otto preti pedofili» nonostante quella che lui definisce «l’omertà, la segretezza e l’ostruzionismo» della Chiesa. A conferma mostra delle lettere inviate in Vaticano e la crocetta apposta nello spazio con cui il destinatario rifiuta la missiva. Il prete che avrebbe abusato di Rick Rivezzo sarebbe, secondo le affermazioni dello speaker, nascosto in Vaticano. E proprio a Roma, in piazza San Pietro, si chiude il viaggio di Colm, che di fronte alla macchina da presa sostiene che siano piú di sette i «preti fuggitivi» americani «che vivono con il sostegno della Chiesa, dentro e fuori il Vaticano». Eppure ci sarebbe un uomo che avrebbe «il potere di cambiare tutto». Ancora immagini di Ratzinger e, infine, di nuovo immagini (chiaramente montate) della testimonianza di O’Grady (prima ha gli occhiali e poi no) che ammette che gli abusi sessuali rappresentavano «una parte significativa» della sua «carriera di prete». Dopo di che non sarebbe cambiato niente: «La vita – dice l’ex sacerdote irlandese nell’ultima inquadratura del film – è andata avanti».

Dunque il film si apre, si chiude ed è inframezzato dalla testimonianza di O’Grady, che dà il senso di veridicità a tutto il resto. Eppure su quella testimonianza (come detto l’unica da parte di uno dei colpevoli) ci sono i dubbi enunciati (soprattutto non sappiamo se si riferisce realmente al processo) e c’è sicuramente un montaggio cinematografico. Cosí come le responsabilità di Benedetto XVI non emergono dai fatti, bensí dalle parole dello spea­ker e soprattutto, ancora una volta, dal montaggio cinematografico che contrappunta molti momenti del film con le immagini di repertorio di Ratzinger. La stessa negatività dei preti indagati, ma non solo di loro (si pensi ai cardinali «vecchi bacucchi»), è data soprattutto dalle immagini: padre Fortune è ritratto con gli occhiali scuri (praticamente neri) e mezzo riparato da un ombrello; padre Tarcisio con quella casula molto strana di cui si è detto e cosí via. Anche la drammaticità delle testimonianze è data piú dalle inquadrature che accompagnano le parole: si pensi al cimitero di Colm o alla finestra ripresa da dietro il cancello nel caso di Aidan.

Raccogliendo, in giro per il mondo, le testimonianze delle vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti e intervistando degli esperti, Colm O’Gorman vuole dimostrare (e questa è la SIGNIFICAZIONE IMMEDIATA) che la Chiesa cattolica (non si parla di altre confessioni) nasconde i casi di pedofilia tra il clero (nascondendo anche materialmente alcuni preti pedofili in Vaticano) e il principale responsabile di tutto questo è Joseph Ratzinger, prima cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e ora Papa Benedetto XVI.

Ma i modi cinematografici analizzati ci permettono di UNIVERSALIZZARE e di arrivare ad una SIGNIFICAZIONE MEDIATA per cui il fenomeno della pedofilia è molto diffuso tra il clero cattolico, che raramente si pente o soffre per i misfatti mentre ha effetti devastanti sulle vittime le quali, però, non ottengono giustizia perché i documenti della Gerarchia impongono ai vescovi il segreto e il silenzio.

Da qui L’IDEA CENTRALE che può essere cosí formulata: le istituzioni religiose sono spesso come un’associazione mafiosa in cui prevale l’omertà, la segretezza e l’ostruzionismo nei confronti della giustizia. 

In fase di VALUTAZIONE, pur ammettendo, come detto all’inizio, i fatti realmente accaduti, non si può non sottolineare che con un’opera cinematografica come questa (sia pure tecnicamente piuttosto artigianale) si può dire tutto e il contrario di tutto. Si tratta, infatti, di un film a tesi il cui principale bersaglio è Benedetto XVI e con lui l’intera Chiesa cattolica, ma anche la religione in genere.

Infine, ma non è un elemento secondario, bisogna tener presente che siamo di fronte ad una produzione inglese che tratta soprattutto di preti cattolici irlandesi. Diventa persino banale ricordare che l’Inghilterra è un Paese anglicano e che la questione irlandese rimane una delle piú spinose per il Regno Unito.

Fin qui la versione del film circolata in internet con sottotitoli in italiano e vista da milioni di persone, mentre altrettante (l’auditel parlava di 5 milioni) hanno visto quella andata in onda il 31 maggio scorso nel programma televisivo «Annozero». In questo caso il film è stato trasmesso in due parti all’interno della trasmissione di Michele Santoro, a cui va dato atto di essere stato molto meno fazioso del solito e di aver piú volte ripetuto che i casi di cui si parlava erano casi singoli che per nessun motivo dovevano portare a generalizzazioni contro la Chiesa, cosa che invece, come detto, fa il film della Bbc prendendo soprattutto di mira Jospeh Ratzinger. E in parte Santoro questo lo ha capito e, a modo suo, lo ha smorzato.

Le sequenze iniziali (la prima parte della testimonianza di O’Grady, l’annuncio dei misfatti di padre Fortune, il tentativo di intervista al vescovo di Ferns e il ritorno di Colm O’Gorman nella sua diocesi di origine dove subí le violenze di padre Fortune) sono state trasmesse in apertura di programma, sia pure dopo una lungagnata di Marco Travaglio (lettera a Indro Montanelli) e qualche battutaccia di Vauro.

Dalle sequenze iniziali è stato tagliato il primo riferimento a Ratzinger e la prima delle tre volte in cui venivano proposte le immagini dell’elezione a Papa.

La parte piú consistente del film (quella che nell’originale andava dai titoli di testa alla conclusione con la terza parte della testimonianza di O’Grady) è stata trasmessa piú avanti nel corso del programma durante il quale abbiamo anche appreso che Colm O’Gorman è oggi un giornalista della Bbc. E questo contraddice ancora di piú il fatto che inizialmente nel film si presenti solo come vittima e testimone.

Dal film, oltre ai titoli di testa, è stato tagliato anche il passaggio equivoco in cui sembrava attribuito a Ratzinger il documento del 1962. Mentre è stata aggiunta (rispetto alla versione in internet) la sequenza finale con un volo di gabbiano sulla scogliera spazzata dalle onde.

Il vescovo Rino Fisichella, presente in studio insieme a don Fortunato Di Noto, a Piergiorgio Odifreddi e allo stesso O’Gorman, ha sostenuto che si tratta di un film e non di un video di stampo giornalistico in quanto manca del contraddittorio, ha difeso la precisione giuridica dei documenti vaticani e sostenuto con forza che la Chiesa non si vergogna, che preti come lui e come tanti altri in Italia e tanti fedeli vanno a testa alta, fieri di appartenere alla comunità dei credenti. «Chi invece si deve vergognare – a giudizio del rettore della Lateranense – sono quei preti che non dovevano nemmeno diventare preti».

Monsignor Fisichella ha tenuto testa, con destrezza mediatica e una punta di sano orgoglio, al confronto televisivo messo in scena da Santoro per la sua «Annozero». Al rettore dell’«Università del Papa» è toccato il difficile ruolo di avvocato della Chiesa nel «processo» intentato con la messa in onda del video della Bbc.

Se un appunto si può fare all’illustre vescovo teo­logo, riguarda la parte finale della trasmissione, quella che forse solo a Firenze è stata seguita con piú attenzione e piú apprensione per la forza drammatica delle testimonianze (soprattutto una) delle quattro persone provenienti dalla parrocchia fiorentina della Regina della Pace.

Ma andiamo con ordine. La trasmissione di Santoro si annunciava particolarmente scottante. Alla fine è stata un po’ meno scottante del previsto anche per i tagli e gli aggiustamenti fatti al film che, come detto, è stato presentato in due parti di cui quella piú consistente dopo una buona parte di dibattito sul tema del segreto o meno invocato dai documenti vaticani e soprattutto dopo aver introdotto le prime due testimonianze fiorentine. «Questa – ha detto Santoro – è una storia di persone che non si sono mosse nella logica del silenzio, ma che fanno una battaglia all’interno della Chiesa di Firenze».

«Nella parrocchia della Regina della Pace – ha raccontato Alessandro (“nome di comodo”) – si viveva un clima particolare, di grandissima austerità, di grandissimo rigore, un modello di Chiesa perfetta che si contrapponeva alla Chiesa corrotta. Noi eravamo gli eletti, i prescelti per la nuova Chiesa. Eravamo come una setta. Ma quello che c’era dietro lo abbiamo scoperto molto dopo. Gli abusi sono emersi piú tardi». Il tutto, stando alla seconda testimonianza, sarebbe venuto fuori nel 2004: «Una mia amica – ha spiegato Rita – mi confidò questo segreto. Poi altre due ragazze. Alla fine non sono state meno di venti le storie di abuso che abbiamo messo insieme».

Da qui i primi colloqui con il vescovo ausiliare di Firenze, Claudio Maniago (anche lui proveniente dalla stessa parrocchia), le richieste di spostamento del parroco don Lelio Cantini e la risposta negativa – a detta dei testimoni – con l’invito di soprassedere a fatti avvenuti cosí lontano nel tempo.

A questo punto è partito il film a cui è seguita un’altra parte di dibattito con interventi in studio e le repliche, questa volta, anche di don Fortunato di Noto.

Dopo di che è arrivato il vero cazzotto nello stomaco della trasmissione: la testimonianza, a volto scoperto, di Mariangela, oggi quarantacinquenne. Il racconto degli abusi subiti, dai 10 ai 25 anni, da parte di don Lelio Cantini è stato fatto senza titubanze e con espressioni verbali di una forza drammatica impressionante.

È a questo punto che monsignor Fisichella si è appellato a «un ricordo di qualche tempo fa» secondo cui («ho letto qualche cosa su Avvenire») il cardinale Ennio Antonelli «ha fatto una dichiarazione pubblica».

Alla richiesta da parte di Alessandro di un processo giudiziario, Fisichella ha ricordato che «c’è stato un processo amministrativo, ma quello che voi chiedete dovete ottenerlo dal vostro cardinale e qualora non lo ottenete dal vostro cardinale, voi dovete rivolgervi alla congregazione per la dottrina della fede».

Qui è mancata la precisazione che è stata la stessa congregazione ad autorizzare «il processo penale amministrativo a norma del canone 1720» e che «don Lelio – come spiegato pubblicamente da Antonelli il 15 aprile scorso – è stato riconosciuto responsabile di delittuosi abusi sessuali su alcune ragazze negli anni 1973-1987, di falso misticismo, di controllo e dominio delle coscienze», «misfatti oggettivamente gravi che – riconobbe il cardinale – meritano riprovazione e condanna e che fanno soffrire prima di tutto le vittime, ma con loro anche la Chiesa e il vescovo».

A don Cantini è stata inflitta anche una condanna: divieto di confessione per cinque anni, divieto di celebrare la Messa in pubblico, di celebrare altri sacramenti e di assumere degli incarichi ecclesiastici, oltre a versare un offerta annuale in denaro a una istituzione caritativa e recitare ogni giorno per un anno il salmo 51.

A qualcuno è sembrata una pena lieve, ma va commisurata all’età del sacerdote (84 anni) e alla distanza temporale dai «misfatti». Per certi versi è comunque come un ergastolo. Inoltre andava precisato che, per una norma basilare del diritto, non si può processare due volte una persona per lo stesso reato.

 


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