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IL CINEMA COME FRONTIERA


di GIANPAOLO SALVINI
Edav N: 351 - 2007

Mi è naturalmente difficile parlare di «Edav» senza parlare di Padre Taddei, dato che per me si è trattato di un binomio inscindibile. La rivista, almeno sinora, l’ho scorsa pensando immancabilmente al suo ideatore e a quanto Padre Taddei ha rappresentato per me.

Ho conosciuto Padre Nazareno Taddei nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando frequentavo i corsi di Filosofia alla nostra facoltà di Gallarate. Lui veniva da Milano per far vedere a noi studenti della Compagnia di Gesú, i film piú significativi realizzati in quegli anni.

Ricordo le sue presentazioni, molto suggestive, dei primi film di Ermanno Olmi (Il tempo si è fermato, Il posto) e di alcuni film di Federico Fellini (La strada, Le notti di cabiria). Le proiezioni venivano proposte da Padre Taddei in un ambiente il cui interesse per la cultura era vivissimo, acuito dall’aridità, o meglio dall’astrattezza della maggioranza delle lezioni di filosofia che ci venivano impartite. Per noi studenti ciò che Taddei proponeva era il nuovo, era il moderno, presentato con notevoli qualità sia sul piano della realizzazione artistica, sia su quello dei contenuti umani e spirituali. Le sue erano vere e proprie lezioni non soltanto di cinema, ma per cosí dire di vita e di apertura al mondo. La sua attenzione nei confronti degli aspetti tecnici del cinema inteso come linguaggio specifico riusciva a coinvolgere noi giovani spettatori negli ingranaggi di un discorso che comunicava significati di ampio respiro, resi ancora piú accessibili per le emozioni che lo spettacolo cinematografico suscita. Posso dire che in qualche modo padre Taddei ha insegnato a me e ai miei compagni di studio l’ABC del cinema.

«Edav» non ha fatto altro che continuare per me quell’esperienza, molto segnata dalla sua storia personale. I rapporti di amicizia che intratteneva con gli autori dei film (in particolare Fellini e Olmi) facevano di lui un tramite prezioso fra noi e quel mondo, che è l’ambiente dei creatori di immagini, molto suggestivo ma anche un po’ misterioso. Taddei aveva collaborato personalmente alla realizzazione di alcuni dei film che ci presentava. Aveva passato ore e ore con Olmi alla moviola durante il montaggio de Il posto e ci parlava, con competenza e un po’ di noncuranza, delle cose di cui non era riuscito convincere il regista a tenere conto. Aveva assistito alle riprese di alcune scene de La strada. Era inoltre dotato di una grande comunicativa e se ne serviva per trasmetterci le nozioni di cui disponeva non in maniera arida e astratta come accadeva ad alcuni dei nostri docenti di filosofia, ma in maniera appassionante e coinvolgente. La stessa comunicativa, unita alla capacità di penetrazione critica l’ho trovata anche in seguito, nella sua attività di critico, svolta sulle pagine della rivista «Letture», sullo «Schedario Cinematografico» da lui fondato e diretto, sui libri che ha pubblicato e naturalmente sulle pagine di «Edav».

Nota caratteristica del suo rapporto con il cinema era l’atteggiamento «scientifico», che aveva il suo fondamento nell’attività pratica svolta da Taddei nell’ambito della realizzazione televisiva e documentaristica sulla quale aveva fondato le successive elaborazioni teoriche, dotate di grande originalità.

Con questo atteggiamento si era accostato nel 1960 al film La dolce vita di Fellini, da lui presentato con un celebre articolo apparso su «Letture», composto con lucida obiettività, dietro la quale si avverte un entusiasmo che non poteva essere trattenuto. È noto che La dolce vita fece scandalo. L’articolo di Taddei su quel film fu, per cosí dire, uno scandalo nello scandalo. Altri gesuiti, legati direttamente o indirettamente al Centro Culturale San Fedele, e a Padre Taddei, come Padre A. Bassan, Padre Favaro e Padre Arpa, ne furono coinvolti ed ebbero chi piú e chi meno a soffrirne. Padre Taddei uscí ferito da quella dolorosa vicenda. Avendolo frequentato fino agli ultimi anni della sua vita ha potuto constatare di persona come quella ferita non si fosse in realtà mai rimarginata del tutto.

Nella rivista da lui fondata ho ritrovato molti di questi accenti, che instintivamente andavo a ricercare, avendoli vissuti anch’io nella Milano dell’epoca. Dico questo perché una rivista rispecchia molto di ciò che il direttore e principale scrittore non solo sa, ma è, e quanto in lui ha impresso la vita. Padre Taddei aveva un’instancabile attività didattica, esercitata costantemente soprattutto nei corsi estivi, durante i quali ha avuto modo di educare alle immagini diverse migliaia di educatori. La sua rivista io l’ho sempre percepita come uno strumento al servizio di questa sua passione per l’insegnamento nel senso piú pieno del termine: la comunicazione di un’esperienza vitale, prima ancora che di una serie di nozioni. Nelle pagine di «Edav» del resto si rifletteva molto del temperamento di Padre Taddei, craetivo, suggestivo ed enciclopedico, ma non sempre sistematico nelle sue presentazioni.

In un settore di frontiera, come penso sia ancora quello cinematografico, vorrei ricordare un altro aspetto di Padre Taddei che mi è molto caro e che si rifletteva anche nella rivista: la sua fedeltà al sacerdozio e alla vocazione nella Compagnia che vennero messe alla prova nelle circostanze dolorose alle quali ho accennato, uscendone purificate e, se possibile, anche piú limpide.

 


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