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PROGETTO CULTURALE E METODOLOGIA TADDEI


di GABRIELE ZAFFAGNINI
Edav N: 350 - 2007

Intendendo proporre qualche riflessione personale sul quarto incontro nazionale del Progetto culturale, svoltosi a Roma dal 26 al 28 aprile, vorrei cominciare da alcune parole dell’intervento conclusivo di mons. Giuseppe Betori, segretario della Conferenza episcopale italiana. Dice infatti: «Il progetto culturale si propone di educarci alla speranza, vale a dire di mostrarne le “ragioni” (1 Pt 3,15) [...]. Il nostro lavoro, nei molteplici ambiti dell’evangelizzazione, è di mostrare che al centro del Cristianesimo c’è un lògos, una parola che diviene la nostra “via” e “vita”. Mi sembra che anche la dimensione popolare della nostra azione non possa prescindere da questo elemento». Parlando, poi, proprio di questa azione, aggiunge: «La gente, credenti e non-credenti, desidera essere messa a contatto con un nutrimento solido, con una parola che sia proposta come sensata e degna di fiducia [...]». Infine, aggiunge una nota di metodo, parlando di «rigore nell’ostensione della verità del Cristianesimo», un rigore che diventa anche genuina apologia di fronte agli attacchi al cuore della fede cristiana, cioè alla veridicità e storicità del suo fondatore, Cristo stesso.

Direi, dunque, che l’analisi di mons. Betori, nella sua precisione e puntualità, lascia adito a ben pochi dubbi: come egli stesso ha sottolineato anche in altri passi del suo intervento, in un contesto culturale italiano che tende, da un lato, a screditare l’attendibilità del cattolicesimo e, dall’altro, a ridurlo ad una dimensione esclusivamente personale, senza il minimo effetto sulla vita civile dei cittadini, occorre urgentemente ribadire con forza e vigore la fondatezza, la credibilità e la coerenza storica e filosofica della nostra fede, dimostrandone cosí anche l’intrinseca armonia con l’intelletto. Si tratta, dunque, di possedere strumenti forti di pensiero, per essere in grado di leggere in profondità questa realtà e argomentare costantemente, specialmente nelle situazioni piú semplici e quotidiane della vita di fede, la ragionevolezza dell’essere cattolico, cosa che non è un paradosso, come la cultura post-illuminista vuol far credere, ma, per citare ancora le parole di mons. Betori, la «via di vera umanizzazione». In effetti, Betori stesso, a questo proposito, parla di «sfide dell’educazione e della formazione cristiana», aggiungendo che in questo campo la tradizione della Chiesa è grande, ma che oggi è richiesto «un grande investimento di persone e di energie e una qualificazione sempre maggiore».

Vale la pena, a questo punto, di soffermarsi proprio sul problema della qualificazione nella missione di inculturazione cristiana: occorrono, lascia intendere il discorso di Betori, competenza e professionalità, qualità che si fondano, non a caso, su di una grande chiarezza di pensiero, che possa permettere una lettura accurata della realtà culturale italiana e la riaffermazione di una solida identità cristiana. La domanda che sorge di conseguenza è, ora, se davvero il mondo cattolico in Italia risponda pienamente a queste caratteristiche: purtroppo, è possibile notare una certa confusione valoriale in alcuni di coloro che si propongono come moderni credenti. In effetti, si è venuta a creare, in qualche caso, una sorta di commistione tra il cattolicesimo e le piú disparate ideologie, causata da una confusione tra segni comuni o, comunque, vicini tra loro. È un fatto innegabile, infatti, che molti movimenti e correnti di pensiero che di cristiano non hanno nulla, propugnino valori e compiano gesti che trovano l’accordo, a prima vista, anche dei cattolici. Se però si spostasse l’analisi dal livello della manifestazione esteriore a quello della vera essenza dei fenomeni, si vedrebbe la reale distanza con il cristianesimo. Penso, per fare un esempio, a tante parole come «pace» o la stessa «laicità», che significano valori fondamentali nella nostra fede, ma che la cultura laicista ha assunto, spesso per adescare i cattolici stessi, attribuendovi tutt’altro significato. La causa di questa confusione è da ricercare, secondo Betori, proprio in una carenza culturale all’interno del panorama cattolico italiano, cioè nell’inadeguatezza degli strumenti di cui esso dispone per leggere la realtà circostante. È a questo punto, cosí, che la metodologia di padre Taddei può dare un valido contributo alla soluzione del problema, dato che, come si può facilmente rilevare, la commistione di segni che ha portato a questa confusione valoriale è un problema di linguaggi, confermando ancora una volta che l’approccio culturale alla realtà attualmente piú diffuso è di tipo massmediale. E di certo, in questo campo, Taddei ha molto da insegnare: il frutto dei suoi studi sulla comunicazione, infatti, potrebbe fornire gli strumenti adatti per una maggiore incisività della cultura cattolica nella società italiana, rispondendo cosí all’esigenza che Betori ha messo in primo piano, cioè quella di una forte argomentazione di coerenza della fede cristiana.

Auspico, a questo punto, che nel prossimo futuro il Progetto culturale possa servirsi in maniera significativa anche del contributo dell’opera di padre Taddei, per concretizzare quegli obiettivi che cosí chiaramente mons. Betori ha identificato.

 


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