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IL DUBBIO



Regia: John Patrick Shanley
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: 369 - 2009
Titolo del film: IL DUBBIO
Titolo originale: DOUBT
Cast: regia, sogg. e scenegg.: John Patrick Shanley - scenogr.: David Gropman - mont.: Dylan Tichenor - mus.: Philip Glass - effetti: John Stifanich, John Bair, Randall Balsmeyer - cost.: Ann Roth - fotogr.: Roger Deakins - interpr.: Meryl Streep (Suor Aloysius), Philip Seymour Hoffman (Padre Flynn), Amy Adams (Suor James), Viola Davis (Sig.ra Muller), Lloyd Clay Brown (Jimmy Hurley), Joseph Foster (Donald Miller), Bridget Megan Clark (Noreen Horan), Lydia Jordan (Alice), Paulie Litt (Tommy Conroy), Matthew Bradley Marvin (Raymond Germain), Evan Lewis (John) - durata: 104' - colore - produz.: scott Rudin Productions - origine: USA, 2008 - distribuz.: Walt Disney Studios Motion Pictures, Italia 2009
Sceneggiatura: John Patrick Shanley
Nazione: USA
Anno: 2008

È la storia di SORELLA ALOYSIUS, preside d’una scuola cattolica irlandese (siamo nel 1964), da lei diretta con esagerato modo autoritario nella presunzione di conoscere bene la vita (viene dalla precedente vita coniugale) e l’efficacia della pedagogia fondata sulla disciplina sorretta dal terrore dei castighi, LA QUALE, dopo aver rifiutato, per difendere le sue personali certezze, il parere del parroco e cappellano della scuola, padre Flynn, che la Chiesa nei vari campi d’apostolato deve aggiornare i suoi metodi senza cedere sui principi, disapprovando certo modo di fare e di comportarsi del sacerdote comprensivo e gentile con gli alunni ed accettando i pettegolezzi che la suora insegnante, Sorella James, le confida fondandosi sul DUBBIO circa l’onestà del sacerdote che le sembra interessarsi in modo particolare del ragazzo nero Donald Miller, RIESCE infine a liberarsi di lui obbligandolo a dare le dimissioni (vincendo cosi la battaglia – di Pirro! – contro di lui, pur ammettendo alla fine d’aver puntato su armi infami quali le sue cosiddette certezze personali sostenute criminalmente da menzogne e calunnie).

La commedia ha nel film andamento teatrale. Non è tale soltanto per la distinzione delle scene, usate come siparietti cinematografici, non realizzabili su un palcoscenico (come il trasferimento della compagnia teatrale sulla strada in mezzo al traffico e sotto la pioggia; la ripresa di primi piani e dettagli di volti, occhi, mani, la presentazione di dialoghi con interpreti in campo e controcampo, illuminazioni ed angolazioni caratteristiche del cinema).

È l’impianto complessivo del film ad essere pedissequamente teatrale, compresi i dialoghi, pensati a tavolino, che vengono recitati con declamazione accademica (nel doppiaggio italiano!) evidenziando battute letterarie, sempre azzeccate nel contesto ma incredibili nella finta improvvisazione.

I tre atti classici della commedia teatrale hanno nel film la scansione strutturale prevedibile:

1. Presentazione della vita quotidiana dei personaggi comprendenti elementi che daranno origine a sviluppi narrativi = Il personale docente e discente della scuola, in particolare l’alunno nero tra tutti gli altri bianchi;

2. il problema emergente come conseguenza delle precedenti circostanze, dipendenti dallo stato d’animo particolare dei personaggi principali, tra i quali in particolare quello della protagonista = L’errore commesso dalla preside (per condannabile apertura multietnica!) nell’aver accettato nella sua scuola un ragazzo nero, e la sua difesa da parte di padre Flynn contro l’emarginazione della quale è vittima, causando dubbi sulla sua condotta gentile e disinteressata. La preside, in realtà, vede nel parroco il pericolo di doversi adattare alle novità, rinunciando a certezze nelle quali si sente a perfetto suo agio;

3. descrizione delle conseguenze drammatiche della commedia = Persecuzione (usando bugie calunniose partendo da dubbi infondati) della retrograda preside contro il progressista padre Flynn, che sarà costretto a dare le dimissioni.

La progressione psicologica delle scene a dimostrazione della durezza dittatoriale della preside sono montate con spettacolare escalation, in contrasto con la bontà gentile della suorina insegnante, che ben presto per obbedienza le confiderà il suo dubbio sul prete, pieno di umanità verso l’unico ragazzo negro della classe, vittima in famiglia del padre incomprensivo e a scuola dei compagni che gli fanno dispetti.

Il regista mostra la difficoltà della suora giovane nel saper distinguere le esigenze derivanti dal suo voto d’obbedienza da quelle illegali pretese da Sorella Aloysius, come la comunicazione del suo dubbio. La discrezione che manca alla giovane suora non la giustifica ma attenua la sua responsabilità nel male da lei ingenuamente provocato.

Il regista gioca con il pubblico mettendo sul tavolo la carta del Jolly soltanto a fine partita. A cinque minuti dalla conclusione del film non si sa ancora chi vincerà, la suora gelosa della comoda tradizione o il sacerdote rivoluzionario. La suspense funziona, anche se poi la soluzione del caso convince soltanto in parte. Il vescovo della diocesi, ad esempio, che nel film non vediamo, perché è stato cosí pronto ad accettare la conclusione della causa intentata contro un suo suddito? La suora anziana ha fatto larvate allusioni a sue presunte avances nei riguardi di consorelle della parrocchia a lui affidata precedentemente. Nessuno però ha indagato su tale punto! Quella alla quale ora è stato mandato è la sua quinta parrocchia degli ultimi cinque anni!

I tre sermoni del padre in chiesa (a proposito di presentazioni di funzioni religiose, consigliamo ai registi di servirsi d’un consulente ecclesiastico!), che hanno riguardato argomenti d’attualità per il suo tempo con chiaro aggiustamento al nostro, testimoniano la purezza della sua condotta:

1. il dubbio e le sue implicanze e conseguenze sociali per chi lo coltiva e per i sospettati;

2. l’intolleranza camuffata come pretesto farisaico di tutela e difesa del bene del prossimo;

3. il desiderio di allontanarsi a fronte alta dai suoi parrocchiani salutandoli prima ad uno ad uno.

Il film, interessante nel mettere a fuoco un argomento di bruciante attualità, è scarsamente credibile perché odora di polvere di palcoscenico dalla prima all’ultima scena. La preside non è mai Sorella Aloysius ma sempre Meryl Streep. Soggolo, cuffia, rosario con crocifisso pendente dalla cintura non trasformano mai l’interprete nel personaggio (forse perché troppo conosciuta in ruoli totalmente diversi?).

La sua recitazione è di alta classe ma, mi sia permesso di dire, sembra teatrale.

I due personaggi maggiormente convincenti sono padre Flynn e Sorella James, che dalla preside s’è lasciata ingenuamente strumentalizzare. Cosí infatti s’era espressa Sorella Aloysius quando aveva concepito la strategia da adottare per liberarsi di padre Flynn: «Qui ci vuole un gatto per prendere il topo».

Ma si può arrivare ad uccidere civilmente una persona innocente fondandosi soltanto sul dubbio che sia responsabile di un delitto degno di morte? Il film dice che nel 1964 è successo nella cattolica Irlanda. Anche altrove? Non aggiunge altro!

Preferisco citare a questo punto episodi importanti del film come prove che ci condurranno alla evidenziazione dell’IDEA CENTRALE.

Nella sequenze finale la preside riconosce d’aver mentito per ottenere la sua vittoria e piange desolata (pentita?), mentre si associa al suo sentimento la pentita suorina complice ingenua che confessa «Non riesco a dormire!».

Le vediamo tutte e due sedute sulla fredda panchina di pietra del deserto parco scolastico coperto dalla recente nevicata natalizia.

Il dignitoso intervento della madre del ragazzo nero nel dialogo con la preside che decide, non riuscendo ad ottenere da lei un’alleata (complice!) nella guerra contro padre Flynn, di passare al ricatto («Espellerò suo figlio dalla scuola!») pur essendo a conoscenza delle circostanze disperate della famiglia nera, conferma la cattiva coscienza di Sorella Aloysius. «Io, decide la madre minacciata, sto dalla parte di chi difende mio figlio e spero che anche lei stia con noi». L’altra è arroccata sulla sua verità. «Io sto con le mie certezze!», ripeterà fra poco al nemico personale.

Se il film non fosse molto letterario e teatrale, potrebbe essere preso a questo punto come un pamphlet contro categorie ecclesiastiche che si reggerebbero, secondo alcuni, sulla menzogna e sulla calunnia.

Il regista però prende le difese del prete cattolico, condannato a portarsi dentro per tutta la vita il peso infamante di accusa di pedofilia, fondata su dubbi derivanti da interpretazioni maliziose del suo comportamento onesto da parte di persone malintenzionate con lo scopo di difendere i propri interessi. «A costo di andare all’infermo, io andrò fino in fondo!» è stato il proposito della suora preside. Del resto aveva confidato: «Man mano che si pecca, ci si allontana da Dio, ma questo ha il suo prezzo!».

Il vescovo della diocesi destina il suo sacerdote ad un’altra parrocchia assegnandogli anche la responsabilità della scuola. Ha accettato le dimissioni volontarie dalla precedente ma non ha prestato fede alle accuse della suora preside, che ha maliziosamente scambiato gentilezza e umanità verso un minore come tentativo di corruzione.

Tornando agli episodi principali del film, ricordiamo che ella non si fidava di nessuno, dei ragazzi meno che di tutti. Li trattava (come d’altronde essi stessi si consideravano!), come prigionieri carcerati. Minime occasioni di innocenti libertà d’abbigliamento delle bambine, di cedimenti per stanchezza fisica in aula e in chiesa, parole sfuggite in tempo di silenzio, uso della penna biro al posto della classica ad inchiostro, erano da lei giudicate scelte rivoluzionarie che provocavano le sue reazioni autoritarie di richiamo all’ordine con punizioni irritanti e sproporzionate. Il quadro del papa, («non importa di quale, purché la foto sia sotto vetro a fare da specchio!»), collocato sulla lavagna in modo da non perdere di vista gli studenti a scuola mentre l’insegnante spiega la lezione scrivendo con il gesso sulla tavola nera, rende Sorella James, che obbedisce ciecamente alla preside, sospettosa al di là della sua natura generosa ed ingenua. D’ora in poi starà sempre con gli occhi bene aperti sul parroco e in particolare sui suoi incontri con il ragazzo nero, confermando il dubbio sulle sue intenzioni, confidato alla preside, senza rendersi conto del male di cui si rende responsabile facendosi sua complice.

Lo spettatore, che conosce la verità, disapprova il comportamento della preside e compatisce l’involontaria complicità della suorina. Il MODO usato dal regista nel raccontare la storia è tale da provocare la condanna del male. È l’aspetto positivo del film.

Il via a nuovi episodi è dato da intrusioni teatrali in scene interrotte da personaggi che poi non vedremo piú, da comparse indiscrete in dialoghi e situazioni imbarazzanti: l’ortolano distratto, ad esempio, che involontariamente disturba i confidenziali pettegolezzi delle suore «Scusate, sorelle!»; l’entrata in casa d’una donna con un gatto in mano «perché c’è un topo» e che offre cosí alla preside la spiritosa battuta «Qui ci vuole un gatto per prendere il topo!», Sarà questo il nuovo ruolo affidato a Sorella James!

Non poteva mancare quella che in teatro è sempre stata considerata la scena madre: per noi è il drammatico scontro verbale tra i due nemici dopo il delitto commesso da padre Flynn offrendo in sacrestia al ragazzo nero, il vino destinato all’eucaristia «per tentarlo, lei ne è certa!, ed averlo invitato in canonica a colloquio personale «solo a solo»», secondo la confidenza della testimone Sorella James. Lo scontro, dunque, è tra la verità (il sacerdote) e la menzogna (la preside), che si conclude con la dichiarazione di guerra: «Lei non ha nessuna prova delle accuse contro di me! Io combatterò! – E perderà!.

È stato in seguito anche l’ímpari confronto tra l’ingenuità di Sorella James, che rinfaccia a Sorella Aloysius la colpa che, malgrado la convinzione dell’innocenza di padre Flynn, vuole sostenere l’accusa contro di lui soltanto per orgoglio personale di non cedere davanti alla verità! Soprattutto in questo caso la preside di ferro riporta facile vittoria richiamando la suorina al dovere del silenzio e dell’obbedienza.

La sceneggiatura ha previsto quasi tutte le riprese all’interno del carcere (mi scuso, intendevo dire della scuola!) con sviluppi narrativi che sembrino derivare dalle ricordate intromissioni di personaggi secondari. La ripetizione della tecnica depone a favore della loro funzione interpretata soltanto con finalità spettacolare.

Dopo tutto, che ha fatto il regista? Ha dato ragione alla suora assegnandole la vittoria? Senz’altro no, perché nell’ultima inquadratura la mostra angosciata e forse (?) pentita di quanto ha fatto. L’autore del film ha disapprovato il comportamento d’una persona in autorità che ha approfittato della sua posizione per denigrare un suo dipendente. Questo, gli spettatori, devono averlo capito tutti.

Il film non presenta il male come bene, ma lo chiama con il suo nome e lo condanna senza lasciargli possibilità di difesa. Come tale, in grazia del MODO usato nel dirigerlo, è positivo, anche se alcune scene, separate dal contesto, presentano situazioni moralmente negative.

Cosa può aver concluso qualche spettatore uscendo dalla sala? Che le suore, (ecco le generalizzazioni!), sono bugiarde? Che le giovani suore spargono pettegolezzi senza rendersi conto delle loro responsabilità morali? Che i preti approfittano dei loro alunni a scuola?

Non le tematiche, perché tematiche nel film non ne vedo, ma gli argomenti sfiorati e non approfonditi dal regista, contengono potenziali cariche esplosive da disinnescare con la riflessione e soprattutto con la lettura strutturale del film. Alcune scene, considerate fuori contesto, potrebbero sembrare far parte dell’attuale globalizzata congiura contro tutte le Chiese e tutte le religioni.

L’Idea Centrale del film può essere dettata in modi diversi:

la presunzione e la mala coscienza di persone interessate a difendere le proprie idee, se vengono usate a sostegno di dubbi scambiati per prove di responsabilità circa la condotta di cittadini onesti che la pensano in modo diverso, possono provocare danni gravissimi a persone innocenti.

– la presunzione e la mala coscienza di persone interessate a difendere le proprie idee contro cittadini onesti che la pensano in modo diverso, possono provocare danni gravissimi a persone innocenti. (Adelio Cola)

 


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