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Il cacciatore di aquiloni



Regia: Marc Forster
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 360 - 2008
Titolo del film: IL CACCIATORE DI AQUILONI
Titolo originale: THE KITE RUNNER
Cast: regia: Marc Forster – sogg.: Khaled Hosseini, dal suo romanzo omonimo – scenegg.: David Benioff – fotogr.: Roberto Schaefer – mus.: Alberto Iglesias – mont.: Matt Chesse – scenogr.: Carlos Conti – cost.: Frank L. Fleming – effetti: Kevin Tod Haug, Film Effects Co. Ltd. , CafeFX – interpr.: Khalid Abdalla (Amir), Homayon Ershadi (Baba), Shaun Toub (Rahim Kahn), Atossa Leoni (Soraya), Sa๏d Taghmaoui (Farid), Zekeria Ebrahimi (Amir bambino), Ali Danesh Bakhtyari (Sohrab), Ahmad Khan Mahmidzada (Hassan bambino), Nabi Tanha (Ali), Elham Ehsas (Assef giovane), Bahram Ehsas (Wali), Maimoona Ghizal (Jamila), Abdul Qadir Farookh (Generale Taher), Abdul Salam Yusoufzai (Assef), Tamim Nawabi (Kamal) – durata: 131’ – colore – produzi.: Macdonald / Parkes Productions, Neal Street Productions, Participant Productions, Sidney Kimmel Entertainment, Wonderland Films – origine: USA, 2007 – distrib.: Filmauro (28.3.2008)
Sceneggiatura: David Benioff
Nazione: USA
Anno: 2007

Il regista. Marc Forster, nato ad Ulm in Germania, è il piú giovane dei tre figli di Wolf Forster, medico tedesco, e di sua moglie, architetto di origini svizzere. Dopo aver visto il capolavoro bellico di Francis Ford Coppola, Apocalypse Now, Marc desidera diventare un regista cinematografico. Si trasferisce negli Stati Uniti dove si laurea in Cinema nel 1993. Tra le sue opere principali vanno ricordate: Monster’s Ball – L’ombra della vita (2001; v. Edav n. 299), Neverland – Un sogno per la vita (2004; v. Edav n. 325), Vero come la finzione (2006). Dopo aver realizzato Il cacciatore di aquiloni, Forster si è aggiudicato la regia di Quantum of Solace, ennesimo capitolo della saga su James Bond (2008).

Il film. È tratto dal libro omonimo (il titolo originale dell’opera è The Kite Runner) dello scrittore americano di origine afgana Khaled Hosseini, pubblicato in Italia dalle Edizioni Piemme nel 2004. Si tratta del primo romanzo scritto da Hosseini ed è diventato ben presto un bestseller a livello internazionale.

La vicenda parte a Kabul (Afghanistan) nel 1978, proprio nel momento in cui in quel Paese iniziano trasformazioni di enorme portata storica: la caduta della monarchia e la nascita di un nuovo governo che dovrebbe esercitare la sovranità politica in nome del popolo afgano. Amir, figlio di Baba, un uomo facoltoso di etnia Pashtun, è un ragazzino di circa dodici anni che ha stretto un forte vincolo di amicizia con Hassan, il suo piccolo servitore di un’etnia considerata inferiore, quella Hazara. I due ragazzini sono inseparabili, accomunati dalla passione per il cinema, ma soprattutto per gli aquiloni, per i quali sono previste gare che coinvolgono molti ragazzi della città. Ma la loro amicizia è minata dal fatto che, mentre Hassan è totalmente devoto ad Amir, quest’ultimo non è altrettanto disponibile nei confronti del compagno e, in un momento di particolare drammaticità, non interviene in suo aiuto quando Assef, un prepotente boss del quartiere, razzista e violento, lo umilia e lo sodomizza. L’ambiguità di Amir, derivante anche dal senso di colpa che egli prova nei confronti dell’amico, porterà alla rottura del loro rapporto di amicizia, proprio nel momento in cui le truppe sovietiche invadono l’Afghanistan. Baba, che teme il nuovo regime comunista, è costretto a fuggire in modo rocambolesco con il figlio negli Stati Uniti, dopo aver affidato la gestione della casa ad un amico fidatissimo, Rahim Khan, confidente anche di Amir, di cui aveva dimostrato di apprezzare le doti di narratore di storie. In America Amir cresce, si diploma e conosce Soraya, una ragazza figlia di un ex generale afgano, che diventerà sua moglie. Riesce anche a scrivere il suo primo libro, coronando il sogno di diventare uno scrittore. Nel frattempo il padre si ammala gravemente e muore. Proprio in occasione dell’uscita del suo libro, Amir riceve una telefonata da Rahim Khan dal Pakistan che lo invita ad andare da lui perché deve fargli delle importanti rivelazioni. Amir parte e ritrova il vecchio Rahim minato dalla malattia. Questi gli annuncia che, dopo l’arrivo del regime talebano, egli è dovuto fuggire dall’Afghanistan, lasciando la casa nelle mani di Hassan; gli racconta che questi è stato ucciso assieme alla moglie, lasciando da solo il figlioletto Sohrab; ma soprattutto gli fa una rivelazione che lo lascia sbigottito: Hassan è il figlio che Baba ha avuto da una relazione con la moglie del suo servitore Ali. Quindi Hassan era il fratellastro di Amir e Sohrab è suo nipote. Amir parte subito per l’Afghanistan per recuperare Sohrab. Dopo una serie di peripezie che lo vedranno affrontare anche lo spietato Assef, divenuto un crudele talebano, riesce finalmente a portare Sohrab in America, a dargli una nuova famiglia e a ricostruire con lui quel legame d’amicizia, cosí bello e forte, ma cosí drammaticamente interrotto, che egli aveva avuto con Hassan.

Il racconto. La struttura del film è in parte lineare e in parte a flashback. Narrativamente la vicenda viene scandita in tre grosse parti (le prime due all’interno del flashback e la terza al termine di questo), precedute da un’introduzione e seguite da un epilogo.

L’introduzione è costituita dai titoli di testa, molto elaborati e dai contorni che richiamano degli arabeschi, e da una musica di tipo orientale carica di esotismo. Si vedono degli aquiloni che volteggiano nel cielo e una didascalia precisa il luogo e il tempo:—«S. Francisco – California, 2000». Appare subito la figura del protagonista, Amir, ormai adulto, con la moglie Soraya. Quando questi arrivano a casa hanno la sorpresa di trovare degli scatoloni contenenti il libro che Amir ha appena dato alle stampe. «Il tuo bambino», osserva la moglie, compiaciuta per l’orgoglio del marito, ma un po’ rammaricata per non aver avuto dalla sua relazione con Amir un bambino in carne ed ossa. Ma non c’è neanche il tempo per gioire che arriva una telefonata dal Pakistan. È Rahim Khan che chiama Amir e gli dice una frase particolarmente significativa: «C’è un modo per tornare ad essere buoni, Amir», invitandolo poi ad intraprendere un lungo viaggio.

Inizia il flashback.

Prima parte. Siamo a Kabul, in Afghanistan, nel 1978. Amir e Hassan partecipano ad una gara di aquiloni. Incomincia a delinearsi la forte, ma nel contempo ambigua, amicizia tra i due ragazzi. Hassan, fin dall’inizio dimostra totale dedizione e sottomissione nei confronti di Amir, dichiarandosi disposto a mangiare del fango se questi glielo chiedesse. Poi, dalle parole di Baba, che generosamente offre un assegno per gli orfani di Kabul, sentiamo – attraverso un colloquio con Rahim Khan – alcune osservazioni sul temperamento di Amir: «Amir non reagisce; lui non litiga mai con nessuno… è Hassan che lo difende… gli manca qualcosa a quel ragazzo… un ragazzo che non sa difendere se stesso diventa un uomo che non sa difendere niente». Rahim Khan difende il ragazzo con delle parole che poi risulteranno profetiche: «Non avrà mai il tuo temperamento, ma dagli tempo e ti renderà orgoglioso, vedrai». Amir assiste di nascosto a quel colloquio e si rifugia in camera sua, dove Rahim lo raggiunge, dimostrando interesse nei confronti delle storie che il ragazzo si diletta a scrivere. Ma qui veniamo a conoscenza di un elemento che forse è alla base dei complessi di Amir: egli è convinto che il padre lo odi per essere stato la causa della morte della madre al momento del parto. Comunque l’amicizia tra i due ragazzi continua anche con momenti belli e gioiosi: la proiezione del film I magnifici sette, che i due dimostrano di conoscere a memoria; lo scontro con Assef, che Hassan minaccia con la sua fionda obbligandolo a ritirarsi; i dialoghi tra i due che rivelano sensibilità diverse, ma anche confidenza e condivisione; il compleanno di Hassan, con il regalo di una fionda nuova e di uno splendido aquilone; la scritta, incisa su una pianta, quanto mai significativa: «Amir e Hassan, i sultani di Kabul»; la partecipazione a un grande torneo di aquiloni, con la vittoria e l’esultanza che ne consegue. Ma è proprio dopo la vittoria nel torneo che succede un fatto che porterà gradualmente alla fine dell’amicizia. Hassan corre a recuperare l’aquilone di Amir, gridando una frase che, come si capirà alla fine, possiede un profondo significato: «Per te un milione di volte». Ma, una volta recuperato l’aquilone, Hassan viene circondato da Assef (e dai suoi compari) che lo offende e, vista la sua determinazione a non rinunciare al trofeo che compete ad Amir, lo violenta e lo sodomizza. Amir assiste di nascosto all’avvenimento, ma non interviene. Ciò gli procurerà un profondo senso di disagio e di colpa nei confronti dell’amico, con conseguente cambio di atteggiamento: si disinteressa di lui quando questi sta male; lo provoca lanciandogli delle melagrane e accusandolo di essere un vigliacco per non aver reagito; chiede al padre di allontanare dalla casa Hassan e suo padre Ali; dopo il suo fastoso compleanno, nasconderà l’orologio regalatogli dal padre in camera di Hassan per poterlo accusare di furto. Il padre convoca Ali ed Hassan e chiede loro dell’orologio: Hassan è cosí umile e sottomesso da ammettere il furto dell’orologio, anche se non era vero. Baba lo perdona. Ma ciononostante Ali decide di abbandonare la casa e di non rimanere piú al servizio di Baba. Si tratta di un fatto non molto chiaro dal punto di vista anche solo narrativo: non si capisce perché Ali sia cosí determinato ad andarsene, nonostante il perdono di Baba e, soprattutto, dichiari di aver già preparato tutto per la partenza, segno che probabilmente la decisione era stata presa già da prima e indipendentemente dall’accusa di furto. Ma perché? Se lo chiede anche Baba, ma la risposta non risulta chiara. Sta di fatto che questa prima parte ha un preciso significato: l’amicizia tra Amir e Hassan, cosí bella e forte, viene bruscamente interrotta dal comportamento scorretto (frutto del senso di colpa e dell’invidia) di Amir, ragazzo problematico e pieno di complessi, incapace di corrispondere alla disarmante e radicale amicizia del compagno.

Seconda parte. Va subito detto che questa seconda parte non ha pressoché nulla a che vedere con la tematica dell’amicizia espressa in precedenza e risulta pertanto, dal punto di vista strutturale, un corpo quasi estraneo che toglie unità al film. La partenza di Ali e Hassan coincide con l’invasione delle truppe sovietiche dell’Afghanistan. Baba ed Amir sono costretti a fuggire dal loro Paese. Il film diventa ora molto narrativo nel descrivere le difficili prove che i due dovranno affrontare per raggiungere gli Stati Uniti. C’è la descrizione del grande gesto di coraggio compiuto da Baba nei confronti del soldato russo che vorrebbe approfittare di una povera donna in cambio del permesso di transito in Pakistan. C’è poi la descrizione della vita degli emigrati afgani in America, con il loro inserimento nel tessuto sociale; il raggiungimento del diploma da parte di Amir, con grande soddisfazione da parte del padre; il fidanzamento, dapprima osteggiato ma poi accettato da parte del generale, con Soraya; la malattia di Baba, non priva di elementi patetici, la proposta di matrimonio e lo sposalizio di Amir; la morte di Baba e il suo funerale. L’unico accenno che in tutta questa seconda parte esiste nei confronti dell’amicizia è dato dal titolo di un racconto che Amir sta scrivendo: «I sultani di Kabul». Ma tutto il resto sembra procedere per conto proprio e possiede una funzione puramente narrativa che si riferisce alla crescita e all’inserimento del protagonista nel suo nuovo mondo e alle sue vicende familiari.

Fine del flashback.

Terza parte. D’accordo con la moglie, Amir, dopo la telefonata di Rahim Khan, parte per il Pakistan e va a ritrovare quell’amico del padre che lo aveva incoraggiato a scrivere e al quale lui ha dedicato il suo primo libro. L’incontro è commovente, ma anche ricco di rivelazioni: Hassan e sua moglie sono stati uccisi dai Talebani e hanno lasciato un bambino orfano, Sohrab. Ma soprattutto Amir viene a conoscere che Hassan era figlio di suo padre e che pertanto Sohrab è suo nipote. Rahim Khan gli ripete quelle parole che gli aveva già detto per telefono: «C’è un modo per tornare a essere buoni, per rimediare al passato». C’è poi una vecchia lettera di Hassan, che nel frattempo aveva imparato a leggere e a scrivere, con la quale l’amico si rivolgeva all’amico, descrivendogli le brutture del loro Paese, la mancanza di bontà, ma anche lo rassicurava circa la sua fedeltà. Due brevi flashback richiamano la memoria dei bei tempi trascorsi insieme. E questa volta Amir, d’accordo con la moglie, reagisce. E con grande determinazione si reca in Afghanistan per recuperare Sohrab. A questo punto l’elemento spettacolare, già in agguato in precedenza, si scatena: desolazione in un Paese controllato dai Talebani; lapidazione di una donna adultera; Amir scoperto e picchiato a sangue dal perfido Assef; Sohrab che lo difende e colpisce con la fionda Assef proprio in mezzo agli occhi; la fuga rocambolesca inseguiti dai Talebani; la scomparsa di Sohrab e il suo ritrovamento.

Certamente tutto quello che Amir compie in questa terza parte sta ad indicare il desiderio di «rimediare al passato», di espiare le proprie colpe, di ricostruire quell’amicizia che era andata perduta per colpa sua. Si potrebbe obiettare dicendo che Amir fa tutto questo anche perché ha scoperto che Sohrab è suo nipote. Ma la lettera di Hassan permette di superare questo sospetto ed indica piuttosto il sincero desiderio di compiere un gesto di bontà, un po’ tardivo, ma comunque efficace. Forse si stanno realizzando le parole di Rahim Khan: «Dagli tempo e ti renderà orgoglioso». Sí, Amir è maturato, ha superato i propri complessi ed ora è in grado di rassicurare il piccolo Sohrab che si sente «sporco», promettendogli che da questo momento nessuno gli farà piú del male. Questa terza parte, quindi, riprende il tema dell’amicizia della prima parte e cerca di dire che l’amicizia, quando è vera e profonda, prima o poi dà i suoi frutti. Ma lo fa in un contesto spettacolare che inficia la validità della dizione tematica.

Epilogo. Sohrab ha trovato in America una nuova famiglia. Ed Amir ha trovato il coraggio di essere un uomo, anche rispondendo con fermezza al generale suo suocero, preoccupato di dover giustificare la presenza in una famiglia Pashtun di un ragazzino Hazara. Inutile dire che le ultime immagini del film rappresentano il volo degli aquiloni, con Amir che insegna a Sohrab i «trucchi del mestiere», gli parla della bravura del padre e corre a cercare l’aquilone vinto al grido di: «Per te un milione di volte, Sohrab».

È chiaro a questo punto che il tema di fondo è quello dell’amicizia che, prima o poi, produce altra amicizia. Tuttavia è praticamente impossibile formulare l’idea centrale del film a causa di quello squilibrio strutturale cui si è accennato. Tutta la seconda parte del film non c’entra con l’amicizia (è significativo che Amir non si sia piú interessato di Hassan e che solo alla fine venga a sapere che è stato ucciso), e la terza parte, che dovrebbe essere decisiva ai fini tematici, resta annacquata a causa del prevalere delle preoccupazioni spettacolari.

Si tratta di un’opera piú narrativa che tematica, per certi aspetti dignitosa ed edificante, ma priva di unità e con troppe concessioni di tipo spettacolare. (Olinto Brunoli)

 


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