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LA BANDA



Regia: Eran Kolirin
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 360 - 2008
Titolo del film: LA BANDA
Titolo originale: BIKUR HA-TIZMORET
Cast: regia e scenegg.: Eran Kolirin – fotogr.: Shai Goldman – colonna sonora: Habib Shehadeh Hanna – mont.: Arik Lahav Leibovitz – scenogr.: Eitan Levi – cost.: Doron Ashkenazi – interpr: Sasson Gabai (Tewfiq), Ronit Elkabetz (Dina), Saleh Bakri (Haled), Khalifa Natour (Simon), Imad Jabarin (Camal), Tarak Kopty (Iman), Hisham Khoury (Fauzi), François Khell (Makram), Eyad Sheety (Saleh), Shlomi Avraham (Papi), Rubi Moscovich (Itzik), Hila Surjon Fischer (Iris), Uri Gabriel (Avrum), Ahouva Keren (Lea) – durata: 90’ – colore – produz.: July-August Productions, Israele; Bleiberg Entertainment, Stati Uniti; Sophie Dulac Productions, Francia – origine: ISRAELE / FRANCIA, 2007 – distrib.: Mikado (21.03.2008) – www.thebandsvisit.com
Sceneggiatura: Eran Kolirin
Nazione: ISRAELE, FRANCIA
Anno: 2007
Presentato: 60. Festival di Cannes 2007 - Un Certain Regard - Premio COUP DE COEUR, Premio RIVELAZIONE DELL'ANNO EFA 2007

È la storia di una Banda, o meglio, – per essere piú precisi – degli otto componenti della Alexandria Police Cerimonial Orchestra, cioè la Banda della Polizia di Alessandria d’Egitto, che viene invitata all’inaugurazione di un Centro Culturale arabo in una cittadina israeliana; gli otto componenti del complesso arrivano all’aeroporto di Tel Aviv ed hanno la prima sorpresa: ad attenderli non c’è nessuno, ma il pragmatico direttore d’orchestra – nonché colonnello Tewfiq – fedele al motto «da venticinque anni abbiamo saputo fare a meno di un manager», non si perde d’animo e decide di raggiungere il luogo utilizzando un autobus locale. Il «bello» della compagnia, il giovane Haled, in virtú delle sue conoscenze di inglese (scarse e approssimative), viene incaricato di acquistare i biglietti e di informarsi su quale autobus li porti nella cittadina dove li stanno aspettando; sarà forse colpa dell’assonanza dei nomi, ma di fatto i musicisti si ritrovano a Bet Hatikva, mentre sono attesi a Petah Tikva, e la sfortuna vuole che da quel posto sperduto non ci sia nessun autobus fino al giorno seguente.

Il villaggio dove sono stati scaricati dall’autobus è un agglomerato di casermoni situato in pieno deserto, una sorta di Las Vegas ma senza le luci, i colori, gli alberghi ed i casinò, insomma con solo il deserto attorno; il posto è decisamente inospitale ed ha la stessa vita che si potrebbe incontrare su Marte: gli otto musici, si vedono costretti ad accettare l’ospitalità di quella che appare come l’unica locanda del paese, un ristorante gestito da Dina, una bella donna follemente innamorata di Omar Sharif e dei film arabi.

Da questo punto in poi la narrazione si spezzetta in tre parti: la prima è quella del colonnello – vedovo inconsolabile – vanamente concupito dalla locandiera; la seconda è quella del giovane seduttore della compagnia che si divide in una sorta di lezione di seduzione fatta senza parole, rivolta ad un israeliano timidissimo, Papi, innamorato, ricambiato, di una bella ragazza, ma incapace di compiere il primo passo; la terza è rappresentata dal resto della compagnia che trova ospitalità in una casa di arabi e mentre tutti sono seduti intorno ad una tavola imbandita per la cena, cade un improvviso silenzio, assai imbarazzante e forse anche dimostrazione di una qualche ostilità: ma basta intonare in modo sgangherato e approssimativo «Summertime» per tornare a comunicare e azzerare le distanze tra le due comunità.

Intanto il colonnello, anche per sviare le palesi velleità della bella Dina, rivela alla donna il dramma che ha vissuto per la contemporanea perdita della moglie e del figlio e si rifugia poi in una deliziosa spiegazione del fascino insito nella pesca, specie per i suoi silenzi «che ti portano tutti i rumori della natura i quali finiscono per formare un’unica, spontanea sinfonia».

Il posto del riottoso colonnello verrà preso dal seducente Haled il quale donerà – con il tacito consenso del comandante – una notte d’amore a Dina che in questo modo potrà sognare di essere stata visitata dall’amato Omar Sharif.

Il mattino seguente gli otto componenti si ritrovano in strada pronti a prendere l’autobus per recarsi nel posto giusto dove li stanno aspettando ed infatti la sequenza successiva ce li mostra sul palco del Centro Culturale dove si esibiscono in una bellissima canzone araba: finalmente hanno assolto alla loro missione ed alle loro spalle – inquadrate con insistenza dall’autore – garriscono al vento la bandiera egiziana e quella israeliana, accanto l’una all’altra, quasi a significare l’ineluttabile intreccio tra i due popoli confinanti.

La struttura dell’opera poggia su tre parti che comunque si legano l’una all’altra: la prima è rappresentata dall’arrivo della banda in territorio israeliano ed il successivo incontro con Dina, la proprietaria del ristorante dove si svolgerà buona parte della seconda parte, nella quale si assiste all’interagire tra il comandante e Dina, poi tra Haled e Papi ed infine tra il giovane egiziano e la bella israeliana.

In questi rapporti, nei quali ognuno dei singoli componenti «donerà» qualcosa all’altro e «riceverà» altrettanto, sta il significato del film che affronta il problema della complementarità dei due popoli, cosí vicini tra loro, e cosí resi «lontani» dalle vicende politiche che alla gente comune paiono non interessare affatto.

Le divergenze culturali e politiche vengono superate da un elemento dal linguaggio universale: la musica, dalla quale peraltro, scaturisce l’amore.

E in questo film il regista usa toni diversi da tanti altri lavori del genere: banditi i muri, le bombe, i carri armati, i reticolati e i kamikaze, agli uomini ed alle donne presenti in questa landa sconfinata resta la musica e la possibilità di comunicare attraverso il sentimento; e questo nuovo approccio al problema appare talmente semplice che sembra quasi anacronistico che non sia stato ancora tentato. 

Per concludere, un piccolo, grande film in cui la genuinità dei sentimenti di pace che l’autore (un israeliano) mostra di avere nei confronti del problema, è ben evidenziato dalla narrazione; e caso mai non ce ne fossimo accorti fino a quel momento, l’ultima sequenza del film ci mostra la banda che suona una canzone araba in territorio israeliano e le due bandiere anziché fronteggiarsi sono affiancate e paiono abbracciarsi: è veramente un inno a guardare i problemi con un’altra ottica e con un cuore piú puro e disponibile al dialogo. (Franco Sestini)

 
 
Nota di cronaca su LA BANDA
di Adelio Cola
 

Nota di cronaca, che aiuta a renderci conto dell’attualità del piccolo film.

 Si è svolto a Torino con grande concorso di visitatori il XXI Salone del libro (padiglioni del Lingotto, 8-12 maggio 2008).

 Gli organizzatori invitano ogni anno una nazione straniera come ospite d’onore. Quest’anno l’invito è stato rivolto ad Israele. Stand e mostre ne documentano la cultura sotto ogni aspetto, religioso, civile, letterario e cinematografico.  

 Nei giorni della manifestazione vengono proiettati in città al Cinema Massimo 3 dieci film recenti sullo «Stato delle cose oggi in Israele».

 Ho avuto la possibilità di assistere al filmLA BANDA. Qui le metafore sono «trasparenti».

 Ecco il succo della storia: vai dove vuoi, i problemi umani che incontri sono simili a quelli che tu stesso stai vivendo: fondamentalmente la solitudine e l’insoddisfazione della vita che stai conducendo. Malinconia, tristezza inconsolabile, inutilità della ricerca d’un altrove che non soddisfa sono risultati dell’ansia di raggiungere un eden inesistente. Sono invece importanti, secondo il regista del film, al fine d’una civile convivenza pacifica tra etnie diverse, certi valori che accomunano culture e tradizioni spesso molto «lontane». (Adelio Cola)

 


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