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La città proibita



Regia: Zhang Yimou
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 352 - 2007
Titolo del film: LA CITTÀ PROIBITA
Titolo originale: MAN CHENG JIN DAI HUANG JIN JIA
Cast: regia: Zhang Yimou – sogg.: Cao Yu (da un suo dramma teatrale) – scenegg.: Zhang Yimou, Wu Nan, Bian Zhihong – fotogr.: Zhao Xiaoding – mus.: Shigeru Umebayashi – mont.: Cheng Long – scenogr.: Huo Tingxiao – cost.: Yee Chung Man – effetti: The Moving Picture Company, Centro Digital Pictures Ltd. – consulenza storica: Wang Bin – interpr. princ.: Gong Li (Imperatrice Phoenix), Chow Yun-Fat (Imperatore Ping), Liu Ye (Principe ereditario Wan), Jay Chou (Principe Jai), Qin Junjie (Principe Yu), Li Man (Chan Jiang), Chen Jin (Sig.ra Jiang), Ni Dahong (Jiang, medico imperiale) – durata 111’ – colore – produz.: Zhang Yimou, William Kong, Zhang Weiping per Beijing New Picture Film Co., Edko Film Ltd., Elite Group Enterprises, Film Partner International – origine: CINA, HONG KONG, 2006 – distrib.: 01 Distribution
Sceneggiatura: Zhang Yimou, Wu Nan, Bian Zhihong
Nazione: CINA, HONG KONG
Anno: 2006

È la storia dell’Imperatrice della Cina, la quale, lasciata sola nell’immenso palazzo dall’Imperatore che stava ai confini della nazione per proteggerli dai tanti nemici, instaura una relazione con il figliastro, rimasto a palazzo, e, in attesa del ritorno del marito trama alle sue spalle per la conquista del trono; l’Imperatore, intanto, da ordine al medico imperiale di aggiungere al «rimedio» – una sorta di pozione medicamentosa composta da vari elementi fatti passare in infusione – il fungo nero della Persia, malefico veleno a lunga gittata che, assunto ogni due ore, in capo a qualche mese porta il malato ad avere gravi crisi di pazzia e successivamente alla morte. L’Imperatore fa ritorno a casa, proprio in tempo per partecipare ad un rito speciale, la festa dei crisantemi, nella quale si festeggia, ma al tempo stesso si invoca, la solidità della famiglia come elemento di stabilità della Nazione. L’Imperatore tornato a palazzo, viene a conoscenza della tresca tra l’imperatrice ed il figliastro, ma poco si rammarica, tutto impegnato a organizzare la sua potenziale successione: il prescelto sarà il Principe Jai, al quale non confida la scelta, ma con cui ingaggia uno splendido duello-balletto che a suo modo sancisce la scelta; egli è il maggiore dei figli avuti dall’attuale Imperatrice, ma la successione spetterebbe all’altro figlio, il Principe Wan, chiamato appunto «principe ereditario» per ragioni di età, figlio del primo matrimonio dell’Imperatore, proprio colui che ha avuto il rapporto amoroso con l’Imperatrice.
Quest’ultima intanto cerca di organizzare un golpe, utilizzando la smania di potere del Principe Jai ed il fatto che egli è stato destinato al comando della Guardia Imperiale: il tutto dovrebbe avvenire nella notte della festa dei crisantemi, simbolo dell’Imperatrice; durante i preparativi della festa si vede anche la prima moglie dell’Imperatore, attualmente coniugata con il medico imperiale, abbandonata per essere sostituita dall’Imperatrice attuale, la quale è figlia di un potente sovrano che gli ha consentito di prendere il potere.
Arriviamo alla sospirata Festa del Crisantemo, dove le milizie agli ordini di Jai si ribellano e marciano verso il Palazzo, ma l’Imperatore – che era venuto a conoscenza del piano della moglie e del figlio – è pronto a parare il colpo ed a distruggere l’intera Guardia Imperiale, attraverso una battaglia tanto cruenta quanto bellissima sotto il profilo estetico.
E cosí alla fine, ritroviamo la famiglia imperiale che si riunisce per il pranzo sulla solita terrazza, attorno alla solita tavola quadrata: sono rimasti in tre, l’Imperatore, l’Imperatrice e il Principe Jai che è stato sconfitto ma non ucciso; l’Imperatore gli propone di salvargli la vita a patto che si incarichi personalmente di somministrare ogni due ore il «rimedio avvelenato» all’Imperatrice. Il Principe preferisce uccidersi, tra l’indifferenza del padre e mentre la madre, per la prima volta, rifiuta la bevanda malefica e getta il liquido sul sigillo imperiale, deturpando gravemente l’incisione: restano solo l’Imperatore e la moglie; chi il vincitore e chi lo sconfitto?
Realizzato con una cura quasi maniacale dei particolari e con una dovizia di mezzi tecnici veramente notevole, il film ha nella forma un qualcosa che incide nella sua significazione: ambientato a Pechino piú di mille anni fa, nel decimo secolo della dinastia Tang, lo sfarzo, l’ostentazione, la grande ricchezza, le bellezze sontuose degli splendidi ambienti, contrastano con le abiette trame all’interno della famiglia imperiale.
Di modo che il «come narrativo» ci mostra uno splendore sfarzoso per raccontarci una vicenda intrisa di aspirazioni di potere e di tradimenti anche di carattere familiare; e l’Imperatore ne è l’archetipo, con la sua veste lussuosa fatta di ori e di giade, somministra alla moglie un potente veleno che si manifesterà a tempo debito: con questo non vuole punire il tradimento con il figliastro, ma la tresca che la donna sta impostando con l’altro figlio per conquistare il potere.
Ecco, è il potere l’elemento che coalizza le persone; è il potere il collante che instaura alleanze non facilmente ipotizzabili prima; ma il potere è anche causa dei rischi che aleggiano su colui che lo esercita: la distruzione del sigillo imperiale da parte della pozione che l’Imperatrice si rifiuta di prendere, può esserne sintomatico elemento, in quanto richiama all’attenzione di tutti la fragilità del potere ed il fatto che lo stesso si regga principalmente sull’obbedienza e che un rifiuto ne incrina fortemente la sua stabilità.
Film quindi centrato sul potere, sulla smania e sul desiderio di possederlo; e per fare questo si passa sopra a qualsiasi sentimento, anzi se ne cancella l’esistenza, quasi a non tenerli nella minima considerazione.
Nella narrazione, infatti, non ci sono sentimenti, se non votati all’acquisizione del potere; non c’è l’amore, ed anche quel poco che l’autore ci mostra si rivela impossibile da raggiungere: Chan, figlia del medico imperiale, ama il Principe Wan, ma i due si riveleranno essere fratello e sorella, in quanto figli entrambi della prima moglie dell’Imperatore e quindi impossibilitati a realizzare la favola d’amore.
Con un montaggio mozzafiato e con un uso smodato della computer grafica, il film ci mostra una sequela di balletti, come già ci aveva fatto vedere in LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI; cosí facendo, le lotte, le morti, anche cruentissime, assumono una forma di balletto e l’orrore per il contenuto svanisce, per lasciare il posto ad un moto di stupore per la perfezione dei movimenti e per la magnificenza dei colori che vengono utilizzati.
Film quindi bello e appagante sotto il profilo visivo; mi si consenta però di rimpiangere lo Zhang Yimou di NON UNO DI MENO e quello de LA STRADA DI CASA, opere senza dubbio piú povere sotto l’aspetto visivo, ma certamente piú intimiste e quindi piene di sentimenti; a proposito di questi ultimi film, c’è chi dice che essi sono stati realizzati dal regista cinese per i cinesi in quanto raccontano la realtà attuale del Paese, mentre opere come quella di cui si parla, insieme a HERO e LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI sono per il resto del mondo, al quale Zhang desidera raccontare il passato e lo splendore del proprio Paese. (Franco Sestini)
 

 


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