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Niente da nascondere - caché



Regia: Michael Haneke
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 333 - 2005
Titolo del film: NIENTE DA NASCONDERE - CACHÉ
Titolo originale: CACHÉ
Cast: regia e scenegg.: Michael Haneke - fotogr.: Christian Berger - mont.: Michael Hudecek, Nadine Muse - scenogr.: Emmanuel De Chauvigny - Effetti: Philippe Hubin - cost.: Lisy Christl - Interpr.: Daniel Auteuil (Georges), Juliette Binoche (Anne), Maurice Benichou (Majid), Annie Girardot (Madre di George), Bernard Le Coq (Redattore Capo), Walid Afkir (Figlio di Majid), Daniel Duval (Pierre), Nathalie Richard (Mathilde), Denis Podalydes (Yvon), Aissa Maiga (Chantal), Caroline Baehr (Infermiera), Christian Benedetti (Padre di Georges), Lester Makedonsky (Pierrot), Philippe Besson (Invitato dell’emittente televisiva), Loic Brabant (Poliziotto), Blandine Lenoir - durata: Ô117 - colore - produz.: Les Films du Losange, Wega Film, Bavaria Film, France 3 Cinema, Arte France Cinema, Eurimages Fund of the Council of Europe, Cnc, Le Studio Canal+ - origine: Austria / Francia / Germania / Italia, 2005 distrib.: Bim
Sceneggiatura: Michael Haneke
Nazione: AUSTRIA, FRANCIA, GERMANIA, ITALIA
Anno: 2005
Presentato: 58. Festival di Cannes 2005 - Premio MIGLIOR REGIA, PRMEIO SIGNIS e Premio FIPRESCI

Il regista. Michael Haneke è nato a Monaco di Baviera il 23 marzo 1942. Figlio d’arte (suo padre, Fritz, era regista), Michael è cresciuto in Austria, dove ha studiato psicologia e filosofia, oltre a teatro, presso l’Università di Vienna. Ha insegnato regia presso la Vienna Film Academy ed ha esordito nel lungometraggio nel 1989 con Der siebente Kontinent (Il settimo continente). Tra i suoi film piú importanti sono da ricordare: Funny Games (1998), La pianista (2001), Il tempo dei lupi (2004) ed infine questo Niente da nascondere.

Il film. Presentato al Festival di Cannes 2005, dove ha ottenuto il Premio alla regia, quest’ultima opera di Haneke, da qualcuno definito ´il piú perfido talento del cinema europeoª, si presenta come un thriller ossessivo e magistrale, ma risulta essere un apologo morale che, nonostante l’enigmatica conclusione (´L’ideale è non pretendere mai spiegazione – avverte il regista – io faccio domande, non do risposteª), ben si presta a riflettere sul tema del male, della responsabilità e del rimorso, sia a livello individuale che socio-politico.

La vicenda. Georges, affermato conduttore di una trasmissione televisiva culturale, e sua moglie Anne, un’intellettuale che lavora come consulente per una casa editrice, vivono una vita tranquilla e serena con il figlio Pierrot, di dodici anni, nella loro bella casa di un quartiere parigino. Un giorno ricevono a domicilio una videocassetta. Le immagini, effettuate con telecamera fissa, riprendono per due ore la loro casa e tutto quello che avviene davanti ad essa. Evidentemente c’è qualcuno che li spia. Potrebbe anche trattarsi di uno scherzo, ma certamente non di buon gusto. Le cose si complicano quando misteriosamente arrivano altre cassette, alcune delle quali corredate da disegni stilisticamente infantili, ma con soggetti macabri e inquietanti. Georges si rivolge alla polizia, ma senza ottenere alcun aiuto. Ad un certo punto le cassette forniscono indizi piú dettagliati che fanno intuire a Georges chi potrebbe esserne l’autore: un certo Majid, un ragazzo di origine algerina che i genitori di Georges avrebbero voluto adottare quand’era rimasto orfano, ma che Georges, che allora aveva solo sei anni, era riuscito a far cacciare di casa ricorrendo a delle menzogne. Sulla base degli indizi ricevuti, Georges riesce a ritrovare Majid, che vive in uno squallido appartamento della banlieue parigina e, ritenendolo l’autore delle cassette, lo minaccia; mentre l’altro, che cerca piuttosto il dialogo, protesta la propria innocenza.
Una sera Pierrot non torna a casa a dormire. Naturalmente i sospetti ricadono ancora una volta su Majid, che potrebbe cercare una vendetta. Scortato dalla polizia, Georges si reca da lui. Scopre che Majid ha un figlio che vive con lui, ma di Pierrot nessuna traccia. Comunque i due algerini vengono portati in questura per accertamenti.
In seguito Majid telefona a Georges e gli chiede di andare da lui. Di fronte ai suoi occhi, improvvisamente, l’uomo si taglia la gola e cade riverso in una pozza di sangue. Il turbamento di Georges è evidente. Tornato a casa, racconta tutto alla moglie, anche quei particolari legati all’infanzia che egli aveva detto di aver dimenticato.
L’indomani il figlio di Majid va a trovarlo sul lavoro e gli rinfaccia tutte le sue responsabilità; ma Georges, ancora una volta, non vuole riconoscerle e arriva a minacciarlo. Salvo poi andare a casa e, dopo aver ingerito un paio di pastiglie, andare a letto e nascondersi sotto le coperte.
Il giorno dopo il figlio di Majid va davanti alla scuola di Pierrot e lo aspetta. I due ragazzi si parlano, ma non si sente che cosa si dicono. Poi, serenamente, si lasciano e ciascuno va per la propria strada, mentre altri ragazzi si soffermano pigramente davanti alla scuola.

Il racconto. Già il titolo originale del film è estremamente significativo. Caché, cioè nascosto o, si potrebbe dire, “rimosso”, è quell’episodio dell’infanzia di Georges che ad un certo punto riaffiora, portandosi dietro tutto quel carico di dolore e di disperazione che ha segnato per sempre la vita di un uomo. La cosa risulta particolarmente chiara nell’episodio in cui Georges, iniziando a sospettare di Majid, va a trovare la vecchia madre per chiederle informazioni. Anche lei, all’inizio, dice di non ricordare (anche se allora aveva dimostrato affetto nei confronti di quel povero ragazzo, al punto da volerlo adottare). Ma alcune frasi assumono un peso particolare: ´È passato tanto tempoÖSono ricordi sgradevoliÖ L’avevo completamente rimossoª. Ma non è un caso che proprio quella notte trascorsa a casa della madre, Georges abbia un incubo in cui rivive l’episodio del gallo cui Majid aveva tagliato la testa (di cui si parlerà piú avanti). Cosí come non è un caso che, verso la fine del film, Georges sogni l’episodio del drammatico allontanamento del piccolo Majid dalla casa dei suoi genitori.
Anche il titolo italiano, comunque, è pregnante: durante l’ultimo incontro del figlio di Majid con Georges, quest’ultimo afferma, quasi gridando:´Non ho niente da nascondereª; mentre il ragazzo ribatte con sarcasmo: ´Ah no?ª.
Il film inizia con un piano-sequenza. La macchina, fissa, riprende a lungo la casa di Georges con tutto quello che le passa dinanzi: un uomo che cammina, Anne che esce di casa, un ciclista, lo stesso Georges che esce, ecc. Dopo di un po’ ci si rende conto che quelle immagini fanno parte di una videocassetta che Georges ed Anne stanno visionando. ´Dov’era?ª, chiede il marito; ´In una busta di plastica davanti alla portaª, risponde Anne. I due escono in strada per vedere se riescono a scoprire qualcosa. Poi rientrano e continuano a guardare la cassetta.
La struttura del film è lineare, con l’inserimento, però, di due flash-back relativi ai sogni di cui s’è parlato.
Protagonista è senz’altro Georges che, con la moglie, fa parte di quella buona borghesia ricca e colta di Parigi, che vive una vita serena e apparentemente invidiabile, tra soddisfazioni professionali, gli amici coi quali conversare, ecc. Ma, improvvisamente, qualcosa scricchiola in quell’ordine rassicurante. La consapevolezza di essere spiati diventa motivo di turbamento. All’inizio prevale la curiosità, la sorpresa, l’incredulità (´Tu conosci qualcuno che potrebbe fare una cosa cosí?ª. Si fanno le ipotesi piú svariate: potrebbe essere stato un compagno di Pierrot; oppure un ammiratore di Georges. Sta di fatto che la cosa non è assolutamente divertente. In seguito, l’arrivo di altre cassette con disegni raccapriccianti e il ricevimento di telefonate anonime portano alla logica decisione di rivolgersi alla polizia. Ma la tensione sale. Lo dimostra quel litigio con un ciclista di colore all’uscita dalla questura, ma anche le schermaglie e le incomprensioni che incominciano a manifestarsi tra i due coniugi. Durante una cena con gli amici si sente suonare il campanello. Georges va ad aprire, ma non trova nessuno. La sua reazione, rabbiosa, si trasforma in una sfida, che lo porta ad urlare in mezzo alla strada: ´Vieni qui e dimmi che cosa vuoi!ª. Rientrato, trova davanti alla porta un’altra cassetta con tanto di disegno. Il nervosismo è palese e porta Anne a confidarsi con gli amici. Ma questa volta la cassetta offre un indizio che solo Georges può cogliere: le immagini si soffermano sulla casa della sua infanzia e fanno scattare in lui un dubbio, un sospetto.
Ed eccolo recarsi dalla madre per chiedere di Majid, ma di nascosto, senza dirlo alla moglie. Poi, dopo aver ricevuto un altro importante indizio (il nome della via e il numero della camera), dice ad Anne di avere un sospetto, ma non vuole rivelarle di che cosa si tratta, provocando il suo risentimento e incrinando il rapporto di fiducia esistente tra loro. Georges ha certamente capito, ma non vuole ammetterlo; vuole mantenere ancora nascosta quella verità che si sta facendo strada nella sua psiche e tenerla tutta per sé.
L’incontro con Majid rispecchia l’atteggiamento di un uomo che non cerca di comprendere, di capire come stanno le cose, di dialogare con quel pover’uomo che si professa innocente e che confidenzialmente gli dà del “tu”. L’unica cosa che Georges vuole è di essere lasciato in pace, di non essere costretto a ricordare cose sgradevoli che potrebbero pesargli sulla coscienza. E non trova di meglio da fare che ricorrere a delle minacce, provocando la giusta indignazione di Majid: ´Che cosa si farebbe per non perdere niente!ª. Poi telefona alla moglie e, questa volta, mente affermando di non aver trovato nessuno a quell’indirizzo. Anche se poi, di fronte alla registrazione di quell’incontro fatta a sua insaputa dall’interno della camera (che documenta, tra l’altro, la disperazione del povero Majid dopo la dipartita di Georges), è costretto a scusarsi con la moglie per la bugia e a dare alcune spiegazioni: Majid è il figlio di braccianti algerini che lavoravano per i suoi genitori e che erano scomparsi nel 1961 in seguito ai moti anticolonialisti scoppiati a Parigi. Majid stava per essere adottato dai genitori di Georges, ma quest’ultimo non voleva dividere con lui la sua camera e i suoi giochi. Anne vorrebbe saperne di piú, ma Georges è reticente, dice di non ricordare che cosa è accaduto realmente; l’unica cosa che ci tiene a ribadire è: ´Avevo sei anni e lo odiavoÖHo dimenticato tuttoÖNon mi sento responsabileª.
Georges si sente minacciato anche sul piano professionale quando viene a sapere che una cassetta è stata inviata anche al responsabile dei suoi servizi televisivi che, non senza ambiguità, gli fa notare che ´Sarebbe molto sconveniente se si venisse a sapereª. L’insicurezza che ne deriva produce in lui una rabbia che lo porta a tornare a cercare Majid, ma invano.
La momentanea scomparsa del figlio alimenta i sospetti, provoca preoccupazione e disperazione. Da notare che tale scomparsa è da mettere in relazione con il progressivo deterioramento del rapporto tra Anne e Georges e del loro allontanamento. Anne aveva infatti cercato “consolazione” con l’amico Pierre. Non si capisce fino a che punto, ma è significativo che lo stesso ragazzo, una volta tornato, alluda al loro rapporto e, di fronte alla negazione della madre, la respinga e si allontani da lei.
Dopo l’irruzione fatta dalla polizia alla ricerca di Pierrot e il conseguente momentaneo arresto di Majid e di suo figlio, Georges ritorna a casa e, da solo, in cucina, si mette a piangere. La sicurezza del protagonista viene messa a dura prova e qualcosa, dentro di lui, si sta incrinando.
Dopo il suicidio di Majid, Georges è praticamente costretto a confessare alla moglie i particolari che finora aveva tenuto nascosti: da piccolo aveva accusato Majid di sputare sangue e poi l’aveva costretto a tagliare la testa a un gallo (V. il primo sogno) per poterlo accusare di fronte ai genitori. Era cosí riuscito a farlo allontanare e a mandarlo in un orfanotrofio (V. il secondo sogno). È significativo comunque che questa confessione avvenga solo ora e nell’oscurità della camera (la luce viene volutamente spenta), quasi per mantenere ancora nascosta quella verità, che rischia di alimentare sensi di colpa. E infatti, nell’icontro finale con il figlio di Majid, Georges non cerca parole di spiegazione o di comprensione, ma continua ad accusare e a minacciare, e di fronte alle parole del giovane:´Lei ha privato mio padre della possibilità di ricevere una buona istruzioneÖall’orfanatrofio si impara l’odio, non l’educazioneÖeppure mio padre mi ha educato per bene: non lo dimenticherò maiª, Georges ribatte significativamente:´Non riuscirai a farmi sentire in colpa o a farmi venire la coscienza sporca perché tuo padre ha vissuto male la sua vita. Io non ne sono responsabile; lo capisci questo?ª. Ma il ragazzo conclude:´Voglio sapere come ci si sente ad avere un uomo sulla coscienza. Tutto qui. Ora lo soª.
Georges si rifugia nella sua casa. È solo. Prende un paio di pastiglie e telefona alla moglie:´Mi riposo un po’Ösono un po’ stancoÖcredo di avere un po’ di febbreÖdí a Pierrot che quando torna faccia attenzione al suo vecchio papàª. Poi, ancora una volta nell’oscurità, completamente nudo, si rifugia sotto le coperte, quasi nel tentativo di sparire, di annullarsi, di perdere coscienza. Ma il sogno è in agguato. La sua reazione è certamente frutto di uno sconvolgimento che è avvenuto dentro di lui, di una presa di coscienza; ma resta pur sempre un gesto sterile, compiuto da un uomo che, pieno di sé e del suo mondo, è incapace di uscire da se stesso e di aprirsi a un rapporto sincero e genuino (si veda, in proposito, anche il suo comportamento con la moglie). Teologicamente parlando, si potrebbe dire che il suo è un senso di colpa, che porta ad un ripiegamento su se stessi, ad una sofferenza che rischia di essere autodistruttiva e sterile. A differenza del senso del peccato, che porta al riconoscimento pieno dei propri errori, al pentimento, all’espiazione, alla riconciliazione.
L’epilogo, che rappresenta l’incontro tra Pierrot e il figlio di Majid, è stato variamente interpretato e conserva il sapore dell’enigma. Che cosa si dicono i due ragazzi? Viene finalmente svelato il mistero dell’autore delle cassette? Se il film fosse veramente un thriller la risposta a questa domanda sarebbe decisiva e fondamentale. Ma, come s’è detto, il film è piuttosto un apologo morale, e il regista spiazza lo spettatore non rispondendo al quesito. Non importa sapere chi è l’autore delle cassette, ma piuttosto che, in un modo o nell’altro, talvolta inspiegabilmente, la verità si fa strada, anche se si tenta di dimenticarla, di rimuoverla, di nasconderla. Cosí come non importa sapere che cosa si dicono i due ragazzi; ma è importante che essi si parlino, in un clima di serenità e di rispetto. Tra loro, che appartengono ad un’altra generazione e ad un’altra cultura, nasce con naturalezza il dialogo che apre la strada alle spiegazioni, alla trasparenza, ad una sorta di complicità. I ragazzi, anche quelli che vediamo nelle ultime immagini del film, sembrano rappresentare il contraltare al mondo degli adulti (soprattutto di quegli adulti che, come Georges, sono arroccati sulle proprie posizioni e chiusi nel loro egoistico individualismo) e una speranza per un futuro migliore (forse, a questo proposito, potrebbero assumere un significato simbolico le immagini che rappresentano Pierrot in piscina a contatto con l’acqua).
Da quanto s’è detto, si può affermare che il film affronta il tema del male e delle sue conseguenze: il male compiuto da Georges (il suo atto di egoismo) ha rovinato la vita di Majid; questo male non può essere dimenticato o nascosto (perché la verità, prima o poi, viene a galla) e non può che produrre in chi l’ha commesso senso di colpa e un deprimente rimorso.
Ma evidentemente all’autore non interessa solo quel male (per quanto gravido di conseguenze) compiuto da un bambino di sei anni. L’universalizzazione del film è chiara e investe quei mali piú grandi provocati dalla politica e dalla volontà di potenza delle nazioni. È infatti esplicito il riferimento alla questione algerina e ai moti del 1961, quando la polizia francese caricò una manifestazione di immigrati algerini che protestavano contro l’occupazione francese dell’Algeria: in seguito agli scontri furono ripescati nella Senna piú di duecento cadaveri di manifestanti. Ma nel film c’è anche un riferimento piú attuale e inquietante. Durante l’episodio della scomparsa di Pierrot, assumono un grosso peso strutturale le immagini di un telegiornale che mostrano le violenze in Iraq (se non erro, si parla di soldati accusati di torture che si dichiarano ´non colpevoliª) e gli scontri del conflitto israelo-palestinese. Non sono forse questi i mali (sembra dire il regista) che oggi si cerca di nascondere, ma che non potranno essere rimossi perché la Storia, prima o poi, li farà tornare a galla, con tutto il carico di dolore che hanno provocato e che continueranno a provocare?

Niente da nascondere è un’opera originale ed inquietante, che cattura lo spettatore con le sue lunghe sequenze silenziose, in cui l’autore mescola abilmente riprese vere e riprese fatte con la telecamera che spia la casa e la famiglia di Georges. L’opera è priva di musica, per cui le immagini visive acquistano una particolare pregnanza, e si avvale della pregevole interpretazione di Daniel Auteuil e di Juliette Binoche. L’impostazione a thriller e gli elementi di spettacolarità che ne derivano sono perfettamente funzionali ad una tematica che dovrebbe favorire la riflessione, sia per la sua attualità che per lo spessore morale che la caratterizza. (Olinto Brugnoli)
 

 


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