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HONGYAN – (Dam Street)



Regia: Li Yu
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 333 - 2005
Titolo del film: HONGYAN – /DAM STREET)
Titolo originale: HONGYAN
Cast: regia: Li Yu – scenegg.: LiYu e Li Fang – fotogr. : Wei Wang – mont.: Karl Riedl – musLiu Sijun – Wei Dong – scenogr.: Cai Weidong – costumi: Li Xuan – interpr.: Liu Yi (Yun), Huang Xingrao (Xiao Yong), Li Kechun (Teacher Su), Wuang Yizhu (Wang Zhengyue) – durata 93’ – colore – produtt.: Fang Li– produz.: Laurel Film - origine: Cina, 2005
Sceneggiatura: Li Yu e Li Fang
Nazione: CINA
Anno: 2005
Presentato: 62. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2005 - Orizzonti

È la storia di Xiao Jun, una ragazzina di appena sedici anni, che rimane incinta e viene costretta a partorire presso l’Ospedale dove lavora in qualità di infermiera la sorella del padre del nascituro: siamo nel Sichuan agli inizi degli anni ’80 e sia il regime che la mentalità popolare bollano a lettere di fuoco la giovanetta che si è macchiata di siffatto peccato. Il fidanzato viene mandato via urgentemente dal paese e inviato da uno zio lontano che gli insegni il mestiere del falegname. A Jun viene detto che il bimbo è nato morto, in modo da avere la disponibilità di darlo in adozione.
La ragazza – dieci anni dopo – la ritroviamo, ancora etichettata come “sgualdrina” ridotta ad umiliarsi in uno squallido gruppo di canto e di ballo, con il pubblico che l’appella nel peggiore dei modi e che la invoca con il grido “nuda, nuda”, a testimonianza della tipologia dell’ambiente.
Ha una relazione, anch’essa squallida e basata soltanto sul sesso, con un uomo sposato che gli dedica i ritagli di tempo che riesce a strappare alla famiglia; è insidiata anche da un piccolo boss della malavita, proprietario di un locale da ballo, che non sa capacitarsi perché la ragazza continui a rifiutarglisi.
Gli unici momenti di gioia gli vengono dagli incontri con un ragazzino di una diecina d’anni, Xiao Yong, che la chiama sorella Jun e le chiede ripetutamente di sposarlo, magari quando sarà un po’ piú grande e lei piú vecchia in modo che nessuno la vorrà e lei potrà dedicarsi solo a lui.
 Il ragazzino vive con una madre infermiera, divorziata da un graduato dell’esercito, la quale non riesce a tenere a freno tutta la sua vitalità; nell’ultima parte del film viene fuori la verità – che uno spettatore un po’ avveduto aveva già scoperto da tempo‘– e cioè che Yong è il figlio di Jun, mentre la madre del ragazzino non è altri che l’infermiera (sorella del fidanzato di Jun) che ha eseguito il parto e che – anziché darlo in adozione – ha preferito tenerlo per se.
 Tutto l’arcano viene fuori in occasione della cremazione del fidanzato della ragazza, deceduto in un incidente stradale; questo è l’evento scatenante che conduce lo spettatore per mano a scoprire tutta la verità sui dieci anni trascorsi: resta da fissare il rapporto tra Jun e il ragazzo, cioè se dirgli o meno che lei è la vera madre; dopo aver ferito con una bottigliata l’ennesimo individuo che è convinto di potersi prendere qualsiasi libertà dato che lei è una “sgualdrina”, Jun decide di andarsene lontano e, dopo un colloquio con la madre del ragazzo, decide di non rivelargli niente e di lasciare le cose come stanno.
 Si tratta di un polpettone melodrammatico del genere che si usava anche da noi negli anni ’50 (“Catene” e “I figli di nessuno” ne sono stati gli epigoni), con la differenza‘– per la verità di un certo rilievo – che questo genere prevede, di norma, il lieto fine, mentre in questo caso lo spettatore non l’ottiene.
 Fatta questa premessa, dobbiamo ammettere però che l’impianto narrativo del film è piú che decoroso, superiore a molti altri – anche cinesi – visti in questo Festival; e questo dipende – a mio avviso – dalla buona sceneggiatura e dal buon mestiere della regista che, a onta dei suoi soli 29 anni, mostra di avere già una mano felice nella direzione degli attori e nel modo di gestire il set.  
 Possiamo includerlo quindi nelle opere realizzate da buoni artigiani del cinema – e quindi non da grandi artisti – capaci cioè di realizzare cose solide e funzionanti, ma non capolavori. (Franco Sestini)
 

 


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