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VICINO AL COLOSSEO C'è MONTI



Regia: Mario Monicelli
Lettura del film di: Eugenio Bicocchi
Edav N: 364 - 2008
Titolo del film: VICINO AL COLOSSO C' È MONTI
Cast: regia, scenegg.: Mario Monicelli – sogg.: da un’idea di Chiara Rapaccini – fotogr.: Valerio Azzali – mus.: Elvira e Giovanni Lo Cascio – mont.: Valentina Romano – interpr.: Mario Monicelli, se stesso – durata: 22’ – colore – produz.: Gianvito ed Alessandro Casadonte per Inspire Production – origine: ITALIA, 2008
Sceneggiatura: Mario Monicelli
Nazione: ITALIA
Anno: 2008
Presentato: 65. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2008 - Fuori Concorso

 

Fa veramente piacere (dal momento che con altri registi non è sempre così) leggere nella cartella stampa le dichiarazioni di Mario Monicelli, perché corrispondono esattamente a quello che è il suo documentario. Allora non c’è altro da fare che ricopiarle. «Volevo raccontare un rione di Roma, forse il più antico, non con toni enfatici e imperiali, ma quotidiani. Volevo parlare di un paese con gli artigiani, con antiche vie percorse da processioni, con piazze che festeggiano le tipiche ottobrate romane, negozi curiosi ed inaspettati, giardini tropicali dietro i muri delle case, scuole di musica e cinema, teatri e palestre di boxe nascoste nei seminterrati. Tutto molto velocemente, solo per invogliare il curioso a cercare gli aspetti più nascosti del Rione Monti».

Il documentario, infatti, presenta questa ricca, variegata e inimmaginabile molteplicità di ambienti e situazioni. Fa “veramente” scoprire un angolo di Roma, come Tullio Kezich confessa sul Corriere della Sera (2 sett.). Il linguaggio cinematografico è da gran maestro, sia come visivo che come uso del sonoro. Però non parlerei, come invece scrive Kezich, di «capolavoro», almeno nel senso da me inteso. Per me capolavoro è quel film che presenta soluzioni espressive nuove e che, nello stesso tempo, contiene elementi di esemplarità implicitamente didattica; vale a dire passaggi che sono utili per capire (o far capire) il linguaggio filmico. Come per il latino classico ci si rifà a Cicerone. Come per il latino arcaico si prende quel verso straordinario di Ennio (non a caso chiamato padre della lingua), che tradotto suonerebbe così: «Con un sasso gli spaccò il cervello», ma tradotto infedelmente, perché alla lettera suonerebbe: «con un sasso il cer…gli spacco...vello» (cfr Luca Canali, Storia della poesia latina, ed. Bompiani:«Si giunge fino alla tmesi [effrazione] di una parola “significante” per dare l’immagine grafica di un cruento “significato”. […] Saxo cere comminuit brum. Con un sasso il cer… gli spacco… vello».). Un capolavoro. Capolavori. O forse solo la deformazione professione di un docente o di latino o di cinema. (Eugenio Bicocchi)
 


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