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Come l'ombra



Regia: Marina Spada
Lettura del film di: Eugenio Bicocchi
Edav N: 354 - 2007
Titolo del film: COME L'OMBRA
Cast: regia Marina Spada – sogg. e scenegg.: Daniele Maggioni – fotogr.: Sabina Bologna, Giorgio Carella, Gabriele Basilico (immagini) – mus.: Tommaso Leddi – mont.: Carlotta Cristiani – scenogr.: Margherita Corti – interpr.: Anita Kravos (Claudia), Karolina Dafne (Porcari Olga), Paolo Pierobon (Boris) – colore – durata: 87’ – produz.: Francesco Pamphili per Film Kairòs, Daniele Maggioni per Ombre Film – origine: ITALIA, 2006 – distrib.: Istituto Luce
Sceneggiatura: Daniele Maggioni
Nazione: ITALIA
Anno: 2006
Presentato: 63. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2006 - Giornate degli autori; Mar de Plata Film Festival 2007 - In Concorso
Premi: PREMIO MIGLIOR REGIA AL MAR DE PLATA FILM FESTIVAL 2007

La VICENDA – che può essere definita di tipo minimalistico – ha come protagonista Claudia, una ragazza sui trenta anni proveniente dalla provincia lombarda, che lavora a Milano, in un’agenzia di viaggi e risiede nella stessa città, sola, in un piccolo appartamento.
La vita di Claudia si divide, semplicemente e routinariamente, tra casa, lavoro in agenzia, scuola privata di lingua russa (per accrescere l’orizzonte della sua professionalità) e qualche raro momento passato in compagnia di un’amica e di due giovani, uno dei quali, Antonio, una volta, oggetto di particolari effusioni ma senza seguito.
Quando a sostituire temporaneamente la titolare del corso di lingua russa, le lezioni sono affidate ad un supplente ucraino di nome Boris, Claudia scopre di sentirsi interessanta a lui. Alla sorella, che vive con i genitori, rivela questo segreto del cuore, ma, ad una sua domanda precisa, aggiunge che tutto è ancora in fase di definizione.
Occasione dopo occasione tra Claudia e il professore giunge il momento di una cenetta face to face a casa di lei. E, qualche tempo dopo, anche l’intimità dei baci, degli abbracci e delle carezze.
Nell’imminenza delle vacanze ferragostane, Claudia saluta gli amici in partenza per la Grecia, coi quali si è accordata per raggiungerli una settimana dopo.
Ma inaspettatamente Boris chiede a Claudia di ospitare, proprio per la durata di quei sette giorni, una sua cugina, Olga, che è in arrivo dall’Ucraina con l’intenzione di trovare lavoro. Boris giustifica la richiesta con la circostanza che lui deve assentarsi da Milano esattamente per quel periodo che precede la partenza di Claudia e con l’inopportunità di offrire alla cugina il proprio posto letto, nell’appartamento in cui egli vive, in coabitazione con solo uomini. Promette di rientrare in tempo a Milano, per consentire a Claudia la partenza per le vacanze in Grecia.
Claudia, dopo un’iniziale resistenza, di mala voglia accetta, preoccupata di vedere sfumare, a causa della futura ospite, il progetto di raggiungere gli amici.
Arriva la cugina di Boris, una ragazza giovane, bionda, dai lineamenti fini, con la quale, dopo i primi momenti di freddezza, nasce una certa familiarità. Un giorno a cucinare è Olga e Claudia, uscendo dalla doccia, commenta: «È la prima volta che un altro prepara da mangiare in questa casa».
Nelle conversazioni a tavola, Olga rivela di essere sposata con un uomo che non ha voglia di lavorare e racconta le difficili condizioni economiche in cui versa l’Ucraina (l’ascensore del suo palazzo non funziona da due anni; in casa, quando piove, entra l’acqua). Claudia le fa presente che anche in Italia la situazione non è facile.
Claudia continua ad andare a lavorare, mentre Olga gira per la città a vedere vetrine.
Olga diventa anche, in un certo senso, complice di Claudia, quando questa, che sa di non reggere gli alcolici, una sera in un esercizio pubblico dove le due ragazze si erano recate con la segreta speranza di fare qualche bella conoscenza, eccede nel bere. La aiuta, poi, con delicato trasporto a rigettare; riesce anche a farle intonare, sulla via di casa, una suggestiva canzone di Laura Pausini, nota anche in Ucraina («Marco se ne è andato, chissà se tu mi penserai...»).
Olga mostra gratitudine verso Claudia, regalandole un vestito e le rivela di fare acquisti, nei negozi gestiti da cinesi, di capi di abbigliamento a soli 5 euro, con l’intenzione di mandarli a casa, dove i suoi famigliari li rivenderanno a 20 euro.
Sembra una ragazza perfetta, ma la regista la riprende, per due volte, mentre, in un call center, fa delle misteriose telefonate (misteriose perché, per scelta della regista, nella colonna audio non si sente il parlato di quelle conversazioni).
I giorni di quella settimana scorrono. Si avvicina il tempo del rientro di Boris per rilevare Olga dalla casa di Claudia. Ma una sera, Olga non rientra.
Preoccupata, alle 4 del mattino, Claudia telefona a Boris (che non dà spiegazioni); poi, con una fotografia di Olga, trovata nella sua valigia (assieme ad un’altra immagine in cui Olga è ritratta abbracciata a Boris), Claudia si reca nei luoghi solitamente frequentati dagli immigrati slavi in cerca di qualcuno che riconosca la ragazza. Dopo vari tentativi infruttuosi, alla vigilia della partenza, telefona all’amica Sonia, in Grecia, per dirle che è costretta a rinunciare alla vacanza e si reca, presso il commisariato di zona della Polizia di Stato per denunciare la scomparsa della ucraina.
Nella città deserta e senza il solito movimento di persone e mezzi, Claudia affigge fotocopie con il volto di Olga e il proprio numero di cellulare.
Invano.
Dalla segretaria della scuola di lingua russa, la protagonista riesce ad avere l’indirizzo di Boris, ma quando si presenta alla porta un extracomunitario di colore, con un italiano stentato e con maniere sbrigative, le dice che Boris, da tempo, non abita piú in quell’appartamento.
Chiamata dalla direzione dell’obitorio, Claudia non può fare altro che riconoscere il cadavere di Olga. Alla domanda «Eravate amiche», risponde «Ci conoscevamo».
Dopo una telefonata a sua sorella, Claudia decide di andare a trovare la famiglia di Olga, per portare loro la triste notizia. Come se fosse un’emigrata in direzione opposta, su di uno di quei furgoni che fanno la spola tra l’Italia e i paesi dell’Est, per trasportare merci o persone, parte verso la terra natale di Olga.
Il RACCONTO cinematografico, temporalmente mimetico della successione degli eventi (il che è una componente realistica) per altri aspetti (durata di certe inquadrature, composizione figurativa dell’immagine, movimenti di camera, elementi scenografici, reiterazione di inquadrature analoghe, attenzione per certi particolari e disattenzione per altri, come si dirà poco sotto) travalica la semplice datità narrativa, per svolgere un «discorso» che viene fatto scaturire dalla storia.
Anzi, la storia di per sé avrebbe dei particolari narrativamente trascurati. Per esempio, perché Claudia, che, per professione, ha dimestichezza proprio con i trasferimenti, decide di recarsi in Ucraina con la scomoda modalità del viaggio in quei furgoni che usano gli immigrati? È cosÍ masochista da voler provare sulla propria pelle tale disagio? Certo che no, come dice tutto il resto del film.
Per esempio ancora: perché la protagonista non cambia le chiavi della serratura del proprio appartamento, quando la ragazza ucraina viene trovata morta?
Si può rispondere dicendo che alla regista certi particolari aspetti della storia non interessano o comunque sono irrilevanti, dal momento che, per lei, quello che conta è la riflessione argomentativa su altri aspetti della storia. È un’impostazione che deve essere concessa ad un autore fino a quando i passaggi discutibili non inficiano il suo discorso, fenomeno che non è riscontrabile in COME L’OMBRA.
Marina Spada, inserisce almeno in tre punti del film, delle inquadrature che, per composizione figurativa (secondo una maniera di rappresentazione delicata e non volgare o spettacolare o, peggio, morbosa), mettono in rilievo la biancheria intima femminile, che appartiene alla protagonista. Apparentemente tali immagini non hanno importanza e funzione narrativa (salvo forse in un caso che tuttavia non invalida questa argomentazione). Se sono inutili o poco utili ai fini dell’andamento della vicenda (e se, come si è detto, non hanno funzione spettacolare e strumentale per compiacere lo spettatore) la presenza schermica di tale biancheria è concettuale. Come se l’autrice dicesse che questa storia «è al femminile». Con tale espressione si intende non tanto che la protagonista è una donna ed è un donna anche la regista, quanto che l’ottica, la visione del mondo che sottosta alle idee tematiche, intende essere e proclamarsi «al femminile». La presenza (con le caratteristiche cinematografiche di cui si è detto) di quella biancheria intima (inequivocabile, anche senza dettagliare, grazie al reggiseno) dice che la scelta della protagonista non è tanto di «quella Claudia» in particolare, quanto della «donna»; dell’universo femminile.
La scelta ha caratteristiche molto altruistiche: c’è, nella decisione di andare in Ucraina dalla famiglia di Olga, una assunzione di responsabilità da nessuno richiesta. È una forma di dedizione verso il prossimo; un valore.
A sottolineare il salto di qualità della protagonista ci sono due immagini molto significative, in due punti diversi del film: quando ella è in difficoltà, assume nel letto una posa quasi fetale e comprendosi col lenzuolo sembra alludere ad un possibile rientro nell’utero. Queste immagini stanno a significare una certa fragilità e la presenza di questa fragilità nella protagonista dà ancora piú risalto alla grandezza della sua decisione.
Nel film c’è anche una tematica ad un livello secondario che riguarda il fenomeno dell’immigrazione. L’autrice mette in luce aspetti che la vulgata trascura. Da un lato l’immigrazione costituisce un problema per la società che è oggetto di tale flusso (alla protagonista le difficoltà maggiori vengono proprio da tale fenomeno), da un altro lato gli immigrati pagano un prezzo molto alto, anche con la vita (è il caso di Olga), ma soprattutto con lo stradicamento e la perdita di identità (che ne è di Boris? Le sconosciute telefonate di Olga sono «pulite»? L’extracomunitario di colore che liquida sbrigativamente Claudia, come legge la situazione?).
Nel film c’è anche la città di Milano, prima con la sua vita movimentata e frenetica, poi, durante il ferragosto, con il deserto. La regista insiste sulla durata di tali immagini, forse alla ricerca di un equilibrio formale, una componente espressiva che probabilmente le è necessaria come identità d’autrice. In questo senso possono essere valutate anche certi movimenti di camera e l’uso del fuoco selettivo (p. e., il frigorifero blu nella casa di Claudia) che, dopo una panoramica che arriva a comprenderlo, da macchia informe di colore, per aggiustamento del fuoco dell’obiettivo, diventa quello che è. Anche le implicitezze rientrano in queso stile. A un certo punto della storia la protagonista si fa una doccia e la regista – contrariamente a quello che è diventato un topos, un’ossessione possiamo pur dire – non mostra il corpo dell’attrice, perché altro conta. Similmente nell’obitorio, la camera da presa non mostra il cadavere di Olga, anzi non entra neppure nella stanza. Le basta fermarsi nel corridoio e ascoltare le parole di Claudia che riconosce la vittima. Si può cosÍ notare in tutte queste scelte linguistiche una poetica autoriale relativa alla sguardo, al vedere. Breve: al mettere a fuoco della attenzione le cose, il mondo e la realtà umana; quella vera, che subito non cade sotto l’occhio. Che sta al di là della prima percezione. (Eugenio Bicocchi)
 

 


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