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4 mesi, 3 settimane 2 giorni



Regia: Cristian Mungiu
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: 354 - 2007
Titolo del film: 4 MESI, 3 SETTIMANE 2 GIORNI
Titolo originale: 4 LUNI, 3 SAPTAMINI SI 2 ZILE
Cast: regia e scenegg.: Cristian Mungiu – fotogr.: Oleg Mutu – mont.: Dana Bunescu – scenogr.: Mihaela Poenaru – cost.: Dana Istrate – interpr.: Anamaria Marinca (Otilia), Laura Vasiliu (Gabita), Vlad Ivanov (signor Bebe), Alexandru Potocean (Adi), Luminista Gheorghiu (signora Radu), Adi Carauleanu (signor Radu) – durata: 113’ – colore – produz.: Oleg Mutu, Cristian Mungiu – origine: ROMANIA, 2007 – distrib.: Lucky Red
Sceneggiatura: Cristian Mungiu
Nazione: ROMANIA
Anno: 2007
Presentato: 60. Festival di Cannes 2007 - In Concorso
Premi: PALMA D'ORO e PREMIO FIPRESCI al 60MO FESTIVAL DI CANNES 2007

Verremo a sapere che il titolo del film si riferisce al tempo trascorso dal concepimento all’aborto del feto umano che il film ...ci farà vedere...

INTRODUZIONE
La prima inquadratura (siamo in Romania nel 1987, durante «l’età dell’oro», come è ironicamente definita l’epoca della dittatura di Ceausescu da una didascalia del cast di coda) presenta due giovani mature (d’età): Otilia aiuta Gabita, compagna di stanza, a riempire una piccola valigia. La prima è di carattere deciso e intraprendente, l’altra si dimostra timida e impacciata. Parlano d’un appuntamento da non mancare. Otilia esce dall’abitazione, che ora comprendiamo essere un collegio universitario, per cui le due ci si fanno conoscere come ospiti studentesse, e cerca la persona che ha fissato l’appuntamento. È un uomo che le dà un passaggio. C’è subito una difficoltà che provoca discussione: egli aveva esigito che l’incontro con l’interessata, che è Gabita, avvenisse in uno dei due alberghi nei quali egli normalmente lavora. Otilia si scusa: in quelli non ha trovato una stanza libera mentre è riuscita ad affittarne una per tre giorni in un altro hotel. Pazienza! L’uomo però accetta con molta fatica.

Dopo l’introduzione, le due parti strutturali del film raccontano la consumazione dell’aborto e le conseguenze tecniche e psicologiche che ne seguono.

 PRIMA PARTE
Le due studentesse contubernali si avviano all’alloggio provvisorio. Ora conosciamo il motivo: Gabita è incinta di quattro mesi ed ha deciso di abortire. L’uomo è il praticone «signor Bebe», che per denaro le risolverà il pericoloso problema. La legge punisce con anni di prigione chi sceglie di abortire entro i tre mesi di gravidanza, e con dieci anni di carcere chi commette «omicidio» procurando aborto dopo i quattro. L’uomo non vuole rischiare la libertà per la somma irrisoria raggranellata dalle due giovani con prestiti e raccomandazioni di gente facoltosa. Otilia salda il resto «in natura». Segue il rito preparatorio all’operazione, svolta senza precauzioni igieniche ma con perizia consumata.
Quando Bebe ha finito e se ne va, lascia alle giovani il suo indirizzo per tornare in loro soccorso in caso di richiesta di bisogno. Quando esce dall’albergo, dimentica in portineria la carta d’identità. L’uso di documenti falsi gli hanno permesso finora di lavorare senza correre rischi.

SECONDA PARTE
L’ordine del praticone a Gabita è stato quello di non muoversi per nessuna ragione a fatto compiuto: «Sarebbe molto pericoloso e la madre potrebbe andare incontro alla morte».
Otilia ora deve allontanarsi dalla stanza dell’amica, perché ha promesso al fidanzato di partecipare a casa sua alla festa di compleanno della madre. Nel colloquio con l’innamorato si fa promettere che,«qualora ne avesse avuto bisogno in futuro, egli le sarebbe rimasto accanto aiutandola in ogni modo!». Quando ritorna e rientra nella stanza d’albergo, non trova piú Gabita: ella è tranquillamente seduta al ristorante dell’albergo, dove si sta celebrando una chiassosa festa di matrimonio, e aspetta il cameriere al quale ha ordinato il pranzo perché ha fame. Otilia scopre il feto espulso: giace a terra sanguinante, male avvolto da un asciugamano, abbandonato sul pavimento del bagno. Ad Otilia non resta che mettere in pratica l’ordine di Bebe: «Sali al decimo piano d’un edificio e getta “la roba” nel contenitore dell’immondizia». Torna poi al tavolo di Gabita, sorseggia un bicchiere d’acqua e guarda un istante in macchina (sembra chiedere agli spettatori che adesso conoscono i fatti: e voi cosa ne dite?). FINE.

Il film, verrebbe da concludere, tratta del problema dell’aborto. È vero a livello di narrazione.
In realtà i numerosi elementi universalizzanti fanno capire che il regista ha scelto quell’argomento come esempio e quasi come pretesto e occasione per parlare d’altro.
Le due giovani non ritengono pericoloso il ricorso all’aborto come comportamento immorale ma soltanto come illegale. Nelle due ore circa di film non ho ascoltato e visto né una parola né un fotogramma che esprimesse un giudizio etico sull’aborto. Unica causa del turbamento e del timore di Gabita e Otilia di fronte al fatto è la paura di incappare nella legge correndo il rischio della condanna al carcere.
Ma, si potrebbe obiettare, se il fatto non fosse stato oggetto di proibizione legale e fosse invece stato liberalizzato al modo, per esempio, italiano, come si sarebbero comportate e soprattutto come avrebbero giudicato la loro scelta le ragazze rumene del film?
La domanda per ora è del tutto fuori luogo, perché il film non ha voluto discutere sul problema «morale sí o morale no» circa l’aborto, ma ha scelto di partire dal caso proposto con lo scopo di citare un esempio degli effetti prodotti in Romania dalla legislazione del periodo della dittatura. Gli spettatori vengono a conoscerli quasi di passaggio, mai espressamente elencati e condannati, dai dialoghi dei personaggi, tanto principali che secondari. Tutti i dialoghi sono finalizzati a quell’unico scopo. (Potremo ritornare alla domanda proposta dopo la visione del film e le sua lettura strutturale).
 La protagonista, ad esempio, confidandosi con l’amica di camera lamenta la scarsa risorsa di «lei» (moneta nazionale) necessari per realizzare il loro scopo; chiede ed accetta con riconoscenza sigarette popolari non potendo permettersi il lusso di prodotti esteri se non al mercato nero; con grande difficoltà riesce ad affittare una stanza d’albergo tra quelle disponibili quasi esclusivamente a magnati e borghesi. Durante la festicciola famigliare in casa del fidanzato pensa ad altro, assorta nella preoccupazione di tornare quanto prima presso Gabita operata, mentre i commensali si dimostrano allegri e alquanto spensierati. Noi li ascoltiamo senza mai vederli in volto; parlano del vento e della pioggia lasciando qua e là cadere quasi per caso giudizi e opinioni sulla attuale difficoltà di sbarcare il lunario da parte di gente meno fortunata di loro, professionisti benestanti. Le casalinghe intanto fanno la fila davanti ai negozi alimentari.
Protagonista del film è Ottilia sempre con la macchina da presa addosso.
Nella prima parte è ripresa in PP di spalle nel suo incerto girovagare chiedendo informazioni circa «qualcuno fermo ad attendere come se avesse un appuntamento»: lo spettatore, che non conosce ancora il motivo della ricerca, si chiede: dove va? Chi cerca? Perché?
 Quando nella seconda si aggira quasi smarrita di notte in cerca d’un luogo dove nascondere impunemente il feto espulso dall’amica, il regista la riprende di faccia per evidenziarne le emozioni: spavento all’avvicinarsi d’un cane randagio che abbaia e che potrebbe addentare quella carne umana, se lei la gettasse nel cassonetto all’angolo della strada; timore d’essere scoperta mentre trasporta il macabro pacco dentro una busta di plastica. La raccomandazione al fidanzato di restarle vicino nell’eventualità che anche a lei potesse succedere di rimanere incinta, la dice lunga sulla cultura imperante che ella condivide. La disponibilità a saldare il debito dell’amica con prestazione in natura depone a favore della solidarietà che la lega alla compagna di stanza nella casa dello studente ma al tempo stesso testimonia la mancanza di convinzioni etiche. Il ribrezzo che prova alla scoperta del feto sanguinante, avvolto in un asciugamano abbandonato sul pavimento del bagno, e poi a quel ricordo quando parla con il fidanzato del suo possibile evento futuro, sconfessa la presunta insensibilità umana della giovane di fronte a delitti che la legge punisce ma che in ogni caso, legge o non legge, la coscienza non può freddamente accettare.
L’interpretazione di Otilia è magistrale. Anche quella di tutti gli altri personaggi minori a lei finalizzati è degna di applauso.
Nessuna forzatura espressiva: tutto arriva dallo schermo con la semplicità e spontaneità che danno all’evento raccontato la credibilità d’un documentario umano, denso di drammatica realtà con tragico risvolto.

È la storia di OTILIA, giovane universitaria di carattere deciso e a modo suo altruista, la quale, dopo aver aiutato la compagna di stanza a raggiungere lo scopo di liberarsi attraverso un aborto volontario del suo segreto, rimane umanamente colpita dall’effetto del suo comportamento, (adottato per evitare all’amica di cadere sotto la condanna della legge), e di ritrovare la stessa, serena e tranquilla, dopo essersi liberata del feto, come se nulla fosse successo.

Per la formazione della personalità degli spettatori ed in particolare dei giovani, sono utili le riflessioni sopra esposte.
Quanto rilevato, c’è nel film ed è chiaramente detto.
Resta però sempre evidente che, secondo il regista del film, la vera motivazione delle situazioni e circostanze, che rendevano la vita cosí problematica in quel lontano 1987 in Romania, era l’oppressione esercitata da una dittatura destinata a finire dopo poco come tutte le dittature.
Non si vuole affermare che è meglio oggi, in cui ognuno fa quello che gli sembra meglio con le leggi permissive democratiche vigenti. Tale conclusione esula dagli intendimenti del film, che non vuole stabilire confronti e pronunciare giudizi nell’accostamento tra le due epoche storiche.
Il regista documenta ciò che succedeva o poteva, secondo lui, succedere in quegli anni di dittatura. Non esterna giudizi.
Le reazioni degli spettatori di fronte alle vicende di Otilia e Gabita possono costituire opinioni sulle quali discutere e confrontarsi con civile atteggiamento di tolleranza, senza degenerare in polemica e tanto meno in politica, ma anche alla luce della morale.

Dopo la visione del film potrebbe anche imporsi l’esigenza di rispondere ad una domanda innescata dallo spettacolo al quale si è assistito. Come si può giudicare il comportamento della giovane rumena, che, con l’aiuto complice dell’amica, ha deciso di interrompere la gravidanza al quarto mese dal concepimento per sfuggire alla condanna al carcere comminata dalla legge vigente?
Anzitutto ricordiamo che l’aborto riferito dal film è soltanto una occasione per parlare d’altro; in secondo luogo che noi non abbiamo l’autorità di giudicare la condotta delle persone reali alle quali il film si riferisce.
Oggettivamente l’aborto volontario è sempre un disordine morale. Se si pratica al quarto mese, anche la legge civile lo considera omicidio.
La decisione di scegliere volontariamente tale pratica per sfuggire alle pene previste dalla legge civile non può essere approvata.
Ma, si potrebbe obiettare, se la legge civile, come oggi in Italia, rendesse legale e depenalizzasse la pratica abortiva in determinate circostanze, come si dovrebbe giudicare l’aborto?
Il giudizio sarebbe ugualmente negativo sotto il profilo oggettivo, perché esso è proibito dal quinto comandamento della legge di Dio Non uccidere.

Come si vede, dopo la lettura strutturale del film, lo spettacolo potrebbe introdurre discussioni, confronti di idee e riflessioni di pubblica utilità. Non si deve però confondere film con vita reale, non bisogna considerare il film soltanto pretesto e occasione per parlare d’altro che sia estraneo all’idea centrale espressa dal regista con la sua opera.
Rispettando le dovute distinzioni, il film si presta sempre, come qualunque altra comunicazione espressa a voce, dal libro, dalla trasmissione radiofonica e televisiva, dal giornale e dalla rivista illustrata, a diventare occasione per discutere della opinione che l’autore della comunicazione ha effettivamente espresso con il mezzo da lui scelto. (Adelio Cola)
 

 


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