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Gomorra



Regia: Matteo Garrone
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: 364 - 2008
Titolo del film: GOMORRA
Cast: regia: Matteo Garrone – sogg.: Roberto Saviano, tratto dal proprio romanzo «Gomorra», ed. Arnoldo Mondadori – scenegg.: Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Gianni Di Gregorio, Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Roberto Saviano – fotogr.: Marco Onorato – mont.: Marco Spoletini – scenogr.: Paolo Bonfini – cost.: Alessandra Cardini – sound designer: Leslie Shatz – mont. suono: Daniela Bassani – suono presa diretta: Maricetta Lombardo – interpr.: STORIA DI TOTÒ: Salvatore Abruzzese (Totò), Simone Sacchettino (Simone), Salvatore Ruocco (Boxer), Vincenzo Fabricino (Pitbull), Gaetano Altamura (Gaetano), Italo Renda (Italo); STORIA DI DON CIRO E MARIA: Gianfelice Imparato (Don Ciro), Maria Nazionale (Maria), Salvatore Striano (Scissionista), Carlo del Sorbo (Don Carlo), Vincenzo Bombolo (Bombolone); STORIA DI FRANCO E ROBERTO: Toni Servillo (Franco), Carmine Paternoster (Roberto), Alfonso Santagata (Dante Serini), Massimo Emilio Gobbi (Imprenditore), Salvatore Caruso (Responsabile cava), Italo Celoro (Contadino); STORIA DI PASQUALE: Salvatore Cantalupo (Pasquale), Gigio Morra (Iavarone), Zhang Ronghua (Xian), Manuela Lo Sicco (Moglie Pasquale); STORIA DI MARCO E CIRO: Marco Macor (Marco), Ciro Petrone (Ciro), Giovanni Venosa (Giovanni), Vittorio Russo (Pirata), Bernardino Terracciano (Zi Bernardino) – durata: 135’ – colore – produz.: Domenico Procacci per Fandango con Rai Cinema – realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con la collaborazione di Sky – girato nel napoletano, da Secondigliano a Scampia, e a Caserta, per evitare curiosita’ sul ciak era scritto «tre storie brevi» – origine: ITALIA, 2008 – distrib.: 01Distribution.
Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Gianni Di Gregorio, Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Roberto Saviano
Nazione: ITALIA
Anno: 2008
Presentato: 61. Festival di Cannes 2008 - In Concorso - GRAND PRIX SPECIALE DELLA GIURIA

Conviene riferire fin dall’inizio la tecnica dell’inclusione usata dal regista. Essa si presenta come una specie di cornice cruenta del quadro di sangue che è il film.
Apertura: persone armate entrano nell’edificio dedicato al restauro di bellezze maschili affollato da clienti particolari e fanno una strage.
Chiusura: la pala meccanica, usata per spostamento di terra e trasporto di letame nei lavori agricoli, si carica addosso i cadaveri di due adolescenti appena ammazzati da sfruttatori che si sono avvalsi della loro ingenua collaborazione per organizzare delitti efferati.
Gli episodi del film sono tutti giocati sul registro di omicidi e strumentalizzazioni illegali ai fini di raggiungere o mantenere il successo economico fondato su cadaveri e soprusi d’ogni sorta.
Forse è superfluo ricordarli tutti. Presentandone l’elenco, faremmo il loro gioco: si rischierebbe di raccontare fatti che andrebbero a rafforzare la fama di potenza invincibile che gli autori dei crimini già godono presso coloro che ne sono stati vittime designate.
Il fatto è che i cosiddetti «fatti di sangue» non sono frutto di una diligente sceneggiatura organizzata a fini documentaristici e spettacolari. Sono, purtroppo, veritiera cronaca di storia nostrana e non soltanto.
Le vicende. L’ambientazione del film ci porta ai sobborghi di Napoli, nelle zone piú disagiate e povere, abitate da gente disperata a causa della miseria e terrorizzate dalla paura della vendetta dei potenti boss della mala.
Sono individuabili nel film chiare allusioni alla universalizzazione: circostanze e situazioni urbane di città e paesi lontani da Napoli e vicine, piú che non si sospetti, a luoghi dove i tentacoli della piovra camorristica «non arrivano»!, come professa qualche interessato.
Ricordiamoli allora, almeno i piú spaventosi tra i delitti contro l’umanità raccontati dal film.
La CAMORRA, nuova GOMORRA del peccato contemporaneo, è dotata di luciferina intelligenza e di strapotenza strategica per raggiungere i suoi scopi. Uomini e organizzazioni delittuose non si arrestano di fronte a nessun ostacolo che potrebbe impedire il raggiungimento dello scopo. Imbrogli, sofisticazioni e adulterazioni della verità, adescamento delle vittime tramite promesse e minacce, collusione con potenti detentori della pubblica autorità, eliminazione di persone innocenti ma scomode perché testimoni pericolosi, guerra dichiarata combattuta con armi da fuoco.
Sono cinque storie che il film racconta con efficace freddezza stilistica, che quasi sempre vedono il loro epilogo nella «documentazione» cinematografica dei cadaveri colpiti dal clan nemico.
Ho riferito indirettamente «i fatti» principali del film mettendone in evidenza i contorni due che li caratterizzano attraverso il MODO di essere illustrati dal regista.
Si distinguono, tra gli altri personaggi che fanno parte della macabra antologia, Don Ciro, lo scaltro agente che agisce nel buio, senza farsi notare, ma che non riuscirà a fare a lungo la parte del topo inseguito dal gatto!
Il giovane Roberto, illuso di potersi conservare «puro» vivendo a contatto di gomito con assassini di professione
Franco è l’uomo «pulíto» che si preoccupa di agire per il bene comune, facendo il possibile per liberare gli abitanti della città dalla sozza marea dei rifiuti urbani, che egli può «smaltire»... non senza sacrificare persone che pagano per tutti!
Anche Pasquale sa stare al mondo! Sfruttando mano d’opera di cinesi affamati arricchisce velocemente, senonché… incomoda qualcuno piú forte di lui ed ugualmente con mani rapaci pericolosamente armate!
I due adolescenti Marco e Ciro sono la coppia dei giovanissimi dell’ultima generazione che si affaccia impreparata e indifesa alla vita adulta. Giocano... con il fuoco. Riescono a mettere le mani sulle armi nascoste dai delinquenti con l’illusione di far loro interrompere la catena dei misfatti commessi. Giocano addirittura con quei terribili giocattoli sparando allegramente all’aria e ad ostacoli fittizi. La colpa e responsabilità piú grave consiste, per i due, nell’essere stati testimoni di «fatti» cruenti commessi dalla Camorra. I boss tendono la trappola nella quale i due non possono non cadere vittime designate.
Totò è un bambino. Arriva a tradire e denunciare la moglie d’un camorrista, padre d’un compagno di gioco simpatizzante per il gruppo mafioso contrario al suo! Qui bisogna scegliere: o stai con noi o con loro!
Le cosche rivali che si disputano il potere nel territorio, diventato campo di battaglia, non permettono di restare estranei alla guerra. Scegliere e farsi amici e nemici è inevitabile e la scelta s’impone fin da bambini. La Camorra coinvolge ogni categoria di persone, d’ogni condizione, sesso ed età.
Ma la realtà italiana oggi è questa?
Se, ripetiamo quanto sopra ricordato, il film fosse soltanto un bel film di azione, non ci resterebbe che applaudire ai loro autori, il romanziere e il regista del film con il titolo omonimo. Ma cosí non è. Purtroppo.
Questa è l’Italia (non soltanto Napoli!) di oggi secondo i due autori, che si permettono di «assemblare» nel tempo e nello spazio «fatti» che possono essersi verificati in tempi e spazi distinti e diversi. Giornali e telegiornali sono lí a confermare che la loro «invenzione» cinematografica è molto vicina alla realtà.
Le storie. È nostro dovere rilevare che il MODO di raccontare le storie napoletane da parte del regista è connotato dalla ricerca di natura spettacolare piuttosto insistita. È vero, il film è anche spettacolo, ma nel nostro caso forse lo è un poco troppo!
Riferisco qualche esempio di scelta scopertamente di tale natura, anche se, a suo vantaggio, tiene desta l’attenzione e l’interesse dello spettatore, che però è in grado di prevedere le soluzioni di storie strutturate in quel modo caratteristico.
Anche la colonna sonora ha il suo peso semiologico. Giovanilmente fragorosa, sembra sottolineare e al tempo stesso avvolgere nel «rumore» generale le vicende, dopo le quali verrebbe da concludere che… non sia successo niente… perché non se ne deve parlare!
La macchina da presa è sempre addosso agli interpreti, spesso ripresi in PPP, quasi a rivelarne la segreta coscienza … se esiste ancora!
Mi ha colpito il MODO di documentare la prestazione degli interpreti da parte del direttore della fotografia: li «accarezza», li sfiora senza mai abbandonarli.
Non posso dimenticare l’impressione avuta dalla ricerca dello spettacolo da parte dell’autore del film. Egli ha cercato spesso di cogliere di sorpresa lo spettatore con l’eliminazione delle vittime della Camorra, anche nei casi nei quali si poteva esigere di conoscere il motivo di certi omicidi.
La recitazione degli interpreti è convincente.
Quella dei due adolescenti Marco e Ciro non può essere definita «recitazione»; meglio chiamarla «interpretazione» quasi sempre spontanea. Bravi i due amici, credibili nella loro illusione di potersi tenere fuori dal gioco degli adulti, costretti a scegliere tra le due cosche rivali, senza schierarsi con nessuna delle parti in lotta; necessità che invece intuirà il bambino traditore!
I momenti di suspense spettacolare sono particolarmente due: la scoperta delle armi nascoste dalla Camorra e la caduta dei due nella trappola aperta per catturarli ed eliminarli «pulitamente». «Quanto tempo perso per due mocciosi!», sentenzia il mandante del delitto dopo l’esecuzione a bruciapelo. Perché, (ecco lo spettacolo ad ogni costo!), non li aveva fatti togliere di mezzo le tante volte precedenti in cui li aveva incontrati condannandoli subito perché «colpevoli» e indifesi?
Che significa quella sporca pala meccanica agricola, che se li carica sopra cadaveri, ripresa con tanta «accuratezza» impressionante, se non spettacolo, (oltre che espressione del pensiero degli esecutori) assassini?
Le facce dei malviventi sono tutte brutte e spesso repellenti per dire che sono «cattivi» ma anche per «impressionare» lo spettatore.
Interessante è stata l’intuizione di inserire nel contesto camorristico il neolaureato Roberto, deciso a non «delinquere» rifiutando di entrare nel branco e di collaborare con gli appartenenti al «gruppaccio» che cerca di adescarlo.
Anche l’episodio dei bambini camionisti che suppliscono gli adulti riluttanti a trasportare le scorie cancerogene alla discarica, ha grande valenza spettacolare, pur fondata sulla realtà dello sfruttamento minorile da parte dei camorristi.
Dispiace che molte soluzioni degli episodi siano scontate e prevedibili.
L’insieme delle singole storie dei personaggi sono bene elaborate e convenientemente intrecciate tra di loro. Sotto tale profilo non ho notato forzature. Unica osservazione al riguardo dipende dalla messa a fuoco di troppa carne!
La ripetizione della modalità del macabro «rito» esecutorio camorristico nuoce forse alla spettacolarizzazione dei «fatti», perché la rende prevedibile ed al tempo stesso la fa rientrare forzatamente nella volontà di insistere su determinati registri cinematografici tradizionali e perciò stesso meno verisimili e credibili. L’intento di cogliere lo spettatore sempre di sorpresa è troppo scoperto ed il gioco perde mordente. È testimone, del resto, della «coerenza» stilistica del regista.
Altro elemento spettacolare consiste nell’alternare le riprese oggettive, come le vede cioè colui che le inquadra, delle esecuzioni con altre, «in soggettiva», nelle quali l’occhio del killer si sostituisce a quello della cinepresa. È opportuna la distinzione ma, ai fini della verosimiglianza, ci si aspetterebbe che l’esecutore fosse egli stesso a dare immediatamente uno sguardo alla vittima per controllarne la fine, prima di allontanarsi!
Sorprende che certi particolari realistici, (dal momento che il regista vuole essere «realista»!), sia¬no presentati in modo non credibile: l’uscita, ad esempio, del «sarto» dal bagagliaio della vettura in fiamme colpita dagli inseguitori, che se ne va incolume sfuggito all’incendio!
Entrano nella categoria di natura spettacolare le inquadrature che, accodandosi all’uso dei film recenti che esigono anche scene di sesso, riprendono i due amici Marco e Ciro con la ballerina nuda.
Efficace ma insistito risulta il rumore «musicale» prodotto dal modo di maneggiare le mazzette di carta moneta, sfogliate con nervosismo mentre passano di mano in mano. La ripetizione fa perdere efficacia all’effetto sonoro, che ricorda per i personaggi dei quali vediamo in dettaglio le mani, ciò che vale è soltanto il denaro.
Si nota nel film la mancanza di una certa rapidità nella rassegna delle «mascalzonate» dei camorristi, che vediamo venire preparate e poi descritte analiticamente.
Argomenti e materia per produrre una serie di film sulla Camorra sono stati forzati ad entrare nella sceneggiatura d’un unico spettacolo ridondante di episodi, talvolta poco credibili a causa del MODO usato dal montaggio.
Le didascalie che scorrono sullo schermo dopo la fine del film hanno lo scopo di confermare con il riferimento a notizie di cronaca contemporanea che i fatti raccontati non sono frutto di fantasia ma esemplificazione dei misfatti perpetrati dalla Camorra.
Resta vero che il regista li riferisce a MODO suo: sceglie e struttura il racconto secondo il suo modo di conoscere e di giudicare. Altra cosa sono i fatti della vita, altra sono i fatti del film!
Il regista non giudica esplicitamente gli operatori d’iniquità che vediamo sullo schermo, ma il MODO tenuto nel rappresentarli nelle loro folli imprese omicide corrisponde ad un giudizio di condanna.
Forse nel contesto dell’opera avrebbe potuto trovare spazio qualche allusione generica alle «cause» recenti e storiche del fenomeno camorristico, che riesce oggi a coinvolgere tutte le categorie di persone, dai ragazzi agli adulti d’ogni estrazione culturale (anche evitando motivi di polemica politica e sociale), e fors’anche indicare qualche ipotetico rimedio del male.
Ma lo spettacolo è stato già troppo lungo, e poi è buona norma prendere il film cosí com’è e per quello che è.              
È la storia d’un gruppo di persone dei dintorni di Napoli, terrorizzate dalla storica Camorra (radicata e divisa in opposte fazioni determinate a conservare il dominio sul territorio a difesa di loschi interessi economici), le quali, dopo essere state contattate e sottomesse dai potenti boss, (o per ottenere collaborazione indiretta sotto gravi minacce, o per obbligarle all’inevitabile scelta operativa d’una delle due fazioni nemiche), non possono piú sottrarsi ai comandi dei nuovi padroni, liberandosi dalla loro negativa influenza, e rimanere estranee alle delittuose imprese delle organizzazioni criminali, per cui rischiano di finire vittime di aggressioni e vendette, come realmente succede ad alcune di loro d’ogni età ed estrazione sociale. (Adelio Cola)
 

 


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