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LA CORTE - L’HERMINE



Regia: Christian Vincent
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 433 - 2015
Titolo del film: LA CORTE - L’HERMINE
Titolo originale: L’HERMINE
Cast: regia, scenegg.: Christian Vincent – fotogr.: Laurent Dailland – mont.: Yves Deschamps – scenogr.: Patrick Durand – cost.: Carole Gèrard – musica: Alain Laurenson - suono: Philippe Fabbri – arredamento: Lisa Ternon – interpr. princ.: Fabrice Luchini (Michel Racine), Sidse Babett Knudsen (Ditte Lorensen-Coteret), Chloè Berthier (La Greffière), Emmanuel Rausenberger, Gabriel Lebret, Corinne Masiero – colore – durata: 98’ – produz.: Matthieu Tarot (Albertine Productions) – origine: FRANCIA, 2015 – distrib.: Gaumont – distrib italia Academy Two (17.3.2016)
Sceneggiatura: Christian Vincent
Nazione: FRANCIA
Anno: 2015
Presentato: 72. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2015) VENEZIA 72
Premi: COPPA VOLPI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE MASCHILE A FABRICE LUCHINI E PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA

Il regista. Christian Vincent è nato nel 1955. Nel 1990 il suo primo lungometraggio, La discrète con Fabrice Luchini, riscuote grande successo, aggiudicandosi tre premi César, fra cui miglior film e migliore sceneggiatura. Lo spunto per dirigere questo film leggero, arioso ed edificante gli è venuto assistendo ad un processo in corte d’assise. Vincent non conosceva nulla del mondo giudiziario, ma in poco tempo si è reso conto che quello che avviene in un’aula di tribunale è lo specchio della società, con tutte le contraddizioni, i drammi, ma anche i risvolti umani e sentimentali che caratterizzano la realtà.

 

La vicenda. Xavier Racine è un maturo presidente della Corte d’Assise di Saint-Omer nella regione nordoccidentale della Francia. Viene da tutti soprannominato il giudice “a due cifre”, perché è difficile che commini a coloro che sono sottoposti al suo giudizio meno di dieci anni di reclusione. Nonostante una brutta influenza di stagione, Racine deve prendersi cura di un processo in cui l’imputato, un giovane disoccupato, è accusato di aver ucciso a calci la figlioletta di sei mesi. Il magistrato, anzi “il presidente” come vuole con puntiglio essere chiamato, svolge con precisione professionale ma anche con un certo distacco (tipico della routine) il proprio lavoro, convinto com’è che il tribunale non ha il compito di fare giustizia, ma semplicemente di applicare la legge. Un giorno Racine osserva in modo strano una delle donne chiamate a far parte della giuria popolare. E s’accorge che si tratta di Ditte Lorensen-Coteret, un’anestesista di origini danesi che aveva conosciuto anni prima, quando era stato ricoverato in ospedale per un incidente. Fin d’allora il giudice era rimasto colpito dalla grazia e dalla profonda umanità della donna, di cui s’era invaghito. Ora ha la possibilità di conoscerla meglio, di parlarle, di venire a contatto con la sua dolce semplicità. Inutile dire che anche il suo atteggiamento durante il processo verrà trasformato da questa frequentazione e che alla fine il verdetto sarà assolutorio per insufficienza di prove. Finito questo processo, Racine chiede a Ditte di seguirlo anche nel prossimo; sente di avere bisogno della sua presenza in aula per sentirsi veramente un giudice sereno e giusto. Alla fine i due si scambiano un sorriso che lascia intendere come la loro storia d’amore non sia finita lì.

Il racconto. Viene subito presentata la figura del protagonista, il “presidente” Racine. È un uomo grigio, professionale, freddo. I rapporti umani li vive dall’alto della sua posizione prestigiosa alla quale sembra tenere molto. Anche a causa di un brutto raffreddore che lo tormenta, si imita ad eseguire la sua funzione senza guardare in faccia le persone, conservando nei loro confronti un distacco, segno di apatia e indifferenza. Poi l’autore lo fa incontrare con la donna che l’aveva assistito tempo addietro. E qui succede qualcosa. Quella donna semplice, dall’aria un po’ smarrita e dal sorriso dolce sembra esercitare su di lui una benefica influenza. Racine chiede alla donna un incontro, poi un altro, e così via. Tra i due nasce una confidenza, un’amicizia, un rapporto umano che il presidente sembrava ignorare. Si può dire che Ditte diventa per il giudice una vera e propria maestra di umanità che gradualmente lo trasforma aprendolo alle relazioni, ai sentimenti, all’amore. Un flashback chiarisce in modo inequivocabile il motivo per cui Racine s’innamora di Ditte: durante la sua degenza in ospedale Ditte si era presa cura di lui (ma anche degli altri pazienti) con spirito di dedizione, toccandolo, prendendogli la mano, facendogli sentire la sua presenza attenta ed affettuosa. Esattamente il contrario di quello che fa lui nell’esercizio delle sue funzioni. Ed ecco la trasformazione, il “contagio”. Ecco l’amore che sboccia tra i due come coronamento di un processo di umanizzazione che avviene nel protagonista.

Significazione. Secondo la miglior tradizione del cinema francese, il film si presenta come una commedia delicata che ha il sapore della fiaba. L’idea centrale è prevalentemente narrativa, ma non mancano degli spunti tematici di grande interesse, come il valore della dedizione nelle relazioni umane e la sua capacità di trasformare le persone rendendole più aperte e più umane.

 


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