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HEART OF DOG (CUORE DI CANE)



Regia: Laurie Anderson
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Titolo del film: HEART OF DOG (CUORE DI CANE)
Titolo originale: HEART OF DOG (CUORE DI CANE)
Cast: Regia scenegg musica: Laurie Anderson origine: USA 2015 durata 75’
Sceneggiatura: Laurie Anderson
Nazione: USA
Anno: 2015
Presentato: 72. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2015) VENEZIA 72

Prendendo spunto dalla morte della sua amata cagnetta Lolabelle, la regista Laurie Anderson ripercorre alcune tappe della sua vita privata, dagli incidenti di gioventù, alla scomparsa di persone a lei care, intrecciandole fittamente con la storia recente dell’America post 11 Settembre e con personali considerazioni sulla vita e, soprattutto, sulla morte, che riflettono le convinzioni di filosofie orientaleggianti delle quali la Anderson si dichiara seguace.

 

La prima sequenza del film, presentata a mo’ di animazione, riproduce la stessa Anderson in versione disegno che ci avverte di essere una versione astrale della regista di carne e ossa, una versione della quale la regista si serve per esplorare i sogni. Quest’introduzione, che serve sul piano narrativo a giustificare l’uso dell’onnipresente voce fuori campo della stessa regista, sembrerebbe inquadrare quindi, a livello del racconto, tutto il film in un ambito “onirico”, più che adeguato al tipo di lungometraggio in esame.
Il film unisce, senza soluzione di continuità, diverse sequenze, ora più realistiche e descrittive - legate per esempio al ricordo di vicende di vita dell’amato Rat Terrier Lolabelle o al rafforzamento delle misure di sicurezza militare nelle città Americane, dopo gli attacchi terroristici -, ora più liriche e fantastiche (come le varie riflessioni sulla morte, legate agli insegnamenti di filosofie Buddhiste e Tibetane). Attraverso tali sequenze, la Anderson, scandendo le parole con ritmo solenne, lento e cadenzato, guida lo spettatore attraverso un viaggio più intimo che universale, mentre sullo schermo appaiono anche brandelli di sperimentazione artistica (tracce di colore nell’inquadratura, scritte in sovrimpressione che citano opere di filosofi e scrittori come Wittgenstein o David Foster Wallace, etc...).

Ognuna di queste sequenze (tra l’altro rese sullo schermo in modo affascinante, con l’uso di un timbro di voce e cadenze “ipnotiche”), portano poi avanti varie idee legate alla vita e alla morte in vario modo e a vari livelli di pertinenza, ma del tutto slegate a livello narrativo. Un’opera che appare quindi del tutto de-strutturalizzata e, cosa più “interessante”, con la piena consapevolezza della regista. Degno di nota, è ad es. la breve intervista che la regista rilascia nelle note di produzione del film (riportata parzialmente anche dal supplemento Ciak in Mostra n.8 del 09/09/2015): «In tutti questi anni come artista ho realizzato dipinti e installazioni, ho fatto musica e teatro, ma la verità è che a me è sempre piaciuto raccontare storie. Girare Heart of Dog è stato quindi un modo per tradurre il mio lavoro in una forma che non avevo mai utilizzato prima, [...] di collegare varie storie in un film dalla struttura narrativa molto vaga, usando animazioni e immagini per completare le frasi». Tale “libertà” narrativa si traduce però anche in una completa de-struturizzazione tematica, tanto che -fatte salve alcune sequenze- non si vede ad esempio cosa possa fare da filo conduttore tra le riflessioni sulla morte e quella sulla vita contemporanea. Vi sono, a dire il vero, alcuni elementi che vorrebbero forse tentare di offrire un denominatore comune, usando una linea di demarcazione tra il “mondo dei vivi” e quello dei morti: si pensi all’elicottero che appare sullo schermo mentre la voce della Anderson parla di transitare da un mondo all’altro e il cui rumore si ode per un attimo fin dalle prime immagini del film, mentre scorrono le figure dei disegni del «Bardo» (sorta di Purgatorio in salsa Tibetana, dal quale transiterebbero le anime prima di rincarnarsi). Tali elementi però sono troppo vaghi e non offrono del resto alcun appiglio certo. L’idea che la Anderson sembra portare avanti nella sua riflessione, in piena aderenza del resto alle filosofie che l’autrice segue, è che vi sia una sorta di amore universale, più forte della morte, che accumuna tutti gli esseri viventi, - uomini e animali (si pensi al “sogno” iniziale, nella quale la Anderson partorisce il suo cane che ella stessa si era fatta cucire dentro lo stomaco, o alle ultime parole della madre che vedeva e parlava con gli “animali sul soffitto ”, prima di spirare) - lungo il percorso dell’esistenza in cui ogni forma di vita non muore, ma rinasce sotto diversa forma di energia e di vita (insomma una reincarnazione). Un mondo dove tutto è collegato, passato, presente e futuro; storia personale e storia universale (le notizie di “attualità) in questa sorta di tutto pandemico , permeato dall’amore.
Idee che si possono o meno condividere, ma che comunque restano tutte a un livello superficiale, mentre ciò che resta a un piano più profondo è la volontà di raccontare. Di usare il film come sorta di contenitore per una serie di racconti, riflessioni, memorie e sperimentazioni visive, più o meno edificanti e più o meno efficaci.

Operazione di sicuro fascino sociale (del resto l’uomo ha bisogno di storie e la tradizione orale dei racconti è nata con l’uomo) e non priva di certi valori, che però ben poco aiuta sul piano della comunicazione, specialmente a livello di profondità tematica. Tant’è che alla fine del film, dopo i titoli di coda, la foto di Lou Reed, amato compagno della regista scomparso nel 2013 e la successiva scritta che dedica il film tutto alla sua memoria (elementi quindi dal peso strutturale notevole) invece di suggellare il discorso chiarendo l’idea dell’autrice, colgono di sorpresa e stupiscono. Proprio per quell’incapacità di fondo che ha impedito alla Anderson di usare il “racconto” filmico per veicolare un’idea che avrebbe avuto più forza delle varie idee parziali disseminate nel film.

 


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