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SANGUE DEL MIO SANGUE



Regia: Marco Bellocchio
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Titolo del film: SANGUE DEL MIO SANGUE
Titolo originale: SANGUE DEL MIO SANGUE
Cast: Regia e sceneggiatura: Marco Bellocchio; fotografia: Daniele Ciprì; scenografia: Andrea Castorina; musica: Mario Crivelli; interpreti principali: Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Lidiya Liberman, Fausto Russo Alesi, Alba Rohrwacher, Federica Fracassi, Alberto Cracco, Filippo Timi; durata: 107’; origine: ITALIA/FRANCIA/SVIZZERA, 2015.
Sceneggiatura: Marco Bellocchio
Nazione: ITALIA/FRANCIA/SVIZZERA
Anno: 2015
Presentato: 72. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2015) VENEZIA 72

Nel film ci sono due vicende, entrambe ambientate a Bobbio, la città che rappresenta le origini familiari e culturali di Marco Bellocchio e nella quale da anni il regista tiene corsi di cinema molto apprezzati.

 

La prima vicenda è ambientata nel XVII secolo. Federico Mai, un soldato di ventura si reca nella prigione-convento di Bobbio, spinto dalla madre, per vendicarsi di Benedetta, una suora che ha sedotto il suo confessore, fratello di Federico, in seguito suicidatosi. Suor Benedetta è accusata di avere fatto un patto con il diavolo e viene tormentata dall’Inquisizione perché confessi il suo peccato, condizione indispensabile per poter dare una sepoltura cristiana al fratello di Federico, che per il momento è stato sepolto nel cimitero degli asini. Federico inizialmente vorrebbe uccidere la suora, ma poi resta anche lui incantato da Benedetta e se ne va, mentre la suora viene condannata alla prigione perpetua e murata viva. Trent’anni dopo Federico, divenuto cardinale, tornerà in quel luogo in occasione della liberazione di Benedetta.

La seconda vicenda è ambientata ai giorni nostri. Un altro Federico Mai, sedicente ispettore del Ministero, si reca a Bobbio per far acquistare il convento, ormai abbandonato, ad un miliardario russo. Ma non sa che quel luogo è ancora abitato da un misterioso “Conte” che esce solo di notte, come un vampiro. In realtà questo personaggio è il capo di una “Fondazione” che dispensa privilegi e tiene in vita un sistema illegale di tipo mafioso. Alla notizia della vendita del convento, tutta la comunità entra in agitazione e fa di tutto per impedire ogni tipo di cambiamento.

Il racconto è strutturato in modo tale da presentare separatamente le due vicende per poi farle convergere nella parte finale. Se la vicenda antica rappresenta il potere ecclesiastico che prevarica e schiaccia il desiderio di libertà e di amore delle persone, quella moderna rappresenta un potere non meno pericoloso. È un potere nascosto (il “Conte” esce solo di notte), che succhia il sangue delle persone (l’aspetto vampiresco del “Conte”), ma che si presenta come qualcosa di naturale, di umano, accettato da tutti. È il potere che vuole che niente cambi, per favorire il privilegio di alcuni a danno degli altri, e che si regge sulla corruzione e sull’omertà. Ma prima o poi le cose dovranno cambiare e una ventata d’aria nuova dovrà arrivare. È significativo che nel finale la liberazione di Benedetta, che è rimasta giovane e bellissima (ad indicare l’incorruttibilità di ciò che è vero e umano) coincida con la fine di quel sistema corrotto per l’intervento delle forze dell’ordine.

Da sempre Marco Bellocchio si scaglia contro ogni forma di potere che, in ogni epoca, sotto diverse forme, tende a prevaricare. Lo fa efficacemente anche in questa sua ultima opera, dal sapore chiaramente emblematico («Bobbio è tutto il mondo»), e che gioca su diversi registri: da quello drammatico a quello grottesco a quello comico, a dimostrazione di una grande elasticità mentale e di uno spirito giovanile e mai domo.

 


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