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A cinquant’anni dal «Leone» torna LA GRANDE GUERRA


di ANDREA FAGIOLI
Edav N: 372 - 2009
Titolo del film: LA GRANDE GUERRA
Anno: 2009

A cinquant’anni dal Leone d’Oro (ex aequo con IL GENERALE DELLA ROVERE di Roberto Rossellini) torna alla Mostra internazionale d’arte cinematografica il capolavoro di Mario Monicelli LA GRANDE GUERRA (1959, 129 minuti) interpretato da Alberto Sordi e Vittorio Gassman.

La versione, presentata in «preapertura» all’Arena di Campo San Paolo nel centro storico di Venezia, è quella lunga ricostruita dalla Cineteca nazionale, con la supervisione del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, resa possibile recuperando raffinate tecniche artigianali di sviluppo e stampa.
Può essere cosí riproposto uno dei film italiani che piú hanno fatto discutere. Solo l’ostinazione di Dino De Laurentiis permise di portare a termine il progetto, realizzato fra molteplici difficoltà e polemiche, ma oggi il film è considerato unanimemente uno dei vertici del nostro cinema e le interpretazioni di Alberto Sordi e Vittorio Gassman nei panni di Oreste Jacovacci e di Giovanni Busacca appartengono alla storia del costume. Il carattere antieroico delle vicende narrate, la descrizione minuziosa della vita di campo, la coralità dei personaggi, l’alternanza degli stati d’animo, la capacità di passare dal riso al pianto, dalla viltà alla grandezza rendono questo film un modello ineguagliabile di approccio alla Storia. Il lavoro di restauro mira a restituire al film i particolari toni di luce che lo caratterizzavano. Il direttore della fotografia si ispirò alle immagini di repertorio girate al fronte e alle fotografie dell’epoca e intervenne «nei processi di sviluppo e stampa per recuperare in parte il forte contrasto e le grandi differenze di densità luminosa che esistevano nelle riprese in interni dal vero legate agli esterni, salvando il difetto di sovraesposizione delle zone esterne. Con Monicelli – racconta Rotunno – decidemmo di fotografare anche gli attori principali senza quelle particolari attenzioni che si usano di solito, illuminandoli per farli spiccare». Un lavoro di sottrazione (di luce) per accentuare il realismo della messa in scena, al punto che nelle proiezioni dei giornalieri qualcuno si lamentò perché «non vedeva niente». Ma solo cosí si poteva realizzare l’intento del regista di «fare il film con un tono, povero, vecchio, sporco», in cui risaltano, piú che le luci, i sentimenti umani.
Padre Nazareno Taddei scrisse una prima lettura de LA GRANDE GUERRA nel 1959, all’indomani della Mostra di Venezia, che fu pubblicata sul numero 12 di Letture di quell’anno. Dopo di che, in occasione dell’uscita del film in videocassetta, scrisse una seconda lettura (che riproponiamo di seguito) pubblicata in Edav nel giugno 2000 (n. 281). Nel frattempo, nel marzo 1963 era stata curata da Aldo Bernardini, la scheda per lo Schedario cinematografico nella quale è riportato un brano della lettura di Taddei del 1959, ma soprattutto si dà conto delle vicende e delle contestazioni che accompagnarono la realizzazione e la programmazione del film di Monicelli.
All’inizio della lavorazione, prima ancora che fosse scritto il primo trattamento, si registrarono sulla stampa nazionale vivaci polemiche sul progetto del film. In molti riscontravano nel soggetto di cui era stata data notizia, «un’offesa al soldato italiano e alla memoria dei caduti della prima guerra mondiale e accusavano gli autori di qualunquismo, di vilipendio all’onore dell’esercito». Vi furono anche delle interrogazioni parlamentari, mentre le proteste si rinnovarono anche dopo l’uscita del film. Tra queste quella del presidente nazionale dell’Associazione cappellani militari d’Italia in congedo, monsignor Antonielli, che indirizzò al Ministero dello spettacolo una lettera nella quale si accusava il film di profanazione del «sacro orgoglio dei reduci e del popolo italiano».
Curioso anche il giudizio ufficiale del Centro cattolico cinematografico che dapprima, nel 1959, classificò il film per «adulti con riserva» e poi, nel 1962, con la riedizione del film, al quale erano «stati apportati emendamenti», lo classificò per «adulti in sala pubblica».
Ma ecco quello che scriveva Taddei su Edav.
«È la storia di due soldati italiani della prima guerra mondiale (“la grande guerra”), Oreste e Giovanni (Sordi e Gassman), sconsiderati e sfaticati, trovatisi insieme nelle retrovie, sullo sfondo di drammatici avvenimenti bellici (tra l’au-tunno del 1916, al tempo dell’offensiva austriaca nel Trentino, e quello del 1917, al tempo della ripresa italiana al Piave dopo Caporetto), che coinvolgono uomini di ogni età e provenienza; incorrono in tragicomiche peripezie ma, caduti in mano al nemico alla vigilia dell’offensiva sul Piave, ritrovano la loro dignità di combattenti rifiutando di fornire informazioni al nemico e morendo eroicamente fucilati.
«Il progetto del film venne molto ostacolato per timore che ne uscisse un’offesa al soldato italiano e alla memoria dei caduti. Il produttore De Laurentis si difendeva assicurando l’intento “di esaltare il valore e la forza d’animo dei combattenti italiani della Grande Guerra, in chiave non retorica e non di trionfo conformistico, ma umana e sincera”.
«E infatti cosí fu il film: su soggetto di Luciano Vincenzoni e con sceneggiatura di Age-Scarpelli, Monicelli, Vincenzoni, esso comincia sotto i titoli con piccole azioni comuni ai soldati (attaccarsi un bottone, farsi una sigaretta, camminare nel fango, ecc.) e costruisce attorno ai due protagonisti un quadro realistico che esprime insieme la tragicità, la crudeltà e la stupidità della guerra, dove si mescola e si evidenzia il gioco dei vari sentimenti, anche umani, degli uomini che la combattono; dall’egoismo alla generosità, dalla crudeltà, certamente insulsa, alla pietà.
«Allo scopo, non si possono ignorare alcuni momenti – scene, nemmeno sequenze – p.e. il trucco di far fucilare la padella dal nemico per poter fare le caldarroste; oppure, l’insulso comando del sottotenente al portaordini che cosí ci rimette inutilmente la vita (davanti al morto, il sottotenente incrocia lo sguardo con Bordin, che gli aveva consigliato di aspettare a dare l’ordine); oppure Oreste e Giovanni che non si sentono di sparare al tedesco; oppure la consegna della cartolina dopo la strage di Caporetto; e cento altre. Ma non dimenticherei nemmeno la battuta del cappellano che, su quella carneficina, alla domanda “Dov’è Cristo” risponde: “È qui! Se è vero che aveva 33 anni, era dell’84”. Ma la condanna della guerra viene anche dall’accoglienza e dalla festa fatta ai pochi scampati con banda e discorsi retorici di uomini e donne tranquilli e pasciuti.
«Tematica, quindi, che trascende il fatto storico della Grande Guerra e vale ancor oggi e sempre; e potrebbe e dovrebbe far riflettere, non già con tronfie manifestazioni pacifistiche, piú dannose che inutili, bensí con la scoperta dell’egoismo che sta alla base anche delle guerre peggiori e che, in fondo, alligna in ciascuno di noi.
«La storia di Oreste e Giovanni certamente rileva, comicamente, il solito antagonismo tra le due capitali d’Italia (Roma e Milano); ma nel contempo rivela anche il grosso fondo di umanità (p.e. l’episodio con l’ignara vedova del loro compagno Bordin morto) e di impegno umano e civile (la reciproca solidarietà e il rifiuto di fare la spia che li porterà alla fucilazione) che si trova in essi.
«Una nota interessante: il film è suddiviso da alcune didascalie che riferiscono dei versi di altrettante canzoni di guerra che, magnificamente armonizzate o adattate, vengono eseguite per tratti piú o meno lunghi. Musica efficacissima per creare il clima di meditazione, senza retorica, d’una tragedia sentita come fatto umano e non macabro.
«Gassman, come detto, è Giovanni, sempre bel fusto, sempre furbo nel cavarsi dalle situazioni difficili, sempre vincente nel duetto col romano Oreste; ma che alla fine, con la sua umana spavalderia, divenuta eroica, si farà fucilare; e Oreste lo seguirà. Un commilitone che non li ha visti dopo l’attacco al Piave, commenterà: “Pensare che anche questa volta, quei due lavativi se la sono scampata!”, ma l’immagine li mostra accomunati nella morte».
 


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